Nietzsche e le donne

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Questo di oggi è il penultimo incontro di quest’anno organizzato da Oikos-bios Centro Filosofico di Psicanalisi di Genere Antiviolenza all’interno del ciclo dedicato a una grande donna, Virginia Woolf, che abbiamo voluto intitolare Una stanza tutta per noi in memoria di uno dei suoi libri più belli.

Protagonista di questo incontro e dei nostri discorsi sarà, questa volta, un uomo. Un filosofo, Friedrich Nietzsche, il cui pensiero ha fatto tremare le vene e i polsi ai suoi contemporanei e a quei filosofi interpreti del suo pensiero che hanno trovato il coraggio di cimentarvisi senza seguire, purtroppo, in molti casi, il suo accorato invito rivolto ai lettori dei suoi libri che, nel caso di un libro in particolare, lo Zarathustra suona così: Un libro per tutti e per nessuno mentre l’invito viene, da un’altra parte così riformulato :

Se mai dovesse giungere a scrivere qualcosa su di me, abbia l’intelligenza, che purtroppo ancora nessuno ha avuto, di caratterizzarmi, di “descrivermi” ma non di valutarmi…Non è assolutamente necessario, né tantomeno auspicabile, prender le mie parti: al contrario, una dose di curiosità – come davanti a un essere sconosciuto – e una certa resistenza ironica, mi sembrerebbe una posizione incomparabilmente più intelligente nei miei confronti.

Evocare, come ho fatto, la virtù del coraggio – tanto cara ai Greci – non è fuori luogo perché leggere Nietzsche comporta qualche inconveniente e persino una certa dose di rischio: il rischio di essere travolti, coinvolti e stravolti dalla sua straordinaria lungimiranza: dalla passione umana e filosofica per tutto ciò che è grande – la Grande Politica, la Grande Educazione, la Grande Salute – ma anche dalla grandezza e profondità di quel “pensiero dei pensieri” – il pensiero del ritorno – che fa irruzione ne La gaia scienza in cui viene per la prima volta così formulato:

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e innumerevoli volte…Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: “tu sei un demone e mai intesa cosa più divina?”.

Di Nietzsche, su Nietzsche è stato scritto moltissimo, potrei dire tutto e il contrario di tutto anche se non è questo il luogo per approfondire nel dettaglio né le diverse e spesso controverse interpretazioni  del suo pensiero – Heidegger, Deleuze, Lovith, per citarne alcuni soltanto – né, tantomeno, l’opera di un pensatore così ricco e complesso presentato di volta in volta come mistico, ateo, ispiratore del nazismo, antimetafisico e nemico del platonismo e metafisico fautore di un platonismo rovesciato, come sostenitore del nichilismo e distruttore dei valori e come fondatore di nuovi valori. Ciò di cui dobbiamo oggi occuparci è il Nietzsche misogino, spregiatore e odiatore delle donne per andar un po’ più a fondo, per cercare di capire se è davvero questa l’ultima parola del filosofo sulle donne. E’ per parlare di questo che ho invitato Federica Negri – laureata in Filosofia morale all’università di Padova che ha conseguito il dottorato in “Storia delle scritture femminili” presso l’Università La Sapienza di Roma e che attualmente collabora con la cattedra di “Storia della filosofia” – a presentare il suo libro Ti temo vicina, ti amo lontana. Nietzsche, il Femminile e le donne pubblicato lo scorso anno.

