Prostituzione. Almeno un pelo nero…

Donna

di Paola Zaretti/ Prostituzione. Almeno un pelo nero...

Dallo smisurato numero di commenti postati in questi giorni in tema di prostituzione in cui la discussione fra femministe “abolizioniste” e femministe “libertarie” si è fatta rovente, ne ho scelti due, per brevità, indirizzati alle prime, e seguiti da una riposta-consiglio che ben si presta a darci la misura della temperatura del contendere

Che moralismo disgustoso. Ma se io volessi fare la prostituta perché magari lo trovo eccitante, devo chiedere il permesso a qualcuno? C’è qualche femminista che mi manderebbe in un campo di rieducazione?”

Perché qualcuna che si sente meglio di me deve scegliere cosa io devo fare del mio corpo e come io devo vestirlo? Poi vi lamentate dei bigotti. Se il vostro progresso è l’imposizione di ciò che voi volete per voi su di me, benvenuta alla preistoria.

Risposta:

Vai a battere

O fai già la puttana?

Sono commenti che ci parlano di una delle tante guerre in corso condotte contro le sostenitrici dell’abolizionismo considerate – in omaggio alla solita logica maschile di schieramento – come un blocco unico, compatto e indifferenziato al suo interno. Ne ho riportati solo due ma dello stesso tenore ce ne sono moltissimi e vanno tutti, immancabilmente, nella stessa direzione accusatoria.

Vero è che potrei disinteressarmene se non fosse che fra le favorevoli all’abolizionismo ci sono pure io, anche se forse, anzi senz’altro, a modo mio. In quel modo che sempre e per principio mi impedisce di aderire ideologicamente e ciecamente, anima e corpo, a una posizione – quale che sia – senza sottoporla a vaglio critico, senza tener conto dei limiti a cui può, di diritto e di fatto, essere esposta. A modo mio, significa, in questo caso, che il fatto stesso che la posizione “abolizionista” sostenuta da molte donne abbia dato luogo, di fatto, a letture, a interpretazioni e a reazioni di altre del tenore di quelle sopra riportate, è bastato ad allertarmi, a farmi riflettere, e a sottoporre il mio posizionamento a riflessione critica – in solitudine o con chi lo vorrà. Se la posizione abolizionista dovesse infatti coincidere e corrispondere a quella descritta ne andrebbe, evidentemente, della sua validità.

Uno dei tanti aspetti che colpisce nei due commenti riportati è la tonalità fortemente re-attiva, una reattività, bisogna dire, del tutto speculare e conforme alla qualità, allo stile e alle tonalità che spesso caratterizzano i messaggi diffusi da alcune abolizioniste, vissuti, da altre – a ragione o a torto – come “ingiunzioni”. Se da un lato tali messaggi si prestano, in effetti, al di là delle intenzioni, ad alimentare l’idea di un femminismo abolizionista autoritario, intransigente, moralista, bigotto e coercitivo che non senza pretese di tipo escatologico tenderebbe a imporre sulla prostituzione e sulla “libertà di scelta” la propria visione come unica e assoluta, essi contribuiscono, dall’altro, al fallimento delle stesse finalità cui sembrano mirare, facilitando reazioni, rotture, opposizioni violente e incomprensioni che non giovano alla “causa” di nessuna, men che meno a quella delle prostitute. Detto altrimenti, se certi messaggi delle “abolizioniste” hanno il potere di provocare nelle “libertarie” delle reazioni così forti da far loro pensare che si punti, attraverso tali messaggi, a una limitazione della loro libertà di scelta, bisogna pur supporre che una qualche ragione vi sia. Dice un vecchio proverbio che di una vacca non si può dire che è nera se non ha almeno un pelo nero. Ebbene, è questo “almeno un pelo nero” che mi interessa individuare. Ci deve pur essere, insomma, almeno un pelo nero, almeno una ragione se le precisazioni delle abolizioniste sulla libertà di ciascuna di prostituirsi – come quella contenuta nel brano sottoriportato e più volte ribadita in altri contesti – non basta a placare gli animi, non basta a modificare la negatività di un giudizio vissuto come tale da chi tale libertà rivendica, non basta a convincere che non c’è, nella loro posizione, né ingiunzione, né moralismo nè bigottismo, né fascismo – visto che di questo, nientemeno, – vengono persino accusate. Leggiamo una di queste precisazioni:

