Lonzi fa Tabula rasa del “Superfluo”

imagesdi Paola Zaretti/Lonzi fa Tabula rasa del “superfluo”

“Sono distruttiva e costruttiva. Forse è questo: che mi soddisfa costruire eliminando il superfluo quello che non regge alla critica.” (Lonzi)

Eliminare il superfluo che non regge alla critica: ecco che cosa significava per Lonzi essere distruttiva e costruttiva.

– Che cosa può significare oggi per il femminismo “costruire eliminando il superfluo”? E che cos’era per Lonzi il “superfluo”? Non dobbiamo fare la fatica di cercare lontano, a dircelo, infatti, è lei stessa: superfluo è tutto ciò che “non regge alla critica”. Il superfluo è dunque, per Lonzi, esattamente l’inverso di quelle “premesse” indispensabili  “buttate a mare” – a suo dire – come superflue, da alcune femministe troppo prese dall’”urgenza di presentare un bilancio”. C’è forse del “superfluo” oggi, nel femminismo, qualcosa di troppo che “non regge alla critica” e che andrebbe dunque eliminato? Seguendo il ragionamento di Lonzi, ne va, evidentemente, a seconda della risposta che daremo alla domanda,  della stessa “superfluità”, della stessa inutilità – o meno – del femminismo. Eppure una cosa è sicura: se c’è un luogo disabitato dal superfluo, è certamente una Tabula rasa che, proprio in forza di questa sua condizione di privilegio, potrebbe ancora godere, almeno teoricamente parlando, delle condizioni ideali per “reggere alla critica”. Anche alla critica sollevata da alcune femministe – poche per la verità – che sul titolo Tabula rasa. Il femminismo ritrova la strada con cui abbiamo battezzato il  nostro blog di recente creazione, hanno sollevato alcune obiezioni che volentieri accogliamo e alle quali desideriamo rispondere argomentando le ragioni della nostra scelta.

Va detto, innanzi tutto, a onor del vero, che la seconda parte del titolo inizialmente proposto da una delle fondatrici del blog, suonava così: Tabula rasa. Il femminismo ha perso la strada? Su questa prima formulazione interrogativa c’era chi, temendo che  potesse dar luogo a un’interpretazione “negativa”, ne ha proposto la modifica nella versione assertiva che compare attualmente nel blog. Tuttavia, la critica principale sollevata da alcune, riguarda soprattutto la prima parte del titolo, Tabula rasa, che condensa in due parole-chiave la visione femminista etica e politica di Carla Lonzi la cui pratica del “partire da sé” viene oggi costantemente invocata come prioritaria e ineludibile,  non solo da alcune femministe “delle origini” ma anche da donne di nuova generazione.

Da dove nasce allora un certo scon-certo nei riguardi di questo titolo? Lo “scandalo”, se così si può dire esagerando, sembrerebbe derivare dall’attribuzione a due piccole parole – Tabula rasa  – di un enorme potere: il potere performativo di eliminare non già, come voleva Lonzi, “il superfluo”, ma, nientedimeno che una parte significativa di storia del femminismo italiano considerata da coloro che l’hanno vissuta, tutt’altro che superflua se non altro per la notorietà guadagnata da alcune in corso d’opera. Ora, il fatto che due parole di un titolo che ripropone all’attenzione il pensiero di Lonzi possa scatenare reattivamente  fantasmi di scomparsa e di annientamento, è un elemento di cui tener conto benché sia opportuno domandarsi da quali regioni profonde tali fantasmi possano avere origine in donne nei cui discorsi i riferimenti a Lonzi e alla pratica autocoscienziale da lei introdotta sono pressoché costanti.

Da dove nasce, insomma – ci chiediamo – l’idea, o, per meglio dire, la paura, che il titolo di un blog abbia il potere di eliminare, considerandole “superflue” – e dunque incapaci, nell’ottica di Lonzi,  di “reggere alla critica”  –  delle donne che hanno avuto di fatto, nel bene e nel male, una parte considerevole nella storia del femminismo? Non sarà che ad innescare questo fantasma di “superfluità” – e il terrore di scomparsa che lo accompagna – sia proprio quell’incapacità di reggere alla critica di cui parla Lonzi? Secondo la quale, a far sentire superfluo il superfluo, è proprio tale incapacità. Ma c’è forse, nella critica a un titolo un tempo apprezzato, di lonziana memoria, qualcosa di più consistente e sostanziale, qualcosa di non-detto e di non dicibile. C’è forse che una parte del femminismo italiano ha “buttato a mare” da tempo la pratica autocoscienziale considerata una pratica “a termine”, finita e sostituita dalla “pratica dell’inconscio e, successivamente, dalla “pratica del fare”. Va da sé che ogni scelta è libera e legittima ma invocare Lonzi ad ogni buona occasione, dopo averne gettato a mare  la pratica, accontentandosi di nominarla, ci pare  davvero irrispettoso nei riguardi di una grande pensatrice. E c’è da credere che forse il rifiuto e la critica rivolti al titolo, derivino da quel meccanismo  piuttosto noto  e frequente che si chiama “spostamento”.