All’inizio del suo libro Federica ci ricorda che rispetto al grande interesse generalmente suscitato dai diversi ingredienti di cui è fatto il pensiero filosofico nietzschiano e alla ricerca dei loro nessi (volontà di potenza, eterno ritorno, oltreuomo), sono pochi gli autori e le autrici – Derrida, Irigaray, Kofman –  che hanno prestato attenzione alla problematica del femminile nella filosofia di Nietzsche, rilevando che la prospettiva più avanzata su questo tema ha trovato spazio all’interno della discussione delle filosofe femministe americane che hanno ripreso i contributi della filosofia francese degli anni ’70 e dunque i contributi degli autori e autrici citati/e. Vorrei iniziare questa breve presentazione segnalando, molto schematicamente, alcune importanti indicazioni di percorso, anticipate dall’autrice già nella sua introduzione al testo, che ci sono utili per seguire – filo di Arianna in mano tanto per essere in tema – quei passaggi cruciali che verranno successivamente sviluppati ripercorrendo, passo dopo passo, attraverso le diverse opere prese in esame – da La Nascita della tragedia fino al Crepuscolo degli idoli o all’Anticristo – il tortuoso percorso evolutivo del pensiero nietzschiano sul tema della donna e del femminile:

a)   Una prima indicazione riguarda l’opportunità di distinguere, nell’opera e nel pensiero di Nietzsche, fra il “femminile” e la “donna” che non solo non coincidono ma spesso vengono contrapposti all’interno di un medesimo contesto discorsivo. Scopo della precisazione dell’autrice, è quello di allertare lettori e lettrici mettendoli/le in guardia dal rischio di una lettura in cui – scrive:

la misoginia che avvelena molti pensieri del filosofo (…) un dato oggettivo e innegabile non deve impedirci di cogliere come vi sia, in maniera non sempre evidente, un sottile ragionamento sotterraneo che propone il femminile e la donna come elemento assolutamente positivo, forse come utopia fondativa di un nuovo modo di fare filosofia, di una nuova “vita filosofica”.

Vorrei sottolineare, in questo importante passaggio, il riferimento a due concetti, altrettanto importanti, che varrebbe forse la pena di approfondire con l’autrice: il concetto di utopia che generalmente considerato in un’accezione riduttiva e negativa assume qui una valenza positiva – e il concetto di fondazione che allude a un Atto fondante da parte della donna e del femminile, di un nuovo modo di filosofare inveratosi, peraltro, negli ultimi trent’anni,  grazie ai preziosi contributi delle filosofie femministe a livello nazionale e internazionale. Vale la pena ricordare, a questo proposito, il libro di Cavarero intitolato Le filosofie femministe ma vale anche la pena  domandarsi se Nietzsche – cui il femminismo ha prestato, in generale e a mio avviso ingiustamente e pregiudizialmente scarsa attenzione – non possa essere considerato, per certi aspetti, un suo interlocutore (sotto questo profilo ho trovato assai pertinente il riferimento di Federica a Mary Wollstonecraft, autrice del testo intitolato I diritti delle donne del 1792,  per aver dissodato il terreno e aperto la via a nuove possibilità di vita filosofica, per aver anticipato con il suo pensiero, quel gesto etico e politico inaugurato dal femminile e dalla donna che dice SI alla vita andando oltre la luttuosa sentenza del Sileno ricordato da Nietzsche nella Nascita della tragedia:

Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, non essere niente. Ma la cosa migliore per te è – morire presto.

Credo che niente meglio di questa sentenza, ricordata da Federica, possa evidenziare quel nesso fra un impianto filosofico androcentrico e il primato della morte sulla nascita, in una tradizione filosofica che ha da rispondere delle sue responsabilità nei confronti del male di cui Arendt – che pure femminista non era – parla in una delle sue opere, e su cui Cavarero, nel riconoscere il suo debito nei confronti del pensiero arendtiano per il primato  assegnato alla nascita sulla morte, non si stanca di insistere. La cura contro questa morte, è per Nietzsche, Dioniso. Un Dioniso “femminile”, sofferente, creativo, vitale, geniale e sregolato, un “Dio greco anteriore al sistema delle opposizioni teologiche” – scrive Kaufman – che noi troviamo al principio e alla fine del suo percorso speculativo: dalla Nascita della Tragedia in poi tutto è Uno, scriverà Nietzsche da qualche parte.

