Stato interessante

Parto

di Paola Zaretti / Stato interessante

Madri non Madri

Considerata la nascita, all’interno del blog Tabula rasa, di Stato interessante – una pagina che abbiamo voluto dedicare al materno – e l’importanza da noi assegnata a questo spazio, ci sembra utile e stimolante ai fini di  una eventuale discussione, commentare un interessante testo di Lia Cigarini diffuso qualche giorno fa nella pagina della Libreria delle donne di Milano se non altro perché esso sembrerebbe in qualche modo smentire la realtà di un certo disinteresse del femminismo riguardo al tema del materno da noi a suo tempo così enunciata:

 “Perché le femministe sono così poco interessate a Stato interessante? – ci chiedevamo un po’ di tempo fa. Qual è la ragione di questa evidente presa di distanza, quasi un tabù, da ciò che concerne la sfera del materno e come si accorda questa presa di distanza – che ha tutto l’aspetto di una “resistenza” – con il desiderio, indubbiamente interessato, che ha portato delle donne ad accogliere, in passato, la teorizzazione di un ordine simbolico materno al punto di farne una pratica di “cura dell’isteria” all’interno di tale ordine?”

Stante il crescente interesse che il tema del materno sta suscitando in questi giorni, nel procedere a fornire il link di riferimento utile alla lettura del testo di Cigarini, seguito da commento, ci chiediamo se il nostro “bilancio” iniziale sullo scarso indice di gradimento – di cui abbiamo voluto dar conto nel blog e nella pagina fb di Tabula rasa non abbia avuto esso stesso una funzione attivante nella promozione di un tema di questi tempi decisamente trascurato.

 http://www.libreriadelledonne.it/e-morta-antoinette-fouque/

Capita, a volte, che ci sia bisogno che qualcuna muoia perché il suo pensiero – mi riferisco al libro di Antoniette Fouque, psicanalista e femminista francese conosciutissima in Italia negli anni ’70  – diventi “interessante e sollecitante al presente”.

Si nasce e si muore e si rinasce.

Di che genere di “interesse” e “sollecitazione” si tratta in questo nostro “presente?” Di un interesse al materno? Alla psicanalisi? A ciò che, del pensiero di Fouque, ha potuto sedurre e poi allontanare, in passato, alcune femministe milanesi e che oggi provvidenzialmente risorge nella speranza di far uscire il femminismo dalla  situazione di stallo in cui versa da tempo?

Di un interesse a tutto questo – si arguisce dal testo.

Ma non erano forse note alle femministe italiane, già dai primi anni ’70, le tesi di Fouque sull’importanza della psicanalisi come “arma rivoluzionaria”, la sua critica a un ordine simbolico come luogo di “…un solo linguaggio e due corpi sessuati diversamente che sono tutti e due preda di questo linguaggio”, su un ordine, dunque, incaricato da un unico simbolo maschile il “fallo”, a rappresentare due sessi?

Da dove nasce dunque, al di là dell’evento e del comprensibile e condivisibile dispiacere per la morte di una donna importante, questo improvviso interesse per il pensiero di Antoniette? E dopo tanta ricchezza e tanta scienza assimilata in passato, nonostante lei, grazie a lei e alla sua formazione psicanalitica – da cui nascerà, in Italia, la “pratica dell’inconscio” – è davvero ancora possibile e credibile parlare di rivoluzione simbolica, di contrasto al primato fallocentrico sostenendo, al tempo stesso, che il fallo, un simbolo maschile, è un significante che rappresenta anche la donna, senza avere l’accortezza di aggiungere che la rappresenta in quanto soggetto neutro maschile e senza trarne, soprattutto, le dovute conseguenze sul piano dell’analisi personale e politica?

Ebbene sì, è possibile. Il che equivale a dire che senza un serio lavoro di liberazione dal fantasma fallico – da cui le donne non sono più immuni degli uomini e i cui risvolti violenti appaiono evidenti – senza fare Tabula rasa di questo fantasma, parlare di un “pensiero della differenza” è  mistificante.

Per tornare ad Antonietta Fouque, “rilanciata” allo scopo di rivitalizzare un dibattito femminista “illanguidito”  che segna il passo ormai da tempo, va detto che la sua tesi sulla gestazione come “concepimento spirituale e carnale dell’altro”, come “attenzione vivente ed esperienza eteronoma che sa far posto in sé, al non sé” e come “paradigma dell’etica e della democrazia”, era ben nota alle femministe degli anni ’70 che l’avevano personalmente incontrata.  Va inoltre ricordato – come del resto viene apertamente dichiarato nel testo – che l’accento posto da Fouque sul materno, fu rifiutato da molte femministe allora disinteressate all’esperienza di “diventare madri” e interessate, invece, alla “dimensione, esistenziale e relazionale, di venire al mondo da una donna”.

Fu così e per queste ragioni che si andò consumando, in quei primi anni ’70,  la fine di ogni scambio politico del femminismo milanese con Fouque e con Psychanalyse et Politique, così come si consumerà il rapporto con Lonzi e con la sua pratica autocoscienziale e infine, con Irigaray, per stringersi, in un  abbraccio mortale, attorno a qualche Padruncolo della psicanalisi lacaniana che oggi si serve di alcune femministe “accademiche” per continuare in Italia a “curare” le donne.

Viene in mente qui – sit venia verbis – quel “mito dell’uomo” di cui parla Lonzi, che destina le donne a utilizzare spesso nei riguardi delle loro simili la stessa categoria dell’ ”usa e getta” riservata loro dagli uomini per rivolgersi, infine, sempre e ancora, verso l’uomo.

Al di là del ricordo, dicevo, del sincero dispiacere e del lutto comprensibile per la morte di Antoniette, come spiegare tanto interesse per dei temi da lungo tempo archiviati  dal momento che non basterà certo invocare l’ordine materno per dar conto del tabù del materno che pure, con questo ordine, deve pur avere una qualche relazione che  ancora attende di essere indagata. Non possiamo non chiederci – e i cenni di Cigarini a una “discussione un po’ illanguidita” all’interno del femminismo ci autorizzano a farlo – se l’interesse per il pensiero di Fouque, da immemorabile  tempo  abbandonato, e il bisogno di voltarsi indietro verso questa importante figura femminile, non derivino dall’ acuta percezione e dalla consapevolezza di un percorso che, iniziato sull’onda della differenza, si ritrova oggi, dopo tante peripezie, al capolinea della tanto disprezzata-agognata emancipazione-identificazione con l’uomo e alla scoperta del nesso cruciale esistente fra la realizzazione del desiderio e la sua morte.

Perché, altrimenti, “rilanciare” il desiderio scegliendo proprio la morte come strumento e punto di svolta di questo rilancio? Inutile aggiungere che tutto questo Lonzi, con la sua lungimiranza, l’aveva previsto:

 Il mito dell’uomo è di tutte, sia come partner che come cultura, e non c’è proposizione rivoluzionaria o atteggiamento di riserbo che tenga: il mito è lì, camuffato, nascosto, ibernato, ma pronto a uscire fuori alla prima occasione. Il femminismo non deve istituzionalizzare la tipica inibizione delle donne che solidarizzano tra loro negando reciprocamente il mito dell’uomo. Il femminismo non è altro che desiderio di un processo di liberazione attraverso il quale smaltire questo mito, non ne è  la RISOLUZIONE. Quella rappresenterebbe la fine del problema, quindi LA FINE DEL FEMMINISMO.