Tabula rasa delle trappole. Di come una guerra tra maschi divide le donne

Martin_von_Troppau

La mitologia che sottende il patriarcato non è cambiata. Quello che l’Orestea ci descrive continua ad aver luogo. Continua ad aver luogo anche l’irruzione, qua e là, delle Atena di turno, generate unicamente dal cervello del Padre Re. Tutte al suo servizio, a quello degli uomini al potere (…). (Irigaray)

 Abbiamo molte cose da fare (…). Non aspettiamo che il dio Fallo ci faccia la grazia. Il dio Fallo, sì, perché se anche molti ripetono che “Dio è morto”, poco s’interrogano sul fatto che il fallo è vivo e vegeto. (Irigaray)

Le “Atena di turno”, come Irigaray ci avverte, sono molte e molte sono anche le affermazioni che si smentiscono da sé.

La prima – riguardante un nostro post intitolato  Ma tu con chi stai? Né con Lizzi né con Ciccone che ha provocato, com’era prevedibile, un certo disturbo – secondo cui per noi di Tabula rasa “non conterebbero nulla “le questioni impegnative poste” (la violenza maschile sulle donne in ordine, in particolare, agli ultimi eventi che hanno riguardato le vicende di Maschile Plurale); la seconda, in base alla quale la sola cosa che per noi conterebbe è “che nessun maschio si senta migliore dei maschi di MP”.

A smentire la prima delle due amenità e mosse dalla necessità di contrastare la diffusione di letture fuorvianti scientemente perseguite, a dar conto di noi e del nostro pensiero e dei nostri reali posizionamenti pubblici, personali e politici in merito alla violenza contro le donne, sono a disposizione, per chi fosse interessata/o a farsene un’idea non contraffatta, i numerosi saggi contenuti  nel blog Tabula rasa e il lavoro che ciascuna di noi conduce da anni, con competenze diverse – qui e altrove – contro la violenza alle donne e una critica severa e senza sconti al Patriarcato. Quanto alla seconda insinuazione,  questo sì è riduzionismo e non solo. Infatti, per attribuirci del tutto arbitrariamente un tale pensiero, è necessario un presupposto che, nelle riflessioni espresse in quel post, è totalmente assente: è necessario aver stabilito a priori che i maschi di MP sono, fra maschi, i migliori, tesi mai sostenuta. A chi coltiva missioni screditanti, basti ricordare che nel post precedente di cui sopra, lungi dall’esaltare un primato virile da assegnare a uno dei due maschi contendenti nominati nel titolo – si procede, al contrario, allo smantellamento di quella logica oppositiva che i primati virili invece li coltiva, li incentiva e li fagocita.

Il fatto è – e la differenza, non da poco, è tutta qui – che a noi, come a tante donne che ci seguono, non basta più indagare in modo uni-laterale e lineare sulla violenza maschile contro le donne e non  basta nemmeno più condannarla a parole. Siamo invece fortemente interessate, direi persino più motivate, proprio perché donne, a guardarci dentro e a individuare,  riconoscere e smascherare, prima di tutto in e fra noi stesse, l’interiorizzazione della violenza maschile quando questa serpeggia mimetizzata, indisturbata e misconosciuta fra “le donne dell’uomo” (Lonzi), fra quelle donne che, a giudicare dalla vir-ulenza di certi comportamenti di cui siamo state tristemente spettatrici negli ultimi tempi, sembrano lontanissime, loro malgrado, dall’averne acquisito consapevolezza per via di quell’autocoscienza tanto sbandierata quanto, dalle più, disertata. La guerra tra donne – e la violenza dei toni cui abbiamo assistito, in realtà  non esiste – scrivevo tempo fa. La guerra fra donne è sempre una guerra fra uomini e donne o, detto altrimenti, è una guerra fra donne piegate e identificate al modello maschile – “le donne dell’uomo”, appunto, come Lonzi avrebbe detto,  le “Atena di turno”, come Irigaray scriveva – e le donne che con tale modello e con il “mito dell’uomo” imposto da un ordine simbolico monosessuato, rifiutano di identificarsi. Per grazia o per disgrazia – o in virtù di entrambe visto e considerato che da quel costante processo di DISIDENTIFICAZIONE da tale modello su cui siamo impegnate, ne deriva che non c’è perdita che non sia un guadagno e non c’è guadagno che non sia una perdita – ci riconosciamo nella seconda categoria, convinte come siamo che non c’è speranza di mettere fine al patriarcato fintanto che, a farlo, non saranno proprio “le donne dell’uomo” disfacendo e sottraendogli quel potere che, consapevolmente o no, continuano ad accreditargli e a riconfermargli anche quando sono persuase spesso in buona fede – il che rende la faccenda di ancor più difficile soluzione –  di combatterlo.