se un* vuole vendere il suo corpo a casa sua, ne è felice, sono fatti suoi. Qui non si parla di escort felici e contente e ben remunerate né, ovviamente di donne che fanno sesso libero e consenziente con maggiorenni. Qui si parla del 95% o anche più delle donne vittime della tratta, costrette a decine e decine di rapporti non voluti , sottoposte a violenze da parte di clienti, rispettabili padri di famiglia, anche. Vendere il proprio corpo NON è una professione.

I tentativi come questo di far chiarezza attraverso precisazioni e distinzioni fra escort felici libere di esprimersi sessualmente come meglio credono e vittime di tratta schiavizzate, pur essendo assai frequenti, paiono dunque destinati a cadere nel vuoto, sembrano – incapaci come sono di ridurre la frattura tra le “abolizioniste” e le altre – del tutto inutili allo scopo. Perché non servono? Perché questi tentativi non convincono e non sortiscono alcun effetto? Come se le parole impiegate dalle prime per far chiarezza e le ripetute dichiarazioni d’intento non bastassero a garantire della loro credibilità, come se queste parole mascherassero la verità non detta, taciuta, omessa, di un messaggio altro e non conforme a quello veicolato dalle parole. Non sarà forse perché a tradirci sono, a volte, e nonostante le nostre migliori intenzioni, proprio le parole che usiamo? Non sarà che in queste reiterate dichiarazioni di sacrosanta difesa delle vittime di tratta e di sfruttamento della prostituzione, traspare qualcosa che va oltre un amorevole desiderio di tutela, qualcosa che risponde a una sorta di volontà salvifica universale nei riguardi delle donne considerate vittime – incluse quelle che tali non si sentono, non si vivono e che a tale salvezza sono del tutto disinteressate?

Le donne hanno in dote, si sa, un fiuto sottile e raffinato nel cogliere, al di là delle parole, le sfumature dei detti dentro i quali  gli indicibili non-detti spesso si celano. E poiché sono convinta che per uscire da questa immonda guerra fra “abolizioniste” e “libertarie”, fra “moraliste” e “non moraliste” (l’accusa di moralismo rivolta alle prime, detto per inciso, non c’entra nulla perché di ben altro, se mai, si tratta), sia necessaria un’analisi un po’ più puntuale della formula “libera scelta”, proverò a concentrarmi su questa considerandola da varie angolature.

 Sulla “libera scelta”: Oltre la formula.

Se una donna afferma di aver liberamente scelto di fare la prostituta ho due possibilità: posso credere a ciò che dice, credere che ciò che dice sia la verità, o non crederle, credere che ciò che dice sia falso, credere dunque che lei menta. Nel primo caso sarò facilmente portata ad accogliere e a rispettare la sua scelta, nel secondo mi sarà difficile accogliere e rispettare una scelta che considero, arbitrariamente, una menzogna, una menzogna che una donna racconterebbe, prima che a me, a se stessa sapendo  – o non sapendo – di mentire. Si può mentire infatti consapevolmente e inconsapevolmente. La mia posizione, il mio atteggiamento – credere o non credere a ciò che mi dice – riveste dunque, in quest’ambito, un peso tutt’altro che irrilevante, un peso che sarà determinante nell’orientare – positivamente nel primo caso, negativamente nel secondo – sia il mio giudizio sulla libertà di quella “scelta”, sia l’impianto argomentativo che, a partire da tale giudizio, andrò a costruire nell’ accoglierla positivamente come vera o nel considerarla negativamente come falsa.

