“La paranoia, in versione sfumata, si vende e si compra, ogni giorno, nella piazza, non nell’istituzione psichiatrica”. (L. Zoja)

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di Paola Zaretti/ “La paranoia, in versione sfumata, si vende e si compra, ogni giorno, nella piazza, non nell’istituzione psichiatrica”. (L. Zoja)

Leggo da uno scritto di Marco Deriu pubblicato su Maschile Plurale e proposto per l’incontro dell’11 Luglio con la Libreria delle donne di Milano:

“Recentemente mi è capitato di rileggere un libro di Luigi Zoja sulla Paranoia. Ad un certo punto l’autore cita una storia che mi ha colpito profondamente”:

«Una fiaba cherokee parla di due lupi. Un anziano dice a un bambino:

-“Dentro di te due lupi combattono una lotta mortale. Uno è buono, generoso, sereno, umile e sincero. L’altro è pieno di rancori, di aggressività, di orgoglio, di sensi di superiorità e di egoismo”.

 -“Chi vincerà?”, chiede il bimbo spaventato. “Quello che tu nutri”, risponde l’adulto. Se prendiamo la fiaba come schema della nostra distinzione, lo psicopatico è colui che nutre il lupo malvagio. Il paranoico, invece, è incapace di sentire il conflitto interiore tra i due: per lui esistono solo lupi esterni».

La fiaba riportata – di cui sono da tempo a conoscenza in seguito alla lettura del libro di Zoja Paranoia. La follia che fa la storia da cui ho rilevato, in più occasioni, diversi passaggi in questi anni trascorsi in fb –  non mi è dunque nuova ma rileggerla mi è stato utile in un momento in cui l’esigenza di tornare su questo testo è più acuta che mai. E’ un testo importante e utilissimo per illuminare una serie di pericolose dinamiche proiettive, identificatorie, fantasmatiche che puntualmente si registrano nel virtuale ammorbando le relazioni e precipitando la comunicazione in vicoli circolari senza uscita. Nonostante Zoja prenda le distanze dalle definizioni psichiatriche della paranoia, ne descrive tuttavia i tratti più tipici che, pur essendo in una certa misura a tutti comuni, vogliamo qui, in parte, riportare precisando che a fare la differenza e a impedire generalizzazioni fuorvianti, è proprio quella misura:

“Il paranoico grave costruisce una teoria del complotto perché in questo modo la sua sofferenza sembra trovare un senso, e intanto compensa alcune debolezze di fondo. In primo luogo la solitudine, che, circolarmente, è insieme causa e conseguenza della sospettosità, viene spezzata dalla fantasia di essere al centro dell’interesse di tutti (delirio di riferimento). In secondo luogo il senso di pochezza personale, a lungo negato, trova una soluzione apparentemente definitiva nella fantasia contraria di grandezza; proprio perché sempre più numerose sono le persone che si accorgono del suo valore, esse devono anche coalizzarsi, per gelosia, nell’impedire che i suoi meriti siano riconosciuti. In questo caso si innestano dunque anche le componenti “laterali” più frequenti della paranoia: megalomania e invidia che vengono attribuite ai rivali ma in realtà appartengono al soggetto. Il sospetto pervade invariabilmente il paranoico. Esso non è necessariamente infondato, ma è eccessivo e distorto. Può darsi che il sospettato sia davvero un avversario, ma non per questo sta complottando per distruggere chi sospetta.

Nel sospetto la presenza dei nemici e il loro numero tendono a crescere anche in assenza di motivi. Nelle forme più gravi sono percepiti dappertutto: si giunge così alla sindrome da accerchiamento e alla convinzione di esser vittima di un complotto. Se poi il paranoico ha ricevuto un torto, risponde con sproporzionalità: la sua replica è esagerata perché è convinto che quel torto sia solo l’inizio di una persecuzione. Ogni forma di paranoia completa è una costruzione logica edificata a partire da un nucleo delirante e da un assunto di base falsificato. Col paranoico si può discutere la parte logica del suo pensiero, ma il nucleo centrale, anche se chiaramente falso, rimane indiscutibile e incorreggibile. Esso precede la logica. Non appartiene alla razionalità ma alla vitalità. E’ una condizione che il soggetto esige per vivere. Può vivere senza logica – tanti lo fanno – ma non rinunciare alla vita. Possiede una verità immediata che non richiede giustificazioni, ma che a sua volta tutto giustifica. Caso particolare ma frequente della falsificazione dell’assunto di base è l’inversione delle cause (…). Nei casi più gravi  questa inversione si stabilizza, diventa una permanente circolarità. Invece di smentirla, le prove contrarie la alimentano in un circolo vizioso. L’interpretazione paranoica procede così per accumulo: ciò che potrebbe contraddirla incontra una logica capovolta e diventa conferma. Si attiva  in tal modo un’altra caratteristica di questo male, l’autotropia: una volta posta in moto, la paranoia ha la capacità di alimentarsi da sola. La proiezione persecutoria è un’altra caratteristica decisiva: consiste nell’attribuzione della distruttività del paranoico all’avversario. Questo, formalmente, giustifica un’aggressione: al tempo stesso allevia i sensi di colpa, se il paranoico la commetterà.

