Invidia e stupore della nascita

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di Paola Zaretti /Da Donne in strada a scuola di non violenza

All’invidia per le potenzialità del corpo femminile, presenti nel miti e nella Tragedia antica, filosofi e teologi non si sono sottratti. Lo stupore, che può suscitare nell’uomo la meraviglia della nascita che trasforma un corpo erotico di donna in un corpo di madre, lo troviamo splendidamente descritto da Péju nel dramma di una donna di circa vent’anni che, incinta e vicina al parto, viene arrestata e portata in un campo di internamento francese. La donna, rinchiusa in una stanza e “squassata” per un’ intera notte dalle doglie, si accorge che la finestra:

era completamente ostruita da teste di uomini che ridacchiavano, teste che si urtavano, si sovrapponevano per restare dentro a quel rettangolo e fissare lo sguardo sul suo corpo e sul suo sesso. (9) “Gli uomini urlando tutte le parole volgari che conoscevano, le chiedevano di muoversi, di alzarsi, girarsi e di rigirarsi per loro. (10)

Cercò di nascondersi ma alcuni soldati che non sopportavano di perdere lo spettacolo, nello stato di follia in cui li aveva gettati questa visione di donna nuda, erano andati a cercare delle lunghe pertiche di ferro (…) cercando a tastoni la donna (…) per poi sospingerla al centro della cella. (11)

Alla fine, rinunciando a fuggire, trovò la forza di alzarsi, di risalire sul tavolo e di far fronte ai suoi torturatori (…) sbeffeggianti, una forza incredibile, salita dal fondo del suo essere, al fondo senza fondo della vita (…). (12)

Regalmente, scegliendo di far fronte al loro entusiasmo da caserma, si accinse a partorire, le gambe divaricate, le cosce in alto, la vulva dilatata fin quasi a squarciarsi (…). (13)

Allora, con gli occhi chiusi, la testa tesa, il mento affondato nel petto lucido di sudore, i tratti convulsi, le dita avvinghiate al ventre come artigli, gli avambracci che premevano i fianchi come una morsa, spingendo soffiando, spingendo a più non posso, sentì che tutto si apriva, che questa massa dura che le divaricava le ossa, che le squarciava la carne, era la testa del bambino, che quella testa sarebbe passata (…) che doveva forzare ancora, spingere, spingere sempre e infine prendere, con le mani scivolose, il corpo intero che puntava sotto di lei. (14)                                                                                   

Il bambino era lì.  

La stanza era sospesa in un silenzio soprannaturale che avvolgeva le cose e i corpi. (16)

Perché i soldati, che non avevano smesso di premere la testa contro le sbarre, tutti quei pezzetti di uomini che ostruivano la finestra, d’un tratto non facevano più alcun rumore. Restavano là muti, affascinati con lo sguardo velato e vuoto incollato al corpo ansimante che si era brutalmente sdoppiato (…). (17)

Quanto tempo restarono insieme, la puerpera e tutti quei ragazzi esterrefatti? E’ un istante che si sottrae a ogni logica, che non si può misurare (…). Un branco di soldati tenuto a bada da un neonato di pochi minuti (…).  (18)

Il piccolo si mosse di nuovo, ma con più vigore e la donna, in uno slancio di intempestiva generosità, o per il senso del trionfo sulla propria estrema debolezza, ebbe l’impulso di presentarlo ai suoi carnefici pietrificati e, mentre lo girava e lo sollevava a fatica con le braccia, il neonato emise il suo primo grido (…) e allora fra gli uomini ci furono delle risate, risate tranquille, imbarazzate, quasi liete, quasi intenerite, delle risate che avevano il solo scopo di impedire le lacrime. (19)