Un sistema non si regge da solo. Pensiamo di avere dunque, come donne, in tutta la faccenda, un’immensa responsabilità.

Per questa e per altre ragioni, dentro la recente guerra – una vera oscenità, lasciatemelo dire, che non ha nulla a che fare con la critica né con “la nobile arte della retorica” – giocata, in buona sostanza e al di là delle apparenze, sul pro o contro Ciccone e/o MP e sul pro o contro Lizzi, una guerra e che ha finito per spaccare le donne schierandole su due fronti opposti (alla faccia dei discorsi  di maniera contro i dualismi), non abbiamo alcuna intenzione di farci trascinare e intrappolare, spinte, magari, dalla preoccupazione di essere accusate di “neutralità” o, peggio ancora,  di parteggiare per l’uomo. La nostra posizione, infatti, com’é noto da tempo a chi ci segue, è tutt’altro che neutra essendo da sempre saldamente radicata sulla critica a quell’Uno patriarcale di cui le logiche di schieramento pro e contro cui abbiamo assistito in questi giorni sono, le legittime eredi “esemplari”. Non saremo, dunque – con buona pace di chi ci vorrebbe marciare e magari “marchiare” – nè “le donne dell’uomo” Lizzi né “le donne dell’uomo” Ciccone ma non saremo neppure “le donne della donna” Muraro: Né patriarchi né matriarche – diceva Lonzi, ricordate? Una donna, una figura femminile  la cui coerenza di pensiero sul piano etico e politico, resta per noi e per il femminismo italiano, un punto di riferimento essenziale.

Sorvoleremo sui noiosi dettagli di un dibattito ripetitivo e a nostro parere poco interessante non solo per il suo andamento ma soprattutto  per il suo esito finale consegnato  all’ “autorevole”  giudizio e  di una matriarca la cui posizione sulla violenza, nonostante sia stata e continui ad essere, quantomeno ambigua, non è mai stata tenuta nè dalle sue seguaci né da altre donne – che pure giustamente lottano contro la violenza maschile – in seria considerazione. E poiché qualcuna, in riferimento ai recenti avvenimenti scrive: “Lì era in questione se Maschile Plurale ha l’autorità di parlare contro la violenza maschile…” noi ci chiediamo: Da quale posizione soggettiva una donna, non diversamente da MP, ha l’autorità di parlare contro la violenza maschile, di condannarla e di evocare la Giustizia? Da quale posizione soggettiva le sue parole contro la violenza maschile possono essere, per donne e uomini che le leggono, meritevoli di credito? Ecco un punto non aggirabile che dal “femminismo della differenza” non può essere rimosso e su cui abbiamo già in altre occasioni insistito senza che sia mai stato possibile giungere a un confronto.  E sarà forse perché siamo poco inclini e per nulla indulgenti con silenzi e rimozioni su questioni così importanti per la teoria e per la pratica di un femminismo non violento che noi legittimamente e con insistenza ci domandiamo – e domandiamo – se a rendere degne di credito tali parole possano essere dichiarazioni come queste:

(…) Qualcuno sa bene che quando viene in un luogo in cui sono anch’io rischia di essere ammazzata (…). Resta vero il sentimento profondo di sentirsi al sicuro nel gruppo, ma questo perché nel gruppo c’è amore per la libertà femminile, c’è la ricerca di qualcosa che non ti taglierà mai fuori (…). Nel gruppo non corri mai questo rischio, magari trovi una che ti pianta una spada nello stomaco, ma non sarai ignorata (…) e questo ti restituisce il senso del tuo valore.” (L. Muraro, La posizione isterica e la necessità della mediazione).

Ciò che in una delle  arroventate discussioni di questi giorni mi ha colpita, è che, in più di un’occasione, di fronte alla penuria, da parte di alcune, di argomentazioni convincenti a sostegno della propria tesi a sfavore di MP – nei cui riguardi non abbiamo alcuna particolare ragione di “schierarci” – veniva puntualmente tirato fuori dal cappello il nome della madre (Muraro) e della Libreria, come se essi potessero/dovessero fungere, di per sé e in quanto tali, da garanzia a una debolezza argomentativa resa inevitabilmente più debole  dalla ricerca di una garante” cui appellarsi. Nell’osservare la vicenda nel suo insieme senza trascurare, com’è accaduto, l’importanza del nesso fra due diversi accadimenti – quello relativo al dibattito sollevato da due donne, da K. e Ricciocorno, in seguito al comportamento di un membro di MP e quello sollevato, di lì a poco, da un gruppetto di donne in seguito alla comparsa del post di Laurio nella pagina di MP cui sono seguiti  600 commenti – abbiamo potuto constatare che tale connessione è sfuggita – distrazione o rimozione ? –  all’attenzione e all’interesse dei/delle più. La cosa non sarebbe rilevante se non fosse che la scissione di fatto operata fra due vicende strettamente connesse e la scelta di dare spazio, nell’incontro a Milano, soltanto alla prima sottovalutando e rimuovendo completamente, in tutta la vicenda,  il peso e la funzione della seconda, abbia dato luogo a una ricostruzione impoverita dei fatti che, privati delle loro necessarie connessioni e concatenazioni, non potevano che rendere tale ricostruzione parziale e insufficiente  e inadeguata a cogliere in profondità il significato e il senso degli eventi in esame.

