L’isteria non rivoluziona i modelli, li rovescia. Occorre un passo oltre.“con qualche se e qualche ma”

 

Immagine

di Paola Zaretti/L’Isteria non rivoluziona i modelli, li rovescia. Un passo oltre… “con qualche se e qualche ma”…

Tutto ciò che è assoluto” – come la formula in voga “Senza se e senza ma” – “appartiene alla patologia” (Nietzsche).

Gli Assoluti – e la loro radice patogena – non risparmiano nessuno/a e niente. Non risparmiano neppure la formula, in auge da tempo, del “Senza se e senza ma” utilizzata da un certo numero di femministe e da alcuni “femministi”, a supporto della tesi in base alla quale una donna che dichiara di aver subito violenza deve essere creduta a priori, “senza ma e senza se”. Deve, Sempre, a prescindere.

Credere ciecamente a qualcosa “senza se e senza ma” – quale che sia l’oggetto della credenza di cui si tratta – è un atto fideistico. E’ come credere in Dio, è una forma di religione. Per contro, un pensiero che sia tale, un pensiero critico, non può, per sua natura, aderire ciecamente a formule Assolute del genere di quella citata su cui ci pare indispensabile ritornare anche a costo di essere – malignamente o benignamente – equivocate. Un esercizio critico del pensiero, rigetta postulati Assoluti arrischiando di misurarsi, senza timori di smentite, sia con i dubbi legittimamente introdotti dai “se” dubitativi che con i “ma” avversativi.  “Se” e “ma” non liquidabili tramite Censura in quanto materia Viva e Prima, essi stessi, di cui ogni pensiero critico – proprio in vista di una sua potenziale elaborazione, crescita e maturazione – vive e si nutre.

Per trattare, almeno a grandi linee, l’argomento anticipato nel titolo, varrà la pena di iniziare un po’ da lontano. Dal lontano 1998, dal quel tempo in cui Angela Putino pubblicò il suo libro “Amiche mie isteriche” nel quale definiva “isterico” il femminismo italiano degli anni ’90 ritenendo che l’isteria che lo caratterizzava rappresentasse un passo indietro, una forma d’immunizzazione da ogni possibile crescita ed evoluzione:

L’isteria ormai non è più ciò che gli uomini – psicanalisti, amanti, amici – hanno pensato, riferendolo alle (loro) donne, ma solo il termine con cui alcune femministe hanno designato un proprio comportamento“ (A. Putino, Amiche mie isteriche)

Era il 1998 e Angela, pur non essendo una psicanalista, aveva già colto con grande acume un dato confermato dalla clinica: l’isteria o, per meglio dire, le “isteriche”, con il “proprio comportamento” rivendicano, non rivoluzionano un bel nulla.  E l’idea di “curare” l’isteria attraverso l’isteria, attraverso l’invenzione di un ”Ordine simbolico della madre”, mostrava, già allora, il  suo lato illusorio e le sue crepe. La domanda di Angela sul “ricorso isterico al materno”, sul “senso”, e sugli effetti di tale ricorso “resi possibili grazie a un filo unificante e dispotico”, è cruciale. A dubitare di una “potenza matern”a che “taglia le ali “alla grandezza femminile Putino non fu la sola.

Sono trascorsi vent’anni dalla pubblicazione di ”Amiche mie isteriche” e si tratta di vedere se la realtà sia oggi davvero mutata, se un certo femminismo nostrano sia “guarito”, sia uscito, insomma, dalla sintomatologia isterica o se ci sia ancora dentro fino al collo con gli effetti negativi che ciò comporterebbe sulla sua mancata evoluzione, crescita e maturazione. A dar corpo alla chiara percezione e al sospetto che tale maturazione sia ancora di là da venire, è proprio la formula apparentemente innocua del “senza se e senza ma”, una formula che, senza volerlo e senza saperlo, descrive esattamente la posizione isterica nella sua versione sintomatica. Si tratta di una formula che possiamo senz’altro definire “innocentista” o, se si preferisce, “non colpevolista” e auto-assolutiva. Una formula che ci racconta e ci informa del differente “destino” cui va incontro la Colpa nel “vissuto” soggettivo che caratterizza e distingue due diversi tipi di nevrosi: la nevrosi ossessiva – più comune nei maschi in cui la colpa viene coscientemente avvertita come pervasiva, schiacciante, onnipresente e irredimibile e, in alcuni casi, autodistruttiva, – e l’isteria, una sofferenza più diffusa, come si sa, tra le donne, in cui la colpa viene invece vissuta ed esperita come Assente, come Inesistente.

