Scenari dell’Orrore

“La terra […] ha una pelle; e questa pelle ha malattie. Una di queste malattie di chiama ‘uomo’.”[1]

“L’uomo è qualcosa che deve essere superato.”[2]

“Oh dissennata triste bestia l’uomo! […]. Qui c’è malattia, non v’è dubbio, la più tremenda malattia che sia infuriata sino ad ora nell’uomo e chi ancora riesce a udire come in queta notte di martirio e di assurdità ha echeggiato il grido amore, il grido della redenzione dell’amore, si volge altrove, colto da un raccapriccio incoercibile. Nell’uomo v’è tanto di terribile! Già troppo a lungo la terra fu un manicomio!”[3]

“io vorrei modestamente suggerire che noi dobbiamo tener conto del fatto che l’umano può rivoltarsi contro l’umanità e che non solo effettivamente lo fa, ma talvolta lo fa perché trova insopportabile la sua stessa condizione umana.”[4]

“L’umanità non si raggiunge mai in solitudine, né rendendo pubblica la propria opera. L’umanità può essere raggiunta solo da chi ha esposto la propria vita e la propria persona al rischio della sfera pubblica.”[5]

“Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene.”[6]

Per questo siamo qui

“La guerra è sempre stata l’attività specifica del maschio e il suo modello di comportamento virile.”[7]

“Perché i maschi accettano di soggiacere a un potere politico che chiede prezzi elevatissimi non solo in ordine alle aspettative di felicità della vita ma della vita stessa, dal momento che essi sono allevati, manipolati, per essere sacrificati nella celebrazione di quei ‘riti di sangue’ che sono le guerre?”[8]

“Il pensiero maschile ha ratificato il meccanismo che fa apparire necessaria la guerra, l’eroismo, la sfida fra le generazioni. L’inconscio maschile è un ricettacolo di sangue e di paura. Poiché riconosciamo che il mondo è percorso da questi fantasmi di morte e vediamo nella pietà un ruolo imposto alla donna, abbandoniamo l’uomo perché tocchi il fondo della sua solitudine.”[9]

“La violenza che si esercita è sempre speculare a quella che si infligge a se stessi. La violenza che ci si infligge è sempre speculare a quella che si esercita. È questa l’Intelligenza del Male.”[10]

“La vera identità di uno Stato di guerra è uno Stato di Stupro. Le invasioni militari sono ‘elaborazioni del tema dello stupro e del genocidio’”.[11]

“Dove sono? Che cosa vuol dire il mondo” Chi mi ha attirato fin qui e poi mi ha lasciato? Chi sono io? E come sono entrato nel mondo? Perché non mi hanno domandato niente? In che modo sono diventato parte interessata della grande impresa che si chiama realtà? Perché devo essere parte interessata? Non è una cosa libera? E se sono obbligato a starci, ditemi almeno dov’è il direttore, ho alcune osservazioni da fargli. Non c’è direttore? A chi devo rivolgere le mie lagnanze?”[12]

“Dal potere di tramutare un uomo in cosa facendolo morire, procede un altro potere, molto più prodigioso: quello di mutare in cosa un uomo che resta vivo. È vivo, ha un’anima e, nondimeno, è una cosa. Strana cosa una cosa che ha un’anima. L’anima non è fatta per abitare una cosa: quando vi sia costretta, non vi è più nulla in essa che non patisca violenza. Un uomo inerme e nudo sul quale si punti un’arma diventa un cadavere prima di essere toccato.”[13]

(in coro): “In ogni caso la luce interiore concede sempre a chiunque la consulti una risposta manifesta.”

“Dopo averla violentata, dopo averle reciso i genitali, dopo averle sparato un colpo in testa, capite quel che sto dicendo, abbiamo letteralmente imbottito il cadavere di pallottole. Tutti ridevano. Era come vedere dei leoni attorno a una zebra appena uccisa.”[14]

“Per molti di noi portare un’arma era come avere un’erezione continua.”[15]

“Un senso di potere. Un senso di distruzione. In Vietnam avevi il potere di uccidere. Potevi stuprare una donna e nessuno ti diceva niente. Ti sentivi dio. Era come se fossi dio. Potevo ammazzare, potevo fottermi una donna.”[16]

“I campi di addestramento militare erano ambienti caratterizzati da una forma estrema di virilità […] Quando si viole formare un gruppo solidale di maschi killer, è questo che fai, ammazzi la donna che è in ognuno di loro […] Che ai marines fosse concesso di stuprare le donne era un ‘incentivo per incoraggiarli a partire volontari per il Vietnam’.”[17]

“I marines che stupravano in gruppo e ammazzavano una ‘puttana vietcog’ ricevevano solo una tiratina d’orecchie.”[18]

“Io credo che tutti gli uomini che sono stati in guerra dovranno ammettere, se sono onesti, che, dentro i loro, ne hanno anche goduto. Era così bello, avevo il potere di vita e di morte è la droga migliore che esista, la scopata migliore mai fatta.”[19]

“La filosofia laggiù è che le donne ci fanno più paura degli uomini, perché, non lo so il perché, (ma con le donne non sapevi mai che fare e così quando ti imbattevi in una di loro perdevi la testa.) Con una donna raddoppiavi tutto quello che avresti fatto a un uomo.”[20]

“Esiste forse una verità assolutamente inquietante dell’essere umano che consiste in un’attrazione rovinosa per la propria distruzione e per la distruzione dell’altro?