E scrive, a questo proposito, Negri:

Risolvere la questione del dionisiaco significa affrontare in maniera radicale la questione della presenza/assenza del femminile nel pensiero filosofico occidentale, la sua esclusione e neutralizzazione nella categoria dell’alterità.

b)  La seconda indicazione ci suggerisce di cogliere l’importanza, nel pensiero di Nietzsche, del nesso di sostanziale continuità fra il tema del “femminile” e quello della decadenza e del nichilismo nel senso che il femminile, inteso come “alternativa utopica forte”, lungi dal favorire la decadenza – di cui Socrate ed Euripide sono, nel mondo greco, due egregi rappresentanti – opererebbe nella direzione opposta, nel senso di una rinascita della filosofia le cui “forze attive” e la cui “vera potenza” sono state annientate dal dominio della moralità:

 Il femminile e il discorso sulla donna si inseriscono proprio all’interno di un progetto di “ricostruzione” di un senso complessivo, di un orizzonte propositivo che è quello che dalla decadenza, dal nichilismo, arriva alla rinascita del senso della filosofia.

 c)   La terza indicazione, la più importante, quella che raccoglie e illumina, a mio avviso, la tesi centrale del libro, ci guida alla scoperta di un nesso fra “il femminile” immaginato dal filosofo e la figura dell’Ubermensch, fra l’uomo che tende all’oltreuomo e la donna “dionisiaca” rappresentata da Arianna, la sposa amata da Dioniso ma anche “l’archetipo della donna “potente”, la possibile progenitrice dell’oltreuomo.

Ebbene, a me pare che proprio nell’individuazione e nello svelamento del senso di questo nesso tra il femminile e la figura nietzschiana dell’oltreuomo, il desiderio dell’autrice  –  compiere, attraverso il suo lavoro, quel “passo più in là”, capace di andare oltre il ben noto fantasma del femminile rappresentato dalla donna-Medusa potente e terribile che da sempre abita il maschile – trovi piena soddisfazione e compiuta realizzazione. Inutile dire che un simile progetto esige – come l’autrice non manca di sottolineare:

il passaggio obbligato “attraverso le forche caudine della figura di Dioniso e del suo doppio femminile, Arianna, per ritrovarne il senso all’interno di questa nuova ottica: Arianna che per Nietzsche costituisce realmente la vera speranza di Dioniso:

 Sii saggia, Arianna!…

Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie:

metti là dentro una saggia parola!-

Non ci si deve prima odiare, se si vuole amare?..

Io sono il tuo labirinto…

E’ nella figura di Dioniso – il Dioniso di Nietzsche, il Dioniso Zagreus come viene precisato dall’autrice che non trascura di ricordare le molte e diverse tradizioni del dionisiaco – e nella figura del suo doppio femminile, Arianna, che Nietzsche riesce ad unire ciò che il dominio di una visione filosofica esclusivamente maschile, centrale nella filosofia dell’Occidente e nella cultura che ne è derivata, aveva separato – anima e corpo – e che gli fa dire:

In tutte le opere che ho scritto, io ho messo dentro anima e corpo: non so che cosa siano i problemi puramente intellettuali.

“Bisogna scrivere con il proprio sangue”,  dirà altrove, proprio con quel sangue che manca agli “uomini dal sangue di rana” – come lui  definiva, non senza disprezzo, una certa tipologia di umani piuttosto comune. Ed è questa sua passione estrema che porterà Lou Salomè, una delle donne amate dal filosofo, a dire, di lui, con una trovata davvero felice, che Nietzsche era uno che “viveva il pensiero molto più di quanto non lo pensasse”. Non credo sia inutile ricordare, a questo punto, che è proprio alla centralità del corpo, al valore del corpo nella sua materialità, al suo sentire, al suo patire, alla sua vulnerabilità, che il pensiero femminista degli ultimi anni – soprattutto grazie ai contributi di Butler e Cavarero – ha dedicato tanta parte della sua riflessione. A meritare, infine, la nostra attenzione è una quarta indicazione contenuta nell’introduzione: è consigliabile, secondo l’autrice, evitare, nella lettura dei testi di Nietzsche:

il grave rischio di compiere un’analisi di tipo psicologico, che sarebbe del tutto inappropriata e limitativa della profondità della produzione dell’autore.

