La posta in gioco del pensiero femminista

 Donne in festa
di Paola Zaretti/La posta in gioco del pensiero femminista

Quando, venticinque anni or sono, Jessica Benjamin, psicanalista femminista e teorica dell’analisi relazionale scriveva che “la posta in gioco” per il pensiero femminista è “alta” (Legami d’amore. I rapporti di potere nelle relazioni amorose), coglieva, con grande acume e grandissimo anticipo sui tempi, quegli effetti indesiderabili e ormai sempre più visibili, di un pensiero femminista giocato al ribasso. Un gioco che già allora veniva da lei individuato in:

una tendenza prevalente nel femminismo (che) ha visto il problema del dominio come dramma della vulnerabilità femminile vittima dell’aggressione maschile

e dunque in una concezione femminista del dominio – che tuttora perdura – fondata, in sostanza, sulla coppia carnefice-vittima che risulterà, come vedremo di qui a poco, “rivoluzionaria solo in apparenza”. Ma c’è di più: Benjamin esplicita con coraggio una verità decisamente scomoda per il femminismo quando non risparmia la sua critica neppure alle “teoriche femministe più sofisticate”:

Anche le teoriche femministe più sofisticate spesso si ritraggono davanti all’analisi della sottomissione per timore che, riconoscendo la complicità della donna nella relazione di dominio, il peso della responsabilità possa spostarsi dagli uomini alle donne e la vittoria morale dalle donna agli uomini.

Benjamin tocca qui, come si vede, un primo punto nevralgico che interessa e che caratterizza fortemente e a tal punto tanta parte del femminismo nostrano, da non poter più essere rimosso e oscurato se non a scapito della sua affidabilità e di un deficit di trasparenza teorica e di rigore intellettuale. Risulta infatti preclaro da questo passaggio che le ragioni della rimozione-misconoscimento della complicità della donna nella relazione di dominio, hanno radice nella Paura e trovano nel Timore di una vittoria regalata agli uomini,  la loro fragile e unica ragione fondante. In effetti, se è vero che l’ammissione di una complicità della donna nella relazione di dominio, comporta il rischio di una parziale riserva di condanna nei riguardi dell’uomo-carnefice, è altrettanto vero che “il ritrarsi delle femministe davanti all’analisi della sottomissione” e la conseguente denegazione aprioristica di tale complicità, comporta il rischio che una visione politico-ideologica venga anteposta alla ricerca di una complessità della verità non marchiata dall’unicità. Ma non è tutto perché Benjamin fa un passo più in là evidenziando, attraverso un’analisi critica estremamente puntuale, un secondo punto nevralgico: l’estrema “debolezza” insita in quel radicalismo politico a cui il femminismo fa costantemente riferimento – e con il quale, nell’autodefinirsi “radicale”, si identifica – si manifesta non solo attraverso l’idealizzazione degli oppressi ma anche attraverso la loro collocazione (altrettanto ideale) al di fuori del sistema di dominio in cui sono invece, proprio in quanto oppressi, coinvolti:

Più in generale, questo è stato il punto debole di ogni politica radicale: idealizzare gli oppressi come se la loro politica e la loro cultura non fossero coinvolti dal sistema di dominio, come se la gente non avesse parte alcuna nella propria sottomissione.

Come dire: niente servi senza padroni, niente carnefici senza vittime. Ma non è ancora tutto perché – incalza Benjamin – la riduzione del dominio a una semplice relazione fra chi agisce e chi subisce, fra vittima e carnefice, per intenderci, è una riduzione operata non già, come sarebbe auspicabile, attraverso uno strumento analitico, ma attraverso l’uso di uno strumento moralistico con ciò che ne consegue: una visione impoverita e semplificata che reintroduce dalla finestra quella logica oppositiva che voleva cacciare dalla porta:

Ridurre il dominio a una semplice relazione fra chi agisce e chi subisce significa sostituire all’analisi l’indignazione morale. per di più, una tale semplificazione riproduce la struttura della polarizzazione di genere laddove ci si proporrebbe di smantellarla.

Ma quando la psiche rinuncia al paradosso a favore dell’opposizione binaria, è perché – dice Benjamin – il conflitto fra dipendenza e autonomia si fa troppo aspro. E tuttavia rinunciare al paradosso in favore dell’opposizione significa rinunciare a un potente stimolo per la riflessione, perché ad indicarci la debolezza della nostra capacità di discernimento e i limiti di alcuni strumenti intellettuali per il ragionamento, è proprio il paradosso.

La polarità, il conflitto degli opposti rimpiazza l’equilibrio all’interno del sé. Questa polarità prepara la scena per la definizione del sé in termini di allontanamento dalla dipendenza. Prepara anche la SCENA DEL DOMINIO. Gli opposti non possono più integrarsi; una parte è svalutata, l’altra idealizzata (scissione).

In altre parole, la “scena del dominio” è preparata dalla polarizzazione di genere dovuta all’incapacità di sostenere la tensione del paradosso. La visione di Jessica Benjamin sul rapporto autonomia-dipendenza coincide non solo con quella di Butler ma anche con quella di Cavarero e di Putino trattate in alcune “Conversazioni” che compaiono all’interno blog di Tabula rasa. Quanto a noi, siamo più che convinte che la via indicata da Benjamin e l’altezza della posta in gioco da lei ambita, siano realizzabili attraverso la creazione e la messa a punto di una teoria e di una pratica davvero rivoluzionarie ma siamo altresì convinte che tale creazione richieda, da parte del femminismo, il definitivo abbandono e l’archiviazione di quel binarismo che assume l “idealizzazione degli oppressi” e la coppia vittima-carnefice quale modelli consoni e fondanti quella polarizzazione di genere che si vuole smantellare. Siamo sempre più convinte che se non ci si schioda da un’idea di dominio fondata sul vittimismo o, come meglio suggerisce Benjamin, sul “dramma della vulnerabilità femminile vittima dell’aggressione maschile” dovremo confidare in un’altra vita per fuoriuscire da quella trappola costruita dal patriarcato a nostra misura in cui ancora ci dibattiamo riversando frustrazione e impotenza sia su noi stesse che all’interno delle nostre relazioni

Una risposta a “La posta in gioco del pensiero femminista

  1. SONO MOLTO D’ACCORDO CON QUESTA AMALISI
    LESSI LEGAMI D’AMORE DI J. BENJIAMIN NEGLI ANNI 80, CREDO ORA DA DOVE SONO TRATTE QUESTE CITAZIONI? GRAZIE.

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