Ogni vivente, determinabile come quantità di forza e centro organizzato della propria potenza, è vitale e pretende per sé la vita. Per questo ogni mortale tende, quanto più può, a tenere lontana la morte. A tal fine non solo si protegge ma anticipa negli altri la propria morte e uccide. Uccidendo prende dentro di sé la vita dell’altro e accumula vita. Il mortale che uccide coltiva in sé l’illusione di durare. A tal fine il vivente, come consuma per accrescersi, distrugge per dominare.”[21]

“Il demone, il nemico, non è all’esterno ma all’interno di noi stessi. La guerra è un trattamento paranoico attraverso il quale questo nemico interno viene portato fuori di noi e incarnato nella figura del nemico.”[22]

(in coro): “E’ dunque da un raglio d’asino che dipende la vita umana?”[23]

“Chiamato a riconoscere i resti della figlia – una giovane cecena che si era fatta saltare in aria con una cintura esplosiva – un padre ha dichiarato: “Di mia figlia era rimasta solo la testa. Aveva i capelli arriffati come se fosse stato il vento a scompigliarglieli […] Oltre alla testa erano rimasti una spalluccia e un ditino con l’unghia […]. Di Ajza non restavano che un cinque sei chili, non di più”. Con tutta evidenza, la questione non è qui uccidere bensì disumanizzare, infierire sul corpo […] sconciarlo […] come se la violenza estrema, volta a nientificare gli esseri umani prima ancora che a ucciderli, dovesse contare sull’orrore piuttosto che sul terrore.”[24]

“Che cos’è questo uomo? Un groviglio di serpenti furiosi, che raramente trovano pace l’uno accanto all’altro – e allora se ne vanno ciascuno per conto suo a cercar preda nel mondo.”[25]

“Che cosa si intende per umano? Quali vite contano in quanto vite? Che cosa rende una vita degna di lutto?”[26]

“Duecentomila bambini iracheni sono stati uccisi durante e dopo la Guerra del Golfo; abbiamo forse una sola immagine, un foto gramma che ci ricordi una qualunque di queste vite?”[27]

(in coro): “Il senso della politica è la libertà.”

“E ‘possibile costruire una politica di trasformazione senza una critica dei modelli di costruzione della mascolinità?”[28]

“Ma che cos’è questa Speranza che rimane al fondo del vaso? E’ l’unico bene mescolato agli infiniti mali, o l’ultimo dei mali? […] In tal caso la speranza sarebbe l’estremo inganno, la suprema irrisione degli dèi. Ma, pur ammettendo che la speranza sia l’ultimo inganno, se essa aiuta a vivere produce vita.”

“Dobbiamo solo attendere e chiamare. Non chiamare qualcuno, dato che non sappiamo ancora se c’è qualcuno: dobbiamo gridare che abbiamo fame e che vogliamo pane. Grideremo più o meno a lungo, ma finalmente saremo nutriti e allora non soltanto crederemo, ma sapremo che esiste veramente del pane. Quando ne abbiamo mangiato, quale prova più sicura potremmo desiderare. Fintanto che non ne abbiamo mangiato non è necessario e neppure utile credere nel pane. L’essenziale è sapere che si ha fame. Non è una credenza questa, è una conoscenza assolutamente certa che non può essere oscurata dalla menzogna.”

 

[1] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi Edizioni, Milano 1979, p. 159

[2] Ibid., p. 6

[3] F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi Edizioni, Milano 1979, pp. 293-94

[4] J. Butler, Condizione umana contro “natura” in Differenza e relazione, Ombre Corte, Verona 2009, p. 134

[5] H. Arendt, Karl Jaspers: A laudation, in Men in Dark Times, cit., in Antologia a cura di Paolo Costa, Feltrinelli Editori, Milano 2006

[6] R. Luxemburg, Aforismi

[7] C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, et/al. Edizioni, Milano 2010, p. 8

[8] S, Ciccone, Essere maschi tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier, Torino 2009, p. 91.

[9] C. Lonzi, cit. p. 37.

[10] J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’Intelligenza del Male, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, p. 139

[11] Mary Daly

[12] S. Kierekegaard

[13] S. Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Roma 1999, p. 10

[14] J. Bourke, Stupro, Gius. Laterza & Figli S.p.a., Roma-Bari 2009, p. 428

[15] S. Natoli, L’esperienza del dolore, Feltrinelli Editore, Milano 2004, p. 54

[16] A. Cavarero, Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme, Feltrinelli, Milano 200, pp. 8-9

[17] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi Edizioni, Milano 1968, p. 40

[18] Ibid., p. 420

[19] J. Bourke, Le seduzioni della guerra: miti e storie di soldati in battaglia, Carocci Editore, Roma 2003, p. 23

[20] J. Bourke, Stupro, cit., p. 428

[21] S. Natoli, L’esperienza del dolore, Feltrinelli Editore, Milano 2004, p. 54

[22] A. Cavarero, Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme, Feltrinelli, Milano 1968, p. 40

[23] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi Editore, Milano 1968, p. 40

[24] J. Butler, Vite precarie, Meltemi Editore, Roma 2004, p. 40

[25] Ibid, p. 55

[26] S. Ciccone, cit., p. 127

[27] S. Natoli, cit., p. 76

[28] S. Weil, Riflessioni senza ordine sull’amore di Dio, Edizioni Borla, Roma 1979, p. 113