Un rischio che tuttavia può e forse deve essere assunto tenuto conto dell’inscindibilità del rapporto fra il corpus dell’opera e il corpo, la vita di un autore. Ma dell’avvertimento di guardarsi dall’intraprendere analisi di tipo psicologico, l’autrice dà conto anche in un passaggio in cui invita a diffidare di letture:

Forse troppo legate a canoni psicanalitici che non sempre riescono a mettere nella giusta luce la contraddittorietà di una presenza fondamentale, come quella femminile, e delle maschere che continuamente vi ammiccano.

Concordo e condivido senz’altro questa preoccupazione da me sottoscritta già molti anni or sono, durante la stesura di un libro inedito, Hybris, in cui sostenevo che l’utilizzo delle opere di Nietzsche e la di lui trasformazione in un caso clinico sarebbe stata un’operazione decisamente sconveniente e fuorviante non solo perché Nietzsche è e si dichiara Psicologo di se stesso:

Battere qui una buona volta problemi con il martello (…) quale delizia per uno che ha altre orecchie dietro le orecchie – per me vecchio psicologo e incantatore. (Crepuscolo degli idoli)

ma anche perché nessuno psicologo ha osato, prima di lui, pensare l’impensabile, pensare a una Psicologia intesa come una “teoria evolutiva” della Will zur MachtIl mio interesse e il mio amore per questo grande pensatore sono dunque antichi e datati almeno quanto lo è la tesi, sostenuta in quell’inedito e in alcuni Seminari intitolati Come fare psicanalisi col martello, in cui la tesi che l’oltreuomo nietzschiano sia una donna, o, per meglio dire, l’incarnazione di una figura del femminile, viene esplicitamente affermata. Di qui il mio particolare interesse per libro di Federica Negri in cui la ricerca, l’individuazione e lo svelamento di un nesso fra “il femminile” immaginato dal filosofo e la figura dell’Ubermensch mi sembra andare, per certi versi, in questa direzione. A dire dell’imprescindibilità di un tale nesso e del senso di depauperamento, di decadenza e di autodistruzione cui va incontro un’umanità monosessuata, pensata e declinata al maschile neutro singolare, privata della sua pluralità e dimidiata della metà del suo genere, sono alcuni passaggi nietzschiani che voglio ricordare:

L’uomo è qualcosa che deve essere superato.

– La terra ha una pelle; e questa pelle ha malattie. Una di queste malattie si chiama “uomo”.

– Oh dissennata triste bestia l’uomo! (…). Qui c’è malattia, non v’è dubbio, la più tremenda delle malattie che sia infuriata sino ad ora nell’uomo…

Si ha la netta impressione che in questi passaggi la critica e la diagnosi di Nietzsche si rivolgano non tanto all’uomo quale rappresentante dell’ umanità nel suo insieme, formata da uomini e donne,  ma proprio a quell’ Uomo maschile- singolare- universale e tutt’altro che neutro, che ha avuto la pretesa di rappresentarla e che da solo, direbbe Arendt, ha preteso di abitare la Terra. Ciò non ha impedito a Nietzsche di manifestare apertamente il suo odio e il suo profondo disprezzo rivolto, in particolare, ad alcuni tipologie di donna: la donna borghese, costumata, la donna povera di spirito, la donna emancipata ma anche la donna descritta come uno “spirito in catene”, animata dallo spirito di vendetta e dal risentimento che, lungi dall’incarnare una posizione di forza e di potenza rappresenta, piuttosto, un visibile segno di decadenza. Varrebbe qui la pena di domandarsi, per inciso, se certe forme, sia pure comprensibili e un tempo persino legittime di rivendicazionismo presente nel movimento femminista degli anni ‘70 siano davvero state superate o se continuino a vivere e a nutrire – condannando alla decadenza e a quel  “nichilismo passivo” descritto da Nietzsche – quel fenomeno attuale denominato neo femminismo la cui frammentazione ben testimonia di una perdita di potenza e di efficacia simbolica.

