SACCHEGGIO

di Paola Zaretti/ SACCHEGGIO

“L’inconscio, ingrediente segreto” è, curiosamente, il titolo di un testo presentato alla Libreria delle donne da una donna che dichiara, con grande onestà, di non avere alcuna conoscenza della pratica dell’inconscio e nessuna competenza psicanalitica.

“Dico subito che io non c’ero ai tempi della pratica dell’inconscio, sono venuta dopo e non ho competenze psicoanalitiche…”

Dichiarazione apprezzabile che dovrebbe però dissuadere dall’ impelagarsi e dal cimentarsi con l’inconscio – definito nel titolo “ingrediente segreto” – e mostrando già, con tale definizione, quanto essa risulti inappropriata e distante dalle teorizzazioni sul concetto di inconscio avanzate da persone che avendo  ricavato ed elaborato una teoria dalla loro concreta esperienza pratica, hanno titolo e competenza  per farlo. Sanno bene, costoro, che l’inconscio, propriamente parlando e a cominciare da Freud, non ha alcuno statuto di esistenza ma è solo un’ipotesi necessaria per dar conto di una serie di fenomeni altrimenti incomprensibili, altrimenti inspiegabili sul piano della “ratio” comunemente intesa. La stessa definizione lacaniana dell’inconscio come “effetto di linguaggio” esclude di poter pensare all’inconscio nei termini di un “ingrediente” e, tanto meno “segreto”.

Tanta imprecisione e approssimazione, vista l’onesta premessa di chi scrive, non sorprende e viene ulteriormente confermata da un elenco di testi proposti alla lettura. testi che non essendo stati scritti  da psicanaliste  – e dunque dalle sole persone realmente esperte e appositamente formate all’esercizio della pratica analitica – risultano fuorvianti e inidonei allo scopo. Praticare una disciplina come la psicanalisi non significa “saccheggiare”- come ammette di fare l‘autrice – libri di psicanalisi, non c’è “saccheggio” che possa sostituire una pratica esperienziale neppure nel caso in cui tale “saccheggio” riguardi l’utilizzo di un saggio su Lou Salomè. Dalla lettura e dai “saccheggi” dei testi di psicanalisi non si impara nulla. Poco ma sicuro.

Che parlare di “inconscio” richieda, oltre che una specifica competenza, una certa prudenza, non è, d’altronde, solo un’opinione della sottoscritta ma è, come viene riferito, opinione condivisa da “alcune” donne che “nella redazione ristretta hanno espresso preoccupazioni per la complessità del tema”. Una preoccupazione saggia e che sarebbe stato meglio ascoltare evitando così di fare di quell’”ingrediente segreto” un pasticcio buono per tutti gli usi: “la risorsa principale per tutte le invenzione politiche, dalla madre simbolica all’omosessualità politica, all’affidamento, alla disparità, all’autorità e via e via”. L’uso che qui viene fatto del concetto di inconscio  e i poteri che da un lavoro “sotterraneo” gli  vengono impropriamente attribuiti lascia davvero senza parole. Le “invenzioni politiche” elencate “madre simbolica”, “omosessualità politica”, “affidamento”, “disparità”, “autorità” non hanno nulla a che fare con l’inconscio e con la psicanalisi ma sono il frutto di un loro utilizzo strumentale e distorto. Leggo ancora tra le domande poste in conclusione:

“Il femminismo della differenza ha elaborato pratiche per stare in rapporto con l’inconscio. Quale pratica politica oggi?”

Che vuol dire “stare in rapporto con l’inconscio? Non ci sono pratiche da elaborare per “stare in rapporto” con quell’”effetto di linguaggio” che l’inconscio è. Per “stare in rapporto con l’inconscio” – ammesso che una tale formula sia utilizzabile – c’è un dispositivo preciso, rigoroso che sia chiama setting analitico, un dispositivo non improvvisabile, non “saccheggiabile”. Il resto è pratica di “saccheggio” come, fin dall’inizio è stato. Potrà forse servire, a tante, per evitarsi troppe fatiche ma gli esiti sulla sua validità ed efficacia trasformativa delle soggettività, purtroppo non mentono e sono ben riconoscibili. Del resto  sulla fine non propriamente gloriosa dei rapporti con due psicanaliste Fouque e Irigaray tanto altro si potrebbe aggiungere ma di questo ho già trattato, più volte, altrove.

Ma c’è una domanda che sempre ritorna: Perchè queste femministe, invece che utilizzare la psicanalisi adattandola e snaturandola per i loro scopi, non si sono “autorizzate” a diventare psicanaliste fondando loro stesse della scuole di psicanalisi alternative pensate a misura di donna?