Il mio particolare interesse per il diverso  “trattamento” riservato al destino della “colpa” nell’ambito di questi due differenti tipi di sofferenza psichica – con speciale riguardo all’isteria di cui proveremo a dar conto in dettaglio  servendoci di alcuni passaggi significativi contenuti in un post in circolazione  – non nasce ora ma è stato da tempo sollecitato proprio dalla formuletta del “senza se e senza ma” che circolando indisturbata, ha finito per assumere, per molte/i, un carattere di Verità Assoluta talmente Sacra e Inviolabile, da non poter essere neppure sfiorata dal dubbio o dalla critica senza incorrere in scomuniche screditanti facilmente immaginabili. Ciò non ci impedirà di rilevare che da tale formuletta con cui alcune femministe – lo ricordiamo – sostengono che una donna che dichiara di aver subito violenza  deve essere sempre e comunque creduta a priori, è possibile ricavare almeno un primo elemento importante sul posizionamento della donna: un posizionamento, che, come risulta dalla formuletta indicata, dell’ Incolpevole, dell’Innocente, della vittima. Va chiarito subito che il posizionamento attribuito alla donna dipende dalla presenza, nell’steria, diun “senso di colpa inconscio” ignorato e inaccessibile al soggetto, di un “senso di colpa inconsapevole” di cui il soggetto-donna, in questo caso, non sa assolutamente nulla. Ne consegue che non sapendone assolutamente nulla, non avendone consapevolezza alcuna, l’isterica si sente, si pensa e si vive sempre e soltanto come NON COLPEVOLE, come INNOCENTE anche nel caso in cui ad inchiodarla a una qualche colpa o, se si preferisce, a una qualche responsabilità, vi fossero dei riscontri oggettivi certi e indubitabili. Appare da ciò evidente che un “senso di colpa inconscio” – proprio perché “inconscio” e nonostante gli inevitabili “effetti collaterali” negativi cui può dar luogo all’interno di una relazione, relazioni politiche incluse – assicura una via di fuga dalla Colpa garantendo al tempo stesso ad un soggetto, la possibilità di godere di un privilegio alquanto singolare: quello di collocarsi sempre e comunque nel luogo dell’ Immacolata Innocenza. Ebbene è questo, proprio questo, il privilegio di cui gode l’isteria in cui “il meccanismo del rimanere inconscio del “senso di colpa” si presenta – come Freud ci ricorda, come una “realtà psichica facilmente individuabile”.

Come dire che si tratta, nell’isteria, di una “colpa incolpevole”, di una colpa che, essendo inconscia al soggetto, non è avvertibile, percepibile e riconoscibile come tale. Di qui la rivendicazione isterica di una posizione d’Innocenza Assoluta che ne consegue, di qui l’imperativo del “senza se e senza ma” da parte di chi rifiuta l’assunzione di qualsiasi colpa o responsabilità riguardo a ciò che capita, di qui l’attribuzione di tale colpa/responsabilità unicamente e totalmente ad altri. Ebbene, poiché quanto sin qui detto potrebbe sembrare troppo astratto e/o di non facile comprensione, cercherò di renderlo accessibile utilizzando un post in circolazione che andrò a commentare punto per punto per mostrare concretamente alle Amiche mie isteriche le possibili varianti acrobatiche attraverso le quali il rigetto della Colpa e l’autoattribuzione d’’Innocenza – implicitamente presenti nella formula del “senza se e senza ma” – diventano esplicitamente percepibili. Riporto, a tale scopo, una serie di domande contenute nel post in questione alle quali cercherò di rispondere, iniziando dalla prima che suona così:

“Perchè non condividiamo il fatto che alle donne che denunciano violenza si deve credere senza se e senza ma. E che questa è una posizione politica, un obiettivo raggiunto dalla lotta trentennale dei Centri Antiviolenza, in particolare di quelli che si riferiscono a DiRE?”

Risposta: Dover credere ciecamente “senza e se e senza ma” alle donne che denunciano violenza, non è affatto una posizione politica – se il termine politica conserva ancora il significato alto che merita. La formula “senza se e senza ma” è indicativa, piuttosto, di una posizione aprioristica, dogmatica, ciecamente fideistica, settaria e rivendicazionista che ripropone, in forma rovesciata, la stessa logica di pensiero di cui la peggior tradizione maschilista si è mostrata capace.

Seconda domanda: “Come mai non riusciamo a parlare della violenza, stupro, abuso, stalking, molestie senza dover precisare le reciproche responsabilità di uomini e donne”.

Risposta:  E perché mai dovremmo farlo? Perché mai non dovremmo precisare – se e quando sono ravvisabili – le reciproche responsabilità di uomini donne? In nome di quale principio discriminante? E di quale Giustizia? Le precisazioni sono doverose, oneste e politicamente corrette. Le reciproche responsabilità – quando ci sono e quale che sia il sesso di appartenenza – devono essere individuate senza discriminazioni e sconti aprioristici e di parte.

Terza domanda: “Cosa c’è dentro di noi (sfiducia, dubbio, sospetto, disprezzo) che “politicamente” non ci fa affermare che la responsabilità della violenza agita è degli uomini e ne sono totalmente responsabili? La violenza è sempre una scelta”.