Un’idea positiva della donna cui Nietzsche giunge attraverso un percorso tutt’altro che lineare, la troviamo, secondo l’autrice, a partire dalla Gaia Scienza in poi ma questa assenza di linearità  emerge anche riguardo al rapporto fra natura e cultura nella costruzione di un soggetto. Non mancano passaggi, infatti, in cui la naturalità – la natura ferina – viene posta dal lato della donna, paragonata al gatto, e della sua inaddomesticabilità, attributo caro alla filosofa Angela Putino. Estraneità, la chiamerebbe Virginia Woolf. Quell’estraneità della donna che, come ricorda l’autrice riportando un importante passo tratto dal bellissimo libro Il femminile e l’uomo greco di Nicole Loreaux, ha luogo nel passaggio ma anche nella coesistenza, nel pensiero greco, di due tradizioni eterogenee che fanno capo, rispettivamente, all’epoca omerica e alla leggenda eroica  – “in cui un uomo degno di questo nome è più virile proprio quando accoglie in sé il femminile” – e al mondo “platonico” in cui la donna, esclusa dalla cittadinanza, fa prepotentemente ritorno come potenza femminile generatrice trasferita sul filosofo che partorisce il pensiero. Vorrei ricordare, tornando al Dioniso di Nietzsche, un Dioniso “femminile”, un’altra, fra le tante caratteristiche di questo dio – nato, ricordiamolo, dalla coscia di suo padre rubato al corpo materno  – sottolineata da Negri nel suo libro: la gravidanza, ossia:

la capacità  di ricevere e trasformare gli stimoli multiformi della vita per creare con questi qualcosa di assolutamente nuovo.

Ma è indispensabile, per questa nuova creazione, che Arianna, dopo aver aiutato Teseo a  salvarsi dal Minotauro e a uscire dal Labirinto, venga da lui abbandonata essendo proprio questo abbandono, questa presa di distanza da Teseo,  ciò  che permetterà alla sua potenza femminile di affermarsi e ad Arianna di trasmutarsi. Perché? Perché – così scrivevo molti anni fa in un seminario intitolato  Arianna fra Teseo e Dioniso dedicato alla Clinica della Differenza – nella coppia Teseo-Arianna non c’è nulla di quel divino che c’è nella coppia Dioniso-Arianna. Teseo è, infatti, l’incarnazione dell’uomo “superiore”, l’uomo che deve essere superato – da non confondere con l’Uber Mensch – è il prototipo maschio dell’eroe che sconfigge il mostro ma a cui manca la virtù essenziale del toro, ovvero la capacità di liberarsi dal giogo. Ed è  questa la ragione per cui  finché Arianna è accecata dall’amore per Teseo, il labirinto può essere imboccato solo alla rovescia e può condurre solo ai valori superiori attraverso il filo morale del risentimento. Finché la donna  ama l’uomo – si tratti anche dell’uomo superiore, ne è madre, sorella sposa, non è altro che l’immagine femminile dell’uomo: la potenza femminile non ha modo di esprimersi. La femminilità delle terribili madri, sorelle e spose rappresenta lo spirito di vendetta e il risentimento da cui l’uomo stesso è animato. Ma Arianna, dopo essere stata abbandonata da Teseo, sente sopraggiungere una trasmutazione: la sua potenza femminile si libera, diventa benefica e affermativa (…) dal punto di vista di ciò che costituisce l’eterno ritorno Dioniso come oggetto di una seconda affermazione è la prima affermazione, il divenire e l’essere, ma il divenire che è essere solo come oggetto di una seconda affermazione; questa seconda affermazione è Arianna, la sposa, la potenza femminile di amare. (Deleuze, Nietzsche e la filosofia)

