Ossessioni speculari: “paritarismo” e “differenza” Maschere del potere

pinocchio_2di Paola Zaretti /Ossessioni speculari “paritarismo e differenza”

Maschere del potere

Sono due le ragioni generalmente indicate in questi giorni per le quali le famigerate quote rosa non vengono considerate da molte femministe, me compresa, un incentivo risolutivo alla partecipazione politica delle donne: la prima riguarda l’evidenza che nessuna legge può risolvere il superamento dei tabù e dei pregiudizi culturali, la seconda il fatto che il femminismo, nella sua anima più radicale, ha sempre osteggiato la parità assieme ai suoi effetti indesiderati: neutralizzazione del conflitto e spartizione del potere a metà. Detto in estrema sintesi: il conflitto va mantenuto, il potere non va spartito.

Se sulla prima ragione non si può che concordare – chi mai potrebbe pensare davvero che sia compito esclusivo delle leggi produrre le trasformazioni culturali necessarie? – sulla seconda vale la pena riflettere concentrando l’attenzione soprattutto sulla funzione decisiva del conflitto e sulla centralità assegnatagli dal femminismo: un conflitto che, in un’ottica radicale, deve essere mantenuto vivo attivo e operante e non può essere neutralizzato-pacificato né attraverso il dispositivo della parità né attraverso una divisione del  potere fra donne e uomini.

Indagare le ragioni di questa centralità e ricercare le motivazioni per le quali mantenere vivo, attivo e irrisolto il conflitto, considerato alla stregua di uno “stato di necessità”, è lo scopo principale di questo scritto. Se è chiaro, infatti, che il rifiuto della neutralizzazione del conflitto da un lato e della spartizione del potere dall’altro, svolgono senz’altro la funzione essenziale di salvaguardia di una “differenza” – “ostinatamente esibita” e criticamente analizzata da Putino – e i cui tratti “ossessivi” non hanno nulla da invidiare all’ossessione “paritaria”, ci pare tuttavia che la necessità di tale salvaguardia non basti a dar conto in modo esaustivo del duplice rifiuto menzionato, le cui profonde radici vanno ricercate, ancora una volta, a nostro parere, nel pensiero di Lonzi.

Seguendo questa traccia e ferma restando, a scanso di equivoci, la mia posizione da sempre contraria alla parità, mi sono chiesta, strada facendo, se il rifiuto della parità e della spartizione a metà del potere con gli uomini teorizzata e praticata da alcune femministe sia, necessariamente e in modo del tutto indiscriminato, l’indicatore di una “differenza” – e dunque di una loro autentica indifferenza al potere – o se tale rifiuto possa derivare da un inconscio desiderio di potere “tutto per se”, da un desiderio rimosso ma talmente insopprimibile da essere “agito”, senza spartizioni, all’interno di un ordine simbolico altro – l’ordine simbolico materno a tale  scopo istituito – e dunque al di fuori del simbolico tradizionalmente riservato alla politica dei padri.

Di qui la domanda posta  alcuni giorni fa:

“Forse che basta stare fuori dai Luoghi istituzionali del potere maschile per esserne fuori davvero? Credere che una scelta di “estraneità” a tali luoghi comporti automaticamente una rinuncia delle donne all’esercizio del potere, sarebbe un errore e un’ingenuità”. http://femminismoinstrada.altervista.org/un-potere-tutto-per-sè-trucchi-del-fallo/

Preso atto dunque dello “stato di necessità” di mantenere insolubile e permanente il conflitto – teoricamente sostenuto in ragione della salvaguardia della “differenza” – proviamo a fare un passo oltre domandandoci, in primo luogo, se al di là di questa salvaguardia, vi sia qualche altro fondato motivo per affermare l’insolubilità del conflitto e, in subordine, che cosa accadrebbe qualora, per una qualche ragione, esso dovesse trovare risoluzione. A raccontarci ciò che accadrebbe è, ancora una volta, il genio di Lonzi: ne andrebbe, infatti, in caso di risoluzione del conflitto, della “fine del femminismo”, a decretare la quale sarebbe proprio la “risoluzione del mito dell’uomo”, la risoluzione definitiva di un conflitto la cui radicalità va rigorosamente distinta, secondo Lonzi, dal semplice tentativo di “smaltimento” del mito attuato dal femminismo nel corso di un processo di liberazione necessariamente conflittuale:

 “Il femminismo non è altro che desiderio di un processo di liberazione attraverso il quale smaltire questo mito, non né è la risoluzione. Quella rappresenterebbe la fine del problema, quindi la fine del femminismo”.

Esisterebbe dunque un nesso – importante e trascurato – fra la necessità di conservazione del conflitto e la conservazione del mito dell’uomo, un nesso in forza del quale la conservazione del primo sarebbe funzionale alla conservazione del secondo. Il mantenimento del conflitto – e il rifiuto della parità intesa come sua possibile neutralizzazione – non sarebbe dunque funzionale, come abbiamo visto, soltanto alla salvaguardia della “differenza”, ma sarebbe necessario nella misura in cui la sua risoluzione sancirebbe la fine del femminismo.

Detto altrimenti, i tre NO teorizzati e praticati dal femminismo della differenza in nome della sua salvaguardia  – rifiuto della parità, della neutralizzazione del conflitto e della spartizione del potere  –  non sarebbero altro, paradossalmente, che delle forme di rifiuto funzionali alla conservazione del mito dell’uomo che testimonierebbero dell’impossibilità del femminismo della differenza di fare proprio quella differenza che consiste nella liberazione dal “mito dell’uomo”.

Ebbene, sarà proprio l’acquisizione di questa scoperta, di questa inquietante consapevolezza ad autorizzare Lonzi a definire la femminista una “figura drammatica che nega l’evidenza con l’avallo di un’altra femminista che a sua volta la nega…”:

 “(…). La femminista è una figura drammatica che nega l’evidenza con l’avallo di un’altra femminista che a sua volta la nega, finchè l’omertà in un punto della catena si rompe e nessuna capisce più da dove ha tratto la certezza”.

Ecco, se ho pensato di ritornare su uno dei passaggi di Lonzi che mi ha dato più da pensare, è proprio perché non sono qui per negare, con l’avallo di un’altra o di altre femministe,  ciò che mi pare evidentissimo da tempo.