Ma non è tutto. C’è che quando una donna afferma di aver “liberamente scelto” la prostituzione, è possibile:

a) che essa sia pienamente consapevole di non essere stata libera di scegliere e che dunque menta sapendo di mentire quando afferma di averlo fatto liberamente;

b) che essa non sia per nulla consapevole di non essere stata libera e che dunque dica la verità quando afferma  di averlo fatto liberamente;

c) che la donna sia stata effettivamente libera di scegliere.

Ebbene, per dirla in sintesi, credo che le discussioni infuocate, le incomprensioni, le opposizioni e la sgradevolezza generale del clima che infesta  e rende da tempo infrequentabili alcune pagine di fb , derivino dalla fuorclusione, all’interno del dibattito, di una delle tre ipotesi contemplate. Che la fuorclusione riguardi la terza possibilità – la possibilità che una donna possa liberamente scegliere di prostituirsi, risulta evidente anche quando, a parole, tale libertà viene affermata. La scelta, insomma, non sarebbe mai veramente libera e la donna mentirebbe in ogni caso: mentirebbe sapendo di mentire e mentirebbe credendo di dire la verità. Tertium non datur. Ma se tertium non datur è segno che la contesa è rimasta intrappolata dentro il solito dualismo oppositivo e questo la dice lunga quanto alla reale possibilità delle donne che contestano il patriarcato di uscire da una logica (binaria) che è la sua. Se non si riesce a percepire, a riconoscere e ad ammettere il disprezzo e il giudizio negativo che trapela da una frase liquidatoria come questa (ma ce n’è un’infinità), non c’è speranza di uscire da questo contenzioso:

 se un* vuole vendere il suo corpo a casa sua, ne è felice, sono fatti suoi.

E allora, se è vero che le “abolizioniste” vogliono l’abolizione della prostituzione ma riconoscono davvero la “libertà di scelta”, e se dunque le “libertarie” sbagliano nell’accusarle di “moralismo disgustoso” o nel domandarsi se qualche femminista le manderebbe in un “campo di rieducazione”, o ancora, se sia lecito che qualcuna decida che cosa un’altra debba o non debba fare del suo corpo, ciò significa che siamo di fronte a un nodo che deve essere sciolto. Ma un nodo, si sa, un nodo di parole, non nasce dal nulla e noi siamo responsabili di ciò che diciamo, della parole che che mettiamo in circolo e diffondiamo e dei loro effetti. Quanto a me, credo di aver espresso con chiarezza la mia posizione: abolizionista sì, a modo mio, distante da fondamentalismi e senza smanie di conversione. Non tocca a me decidere e giudicare, in generale, se la scelta di una donna è una scelta libera o no. Non ho e non mi riconosco alcun potere, diritto o autorizzazione per farlo. La sola cosa che posso fare è aiutare, chi lo vuole, a cercare e a trovare la propria verità. Ma ciò che non si può fare è trarre dalla propria esperienza personale un principio e proporlo come assoluto e universalmente valido per tutte le donne che sono tante e tutte diverse. Forse che il fatto di essere madre e di aver vissuto direttamente l’esperienza del materno mi autorizza a parlare a nome e per conto di tutte le madri che sono tante e tutte diverse avendo vissuto, ciascuna a suo modo, singolarmente, la maternità?

L’Universalismo – come la prostituzione – è una malattia maschile.

2 risposte a “Prostituzione. Almeno un pelo nero…

  1. Credo sarebbe molto interessante procedere con analisi emozionale del testo (AET), mi sembra ci siano alcuni termini molto forti e indicativi di uno schema di riferimento preciso. Buon lavoro.

  2. La ricerca del piacere (c’è chi ne è ossessionat*) passa e si infila dentro la “devianza”
    il mondo FETISH ne pullula assai.
    il piacere di prostituirsi esiste. E’ un gioco di ruolo.
    E’ verifica costante del consenso ottenuto come Merce.
    E’ un gioco al massacro “salvifico”: esisto e sto bene perchè pratico ciò.
    Punto. la Morale e l’Etica, lo sfruttamento vergognoso su schiave, prigioniere cadute in trappole criminali, non c’entra nulla. Lì, caso mai, c’entra il cinismo e la malvagità di “certi” maschi e femmine CLIENTI.

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