In effetti, a considerare i fatti in sequenza e in connessione, è  forte l’impressione che la seconda vicenda – la  comparsa imprevista del post di Laurio e il lavoro  di discredito aggiuntivo derivatone per MP ad opera, questa volta, non di due donne ma di un gruppetto di donne – sia stata il cacio sui maccheroni per incentivare, potenziare e consumare fino in fondo il discredito messo in atto nei confronti di MP con la prima vicenda. Si è voluto soffiato sul fuoco – come si dice –  e questo a prescindere dalle critiche che a MP si possono fare in forme diverse, però dall’Inquisizione. Che in entrambe le circostanze le donne abbiano svolto, in modi diversi, da posizioni e con motivazioni probabilmente differenti, nel bene e nel male, un ruolo decisivo, è un fatto innegabile e non trascurabile che va loro riconosciuto così come non è trascurabile che a chiudere il cerchio nell’epilogo finale sia stata ancora una donna.

Sembrerebbe essersi dunque trattato, a prima vista, di una faccenda, di un’iniziativa  e di una “vittoria” tutta femminile e della clamorosa sconfitta di un gruppo di uomini che, dopo aver fatto della violenza contro le donne uno dei principi cardine della loro azione politica, e dopo essere stati nelle grazie della Libreria fino al punto di richiedere con insistenza la loro presenza a Paestum 2013 provocando persino, in quell’occasione, un’accesa discussione fra le donne, si sarebbero rivelati improvvisamente indegni di rappresentare la loro Associazione. Ebbene, è proprio questa la versione diffusa che non convince. Tengo a dire subito, per liberare il campo da illazioni e false attribuzioni, che alcune mie critiche e perplessità nei riguardi di alcuni personaggi di Mp è nota da tempo ed è quanto basta per scoraggiare:

a) chi  ha avuto l’intento di trasformare Tabula rasa e la sottoscritta,  in una fan di Ciccone o di MP; b) chi, con un tentativo di insabbiamento maldestro, ha tentato di insabbiare la mia lettura  – che va ben al di là di “una gara fra due uomini” – definendola funzionale all’insabbiamento” c) chi, abituato a trattare le donne con disprezzo e ingiustificata supponenza, ha fatto opera di disconoscimento di un pensiero che rivendico  – e che da sempre sostengo – riducendolo a un derivato dal pensiero di Ciccone!!

Ad alcuni e ad alcune forse non piacerà ma dirò senza ulteriori preamboli e senza infingimenti, come vedo l’intera vicenda che è essenzialmente, lo ribadisco, una vicenda tra due uomini – Lizzi e Ciccone – uno dei quali ha cercato di togliere all’altro una posizione acquisita  – meritatamente o no poco importa – nel tempo. La questione è, prima che di merito, di metodo. Niente di nuovo o di originale, si è trattato del solito squallido scenario cui si assiste quando c’è di mezzo la lotta per il primato di quella “libbra di carne” e per quel fantasma, ad esso collegato, che si chiama “fallo”. Questa la sostanza che non sta “dietro”, davanti o di lato, sotto o sopra ma dentro fino al collo di quanto accaduto. La storia degli uomini – quella che si impara a scuola – è storia di queste lotte per stabilire virilità e di primati. Tutto il resto è puro contorno funzionale al raggiungimento di questo obiettivo. Un obiettivo grazie al cui oscuramento le “donne dell’uomo”, avrebbe detto Lonzi, hanno preso luce e hanno avuto l’opportunità di inscenare e inverare gloriosamente quella vecchia “voglia di vincere” tanto amata e teorizzata da alcune.

