Violenza reale e Violenza virtuale. A Male Estremo Estremo rimedio

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Violenza reale e Violenza virtuale. A Male Estremo Estremo rimedio

Stiamo ragionando fra noi, in questi giorni, su quel genere di procedura nota come “bannamento” o cancellazione e sulla sua funzione e modalità di applicazione in due diversi ambiti: nel Virtuale e nel Reale. Pensiamo che il tempo per una riflessione attorno a quella che si presenta, a tutti gli effetti, come una modalità escludente –  e tuttavia, in  casi estremi, inevitabile – sia giunta a maturazione.

Sarà utile, ai fini del nostro approccio al tema, accostare e mettere a confronto due diversi ambiti di applicazione di questa procedura – il reale e il virtuale, – per individuare, riconoscere e definire analogie, affinità ed eventuali differenze. Cercheremo di affrontare il problema con la complessità richiesta che ci suggerisce di abbandonare, da subito, prese di posizioni aprioristiche, pregiudiziali e dogmatiche fondate sul criterio del pro o del contro in ordine a un pronunciamento sulla positività/negatività e sul valore/disvalore di detta procedura.

Trattandosi di una questione delicata che comporta un giudizio valoriale, riteniamo che l’ultima cosa da fare sia dirimerla con l’accetta, uno strumento inidoneo e che, comunque, detto chiaro, non fa al caso nostro. Diciamo subito, in via preliminare e a scanso di equivoci, che pur essendo sempre state decisamente contrarie all’utilizzo, nel virtuale, di tale procedura, siamo giunte, proprio di recente e in seguito a una spiacevolissima concomitanza di circostanze, a dover ri-vedere e relativizzare la posizione da noi in precedenza assunta e a dover riconoscere in alcuni casi, nostro malgrado, l’esistenza e la sistematica messa in atto di gravi forme di stalking che operano nel virtuale con le stesse modalità, frequenza e intensità e con lo stesso quantum di violenza riscontrabile nella vita reale.

Di qui l’opportunità di abbandonare dogmi e certezze per interrogare e valutare a fondo – a partire da noi e dalla nostra concreta esperienza – un tipo di procedura che, nonostante il valore decisamente negativo che le abbiamo sempre assegnato, anche nel corso del nostro lavoro all’interno di alcuni gruppi  (Autocoscienza e Tabulae Novae), può assolvere, in  casi estremi, a una funzione di salvaguardia della libertà e della vita delle persone oggetto di stalking sia che esso venga agito nel reale o nel virtuale. Conosciamo bene – e non è dunque il caso di farne qui un elenco esaustivo – l’incalcolabile misura dei danni subiti da una donna realmente oggetto di stalking che vanno dalla presenza ossessiva di qualcuno nella sua vita, all’assillante interferenza di chi se ne impossessa legandola a filo doppio alla propria e controllando senza tregua i suoi movimenti, i suoi passi, le sue parole, le sue frequentazioni, i suoi respiri, fino alla conclusiva messa in atto di quella cancellazione spesso tradotta, nel reale della morte.

Ebbene, se trasferiamo nel virtuale le modalità relazionali appena descritte, possiamo facilmente constatare che il danno subito da una donna in tale contesto – l’insidiosa e costante presenza di persone di cui si avverte il fiato sul collo, i continui commenti, altrove, su ciò che pensa e scrive e fa, la costrizione indotta a un mutamento coatto delle sue abituali modalità comunicative, la sensibile riduzione della sua libertà alla diffusione di scritti, pensieri, commenti – non è qualitativamente inferiore al danno subito nel reale con la sola differenza che, in questo caso, la morte simbolica prende il posto di quella reale.

Stando così le cose, si tratta allora di individuare le strategie difensive che una donna può e DEVE mettere in atto nei due diversi contesti – nel reale e nel virtuale – per sottrarsi alla distruzione reale o virtuale, fisica o simbolica che essa sia. A noi pare che in entrambe le situazioni  la strada sia una sola ma a doppia corsia e sia dunque percorribile, nei due casi, con due modalità diverse: spezzando con un taglio netto, nel primo caso, il legame patogeno (cambio di casa, di città, di lavoro, frequentazioni), e impedendo così il sequestro di sé e della propria vita e interrompendo, nel secondo, il legame, attraverso l’unica procedura di cui nel virtuale si dispone – il bannamento – impedendo così allo/alla, agli/alle stalker di continuare a  nuocere.

L’assegnazione, parziale e limitata, di una funzione “positiva” a questa procedura – da riservare ai casi estremi come quelli sopra indicati – non ne riduce la funzione negativa che resta tale in tutti i casi in cui essa venga sbrigativamente e indiscriminatamente adottata per la risoluzione di ogni tipo di controversia. Al fine di ribadire e dare concretamente conto della nostra contrarietà a un utilizzo generalizzato e indiscriminato, nel virtuale, di procedure eliminatorie, diremo soltanto che in due situazioni estreme verificatesi all’interno di due gruppi cui abbiamo partecipato, abbiamo preferito abbandonare il gruppo attuando così un’ autoeliminazione piuttostro che ricorrere all’eliminazione di persone la cui presenza nel gruppo era di continuo ostacolo al proseguimento del lavoro.

In altre circostanze, meno estreme, abbiamo sempre preferito dare tempo e attendere che alcune situazioni difficili maturassero ed evolvessero in senso positivo facilitando l’uscita autonoma, responsabile e non coatta di quelle partecipanti il cui interesse per il gruppo e la cui motivazione a farne parte erano apparsi sin dall’inizio deboli, poco chiari e, in alcuni casi, finalizzati a obiettivi che poco avevano a che fare con un reale interesse per il  lavoro in vista del quale i gruppi erano stati fondati. E’ sempre stata nostra convinzione – e ne siamo tuttora persuase – che l’eliminazione di una persona da un gruppo sia un gesto che, anche in presenza di giustificati motivi, diventa penalizzante per chi lo compie che finisce per assumere SEMPRE, di fatto, agli occhi della persona esclusa e non solo, le vesti del “carnefice” a tutto vantaggio dell’ esclusa/o che non trovando occasione migliore per approfittare di tale gesto, può agevolmente indossare i panni della “vittima”.

La situazione appena descritta – l’uscita di tutte le partecipanti dal gruppo invece dell’eliminazione di qualcuna –  è  esemplificativa di un’esperienza, in certi casi, a soluzione ottimale di conflitto. Una soluzione che contrasta la tendenza, diffusissima, a delegare ad altre/altri la responsabilità di un gesto escludente mettendoli/le così nella posizione dei “carnefici” allo scopo di meglio disgregarne l’immagine. Tale tendenza è in alcune persone così forte e irriducibile, da portarle alla moltiplicazione e all’invenzione, all’interno di un gruppo, di sempre nuove occasioni di sofferenza nella speranza di ottenere l’esclusione ad opera di qualcuna delle partecipanti.

In definitiva, dobbiamo distinguere: ci sono situazioni in cui, soprattutto nel mondo virtuale, non si cerca la relazione per un effettivo confronto – che, beninteso può essere anche duro ma  rispettoso, comunque, della dignità dell’altro/a – ma si cerca lo scontro, l’attacco, lo screditamento, il dileggio, in cui un patto scellerato di “santa alleanza” fra Distruttività e Volgarità lascia il segno mortifero del suo passaggio. E allora diciamo Sì alla critica e al confronto, No alla guerra personale che costringe anche chi è contrario/a a fare uso di procedure escludenti, a servirsene a giusta tutela della propria integrità e del rispetto di sé.

Le Donne di Tabula rasa