Risposta: Ad impedirci di affermare in ASSOLUTO che “la responsabilità della violenza agita è degli uomini”, a dissuaderci dal dire che essi ne sono sempre “TOTALMENTE responsabili”, non sono la “sfiducia”, il “dubbio”, il “sospetto”, il “disprezzo” nei riguardi delle donne.  A sconsigliarci di farlo è, puramente e semplicemente, l’esigenza – etica – di preservare quel tanto di onestà intellettuale che ci appartiene e che ci mette al riparo da assurde prese di posizioni ideologiche.

Ma qui mi fermo e leggo: “In un percorso di uscita dalla violenza, nel luogo adatto e con le donne qualificate a farlo, è utile definire anche le ns responsabilità o avvenimenti del passato o conseguenze della violenza stessa che ci hanno bloccato, rese passive, annichilite dalla paura, convinte che essere mansuete possa fermare la violenza. Stereotipi, educazione, fede e condizionamenti sociali esterni e familiari vivono anche dentro di noi e ci vuole un lungo percorso per superarli”.

E mi domando: ma allora, se finalmente si afferma e si riconosce che “è utile definire anche le nostre responsabilità….” Perché dovremmo limitarci a farlo di nascosto, “in segreto”, in “sordina”, “in privato”? Perché soltanto in certi luoghi e a certe condizioni, continuando invece a negare tali responsabilità proprio in quei luoghi pubblici in cui il dibattito ha luogo? Che cosa si può ricavare di utile alla chiarezza da posizioni tanto ambigue, confusionarie e ingarbugliate (per non dire incasinate)?

Quarta Domanda: “Quale sintomo misogino ci spinge a criticare, precisare, richiamare la connivenza, la complicità”?

Risposta: “Criticare, precisare” e “richiamare la connivenza e la complicità” non è affatto un “sintomo misogeno” ma è esattamente ciò che lo contrasta. E’ il minimo richiesto, infatti, per prendere coscienza di quel sintomo che si chiama “vittimismo”, per elaborarlo e, finalmente, liberarsene.

Leggo ancora: “Comprendo le donne piu’ giovani che si sono stufate di queste contorsioni e gridano “ni una mas”.

Risposta: Non ci sono “contorsioni”. Esistono invece, e per fortuna, delle complessità e criticità di pensiero che vanno riconosciute e che richiedono un attento e costante esercizio intellettivo al fine di rendere intellegibili ed elaborabili realtà non esemplificabili e irriducibili a formule e trite e ritrite date per verità Assolute.

Leggo infine: “A dire la verità mi sono stufata anche io e mi indigno di fronte alla irresponsabilità delle posizioni che mischiano obiettivi politici e analisi dei comportamenti”.

E rispondo che anch’io sono arcistufa di frasi strafatte e mi meraviglio che, sempre ancora e di nuovo in obbedienza ad un’ottica dicotomica di stampo patriarcale, si possa davvero pensare che comportamenti umani e obiettivi politici portati avanti, fino a prova contraria, da esseri umani in carne ed ossa, possano essere considerate due realtà non comunicanti, scindibili  e separate!.

Ebbene, se analizziamo con un minimo di attenzione il tenore, la qualità e la tonalità delle domande poste, non sarà difficile individuare e riconoscere nella loro stessa formulazione, il mito immaginario, il Fantasma isterico dell’Innocenza e la tendenza a rigettare la Colpa costantemente altrove, lontano da sé. Averne consapevolezza e prenderne atto, potrebbe forse aiutarci a cambiare musica e a liberarci dal banale ritornello del “senza se e senza ma” per cantare, con Guccini :

…Dai manichei che ti urlano: “o con noi o traditore”. Libera, Libera, Libera nos, Domine…

…Dai poveri di spirito e dagli intolleranti, dai falsi intellettuali, dai sicuri di sé presuntuosi e arroganti…Libera, Libera, Libera nos, Domine!

…Da crociati e crociate, da ogni sacra scrittura…Libera, Libera, Libera nos, Domine!

Ma Libera, Libera, Libera, Domine! dall’isteria, anche le “Amiche isteriche” cui si rivolgeva Angela Putino.

A chi avesse la  tentazione di leggere questo scritto come un attacco alle donne e una difesa del maschile, rivolgo un caldo invito a riconoscere che donne e uomini – figlie e figli di un sistema simbolico patogenetico sono – in modi Diversi e per ragioni Diverse – Diversamente ma patogeneticamente implicati in ciò che accade. Né gli uni né le altre sfuggono agli effetti comportamentali derivanti dal dis-ordine simbolico che li/le ha forgiati/e a sua misura.  Un Dis-ordine per rimedire al quale – ammesso che ciò sia possibile – la LEVA del cambiamento è, ancora una volta, nelle mani delle donne e soprattutto delle donne-madri alle quali l’educazione di figli e figlie viene sempre delegata.

Se mai mi dovesse capitare di vivere tanto a lungo da assistere a una radicale Metamorfosi del maschile e alla fine del suo disastroso dominio, sarei felice di poter affermare, quel giorno, che ciò è stato possibile soprattutto ad opera di noi donne.Immagine