Una prima occasione propizia per accreditarsi il primato-fantasma di cui sopra, si presenta ad uno dei due contendenti: c’è una vicenda  – di cui pare Lizzi sia venuto a conoscenza tramite due donne – che coinvolge e ben si presta ad infangare la credibilità di Maschile plurale per via di un membro di MP accusato di violenza.   Cavalcare l’onda è roba da principianti. Ma fortuna vuole che di occasione propizia se ne presenti un’altra, una seconda opportunità da non perdere per “fare la festa” e infliggere all’avversario il colpo mortale: c’è un post misogeno di un tale Laurio che inaspettatamente compare nella pagina di MP e che offre un formidabile pretesto per  prolungare, fagocitare, fomentare, ingigantire, moltiplicare e amplificare l’accusa già precedentemente formulata nei confronti di MP. Ma c’è anche, nella seconda occasione che si presenta, qualcosa d’altro e di inatteso: c’è una variante numerica e di genere che non guasta.  A vivacizzare e a dare ossigeno alla discussione sul post del misogeno ci sono – certo con le migliori intenzioni di alcune – proprio delle donne che, con commenti (600) protrattisi per giorni  e giorni a battere e ribattere sempre lo stesso chiodo – riescono a tenere sotto scacco MP mettendolo spalle al muro, assicurando al Terzo di godere appieno di uno spettacolo che avrebbe sancito la disfatta del nemico di MP.

Quale occasione più feconda per ricavare dall’assemblaggio di due situazioni svantaggiose e compromettenti per l’avversario, il Massimo guadagno possibile, un credito di fiducia illimitata da parte delle donne mostrando loro che c’è un Uomo, un Vero Uomo, che, a differenza di Ciccone – traditore delle donne e immeritevole della fiducia in lui riposta – saprà lui sì, farsi carico di tenere eretta l’asta della bandiera contro la violenza su di loro? Che Ciccone non abbia incarnato, agli occhi delle donne quel Vero Uomo che si sarebbero forse aspettate, è poco ma sicuro e a darne palese testimonianza è il contenuto, a tratti patetico, di quei 600 commenti che gli chiedono disperatamente di fare qualcosa, di dimostrare loro con un gesto, un atto, una parola, di essere un Vero uomo, un uomo che non le ha ingannate perché a lui, anche a lui, non è vero?, le donne stanno davvero a cuore. Quei Seicento post parlano il linguaggio di un’incapacità di rassegnazione, parlano del fatto che lui, Ciccone, non ha potuto, saputo o voluto corrispondere a quel fantasmatico desiderio di Vero uomo così sintomaticamente presente nell’immaginario femminile. Ne sarebbero bastati 20 di post – uno più uno meno – per risolvere la questione, per uscire dalla trappola di una situazione penosa, di un inutile accanimento che non serve essere esperte/i per riconoscervi l’affetto – e l’effetto – di  una nevrosi collettiva in atto e della sua inevitabile e prevedibile  inconcludenza. Ma questo non è accaduto perché c’era chi, per ragioni diverse,  aveva interesse a tenere in piedi quella discussione e a prolungarla il più a lungo possibile.

Non so cosa sia un Vero uomo, non so cosa sia una Vera donna, ma so di certo che nessun uomo e nessuna donna che abbiano un minimo di dignità e di rispetto di sé avrebbero mai accettato di dar prova, per via coatta e ricattatoria, del loro essere  Veri uomini  o Vere donne, del loro essere contro la violenza al prezzo di una simile umiliante  richiesta di dimostrazione di prestanza – e di PRESTAZIONE. Vorrei invitare tutte coloro che pensano di aver portato a casa, con l’epilogo di questa vicenda  qualche vantaggio simbolico e politico dal Verbo pronunciato dalla “grande madre” del femminismo italiano della differenza – intervenuta nella lotta fratricida fra due maschi – a non rimuovere e a prendere sul serio, alla lettera.  le parole da lei pronunciate e qui riportate. Perché, vedete, non si ha alcun diritto di ergersi a giudici imparziali sulla violenza maschile, senza aver prima riconosciuto e aver fatto i conti con la propria anche quella riproposta “Dio è violent@” che tanto è piaciuto, non per caso, ai lettori maschi. Noi vogliamo discutere a partire da qui, a partire da noi. Se sono questi gli effetti del “partire da sé”, se sono questi gli effetti dell’autocoscienza, Angela Putino aveva perfettamente ragione di scrivere ciò che ha scritto sul simbolico materno in “Amiche mie isteriche”. Leggetelo, se non l’avete fatto, e poi ne riparliamo.

Questa è una guerra senza vincitori  e senza vincitrici perché a vincere è stata la Violenza: quella di un uomo contro altri uomini per il primato virile, quella di donne che hanno pensato bene di chiudere, assieme a lui, il cerchio, con la benedizione di una  grande madre che in tema di contrasto alla violenza ha poco da insegnare.