Se dunque le donne vogliono fare qualcosa di nuovo devono abbandonare l’UOMO, nel senso che devono abbandonare ogni riferimento ai modelli di mascolinità che sono i soli ad essere stati loro tramandati. E’ questa la “conversione al femminile” di cui parla Irigaray senza la quale una politica delle donne resta, tutt’al più, uno slogan felice e nulla più.

 Domande:

1)  Le filosofe femministe si guardano bene dal citare Nietzsche o di fare riferimento al suo pensiero anche se pare che qualcuna di loro abbia fatto eccezione a questa consuetudine. Da che cosa dipende, secondo te questo rifiuto? Da una lettura pregiudiziale o da che altro?

2) “La strada della filosofia deve passare attraverso il corpo. Il Sé non solo abita il corpo ma è corpo” – scrivi. Questa è una necessità, direi una centralità, per la vita e la sussistenza della filosofia, fortemente sottolineata dal pensiero filosofico femminista che pure non pare riconoscere nel pensiero nietzschiano un precursore alle proprie elaborazioni sull’ importanza del corpo. Puoi dirci qualcosa su questo antecedente, su come il corpo, non scisso dalla mente, entra nella filosofia di Nietzsche e la abita?

3) In che cosa consiste la novità del Dioniso nietzschiano?

4) Che cosa intendi dire quando affermi che “Dioniso è un vero e proprio dispositivo interpretativo della filosofia di Nietzsche”?

5) Tu affermi che proprio la dimensione “mitica” dello Zarathustra sia la via migliore per intendere il nuovo tipo di donna che il filosofo identifica con colei che “partorirà l’oltreuomo”. Ecco come deve essere questa donna? Che posto dà alla donna Nietzsche quando le assegna un tale altissimo compito? Tu vedi all’orizzonte delle Arianne, della figure di donne capaci di tanto? Che vuol dire partorire l’oltreuomo?

6) La danza ha un’importanza centrale nel pensiero di Nietzsche: Solo nella danza io so parlare delle cose alte” (Zarathustra, Il Canto dei sepolcri). Lei è d’accordo, mi pare, con la tesi di Pasqualotto sul legame tra la danza, il riso e il “passare oltre”- il tramontare, come indicatori di una totale assenza di fanatismo sia nel rigettare vecchi valori, sia nel proporne di nuovi. Il distruggere, insomma, avviene in funzione del creare.

7) Un altro aspetto interessante di cui si fa menzione anche nella Postfazione di Bruna Giacomini, è il concetto di complementarietà applicato al rapporto uomo-donna, su cui Nietzsche, in una certa fase della sua riflessione, appare talmente critico da oltrepassarlo. Questa posizione è molto vicina alla tesi di A. Cavarero che smonta il principio di complementarietà – che si colloca all’interno dell’economia binaria e finisce per riciclare “l’immaginario androcentrico in versione pacificata” sostituendo alla subalternità la complementarietà e al conflitto l’armonia. Tu, cosa ne pensi?

8) A proposito del legame che esisterebbe fra l’uomo che tende all’oltreuomo e la donna “dionisiaca” – rappresentata al massimo grado da Arianna – tu insisti, giustamente, in diversi punti del tuo libro, sul fatto che questa coappartenenza, venendo alla luce in un testo come lo Zarathustra che non è certamente un manuale dottrinario, deve essere pensata in una dimensione mitica ed extratemporale. Che cosa significa questo sul piano concreto? Che dobbiamo rassegnarci rinunciando a ipotizzare, immaginare, prefigurare e incentivare una crescita che avvicini uomini e donne a queste due figure mitiche?

 

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