Un’altra caratteristica è l’allusione (in inglese innuendo, espressione latina che significa “fare appena un cenno”, anche senza parlare). Essa lascia in vita l’equivoco e aperte le interpretazioni. L’allusione paranoica, però, non si limita a “dire senza dire”: contiene anche una minaccia e una sfida. “Fra coloro che mi ascoltano”, sottintende, “c’è il nemico”. Egli sa che parlo a lui e che lo combatterò”(. ..). Il sentiero del paranoico sa dove vuol portare: ha, in ogni senso un’inclinazione. Anche se il soggetto può percorrerlo lentamente, giunge al punto in cui la pendenza è troppa. Non può più fermarsi e precipita a valle in modo sempre più incontrollato. I processi mentali del paranoico sono dominati dalla rigidità (…). La sua identità è tutta dipendente dall’esterno. Questo comporta anche fragilità: non può permettersi di cedere un passo agli avversari: altrimenti avrebbe la sensazione di non esistere.(…). La paranoia è, per così dire, più antipsicologica di qualunque altro disturbo mentale, perché è l’unica forma di pensiero funzionante che elimini davvero l’autocritica. Il pensiero paranoico è, insieme, logico e impossibile, coerente e contraddittorio, umano e disumano. E’ una maschera tragica, che però non copre il volto di un eroe, ma quello di un essere radicalmente insicuro che inganna anche se stesso (…). Come la calunnia, con cui, sul piano morale è strutturalmente imparentata, anche la paranoia ha effetti visibili soprattutto col trascorrere del tempo (…). Il suo decorso, più che una malattia da guarire, porta alla luce un’immoralità da correggere (…). La paranoia è una menzogna cui il soggetto crede e con cui inganna tragicamente se stesso. Il ragionamento paranoico può contenere anche molti elementi di verità. Ma esso mente essenzialmente sulla natura umana, perché nega all’avversario la qualità di uomo allo scopo di ridurlo a colpevole. Non vuole sapere altro (…). Come il bugiardo, anche il paranoico ha paura che l’attesa scopra il suo inganno. Il tempo è suo avversario. Per periodi brevi può anche offrirgli conferme. Poi, però, lo confronta con i fatti e lo smentisce (….). Il paranoico dispone normalmente di intelligenza e sempre di “senso critico”. Può anche fare satira. Ma poiché suo male d’origine è la mancanza di autostima, la sua critica è a senso unico, non flessibile. Può curvare verso il sarcasmo e, più in là, verso l’odio; ma non in direzione dell’autoironia perché, criticandosi, teme di distruggersi. Non può rivedere le proprie posizioni perché cadrebbe nel niente. Per questo è incapace di perdono: ciò comporterebbe la libertà, ed egli non la accetta né per gli altri né per se stesso (…). La paranoia, in versione sfumata, si vende e si compra, ogni giorno, nella piazza, non nell’istituzione psichiatrica.

Torneremo su questo tema per considerare attentamente alcune parole utilizzate da Zoja – complotto, accerchiamento –  e per l’uso sintomatico che, in determinati contesti, se ne può fare. Il rilievo non avrebbe importanza se non fosse che il termine complotto è per noi particolarmente denso di significato e degno di essere preso in considerazione nella sua accezione non sintomatica. Si tratta, in effetti, di un termine utilizzato da Angela Putino in un’accezione diversa e con un significato diverso da quello descritto da Zoja:

Ognuna di noi  ha un complotto particolare. Non molti, ogni volta uno solo. Saperlo scorgere è un’arte di guerra. Così il colloquio o alleanza va verso quella che risponde al proprio complotto, che corrisponde a questo e che a questo porta forza. Non si può dire genericamente “relazione tra donne”; si può dire relazione con alcune donne che portano forza, che permettono di pensare e di portare a termine il proprio complotto.(Putino).