“Limpidezza”, “vibrazione differenziale”

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“Limpidezza”/ “Vibrazione differenziale”  “Tagli” e “Spacchi”

Polemizzare tra donne è far guerra. Per fare questa guerra occorre avere un profondo senso della dignità propria e dell’altra (…). La guerra per una donna è nel linguaggio: non consentire che si chiuda nei codici, spaziare, interrompere. E’ necessario far saltare i toni polemici che promuovono schermaglie linguistiche sostenendo una contesa fittiziamente esistente, una farsa, non un accadere: essi si compattano all’ordine discorsivo. Occorre creare una vibrazione differenziale (…). La guerra si fa talvolta perché c’è una straniera. Dovremmo saper essere tra noi straniere senza distanze, senza indifferenze e vicine senza identificazioni. Spesso tra donne si vive una fusione senza separazione: una sorta di indiviso. Tutto quello che non mantiene uno stato di uguaglianza (…) viene privato di esistenza: così paradossalmente nell’indivisione si ha diritto di esistere e nel distinguersi si viene cancellata per paura di perdersi. Né vi è guerra perché non vi è una parola adeguata, parola che sappia dar separazione nell’indiviso, che inviti a diversificarsi, ma anche congiunga nello spezzare e che non ceda quindi ai codici del distacco (…). Il “condiviso” tra donne, unica tensione necessaria che dà dignità ad una guerra tra loro. La guerra è comunicazione del condiviso. Perciò essa è mossa da ogni taglio, ogni spacco operato nei saperi, ogni cambio di tono, per far risaltare la parola e i modi in cui la relazione si dà (…). Occorre saper fare un passo indietro. Questo è il primo invito di guerriere che s’impegnano tra loro in una lotta (…). Fare un passo indietro è dar spazio al movimento, è allentare la stretta, ritirarsi dall’io, dai propri codici, dalle immediatezze, dall’immagine di sé (…). Punto essenziale è la limpidezza (…). Riconosci le tue ferite. Alcune bruciano, ma non sono ferite, sono le trappole di un puro colpire che non apre a nulla. La ferita invece si porta dietro l’anima (…). Si viene via da qualche costruzione, da qualche legame, ma soprattutto dalla previsione, sei come trasferita, tratta fuori, ma sei presente a te, nella prossimità di te: smetti solo il consueto della vicinanza a te. Ci si guarda come attraverso una soglia, né nuova né sconosciuta. Questo può accadere anche come sorpresa, illuminazione nel mezzo della lotta. Occorre fermarsi, darsi tempo per raggiungere la propria ferita (…). E’ questa ferita nominata che mi invia al mondo, non devo interiorizzare nulla, non la nascondo, essa diviene luogo di una affermazione innocente. Qui si fa il silenzio di questa guerra. Tacciono i codici e le false misure. Non si sa se è lotta o abbraccio. Qui inizia il conversare in un’ora blu al riparo delle discorsività già date – e che l’una si appoggi all’altra o che ancora ci si guardi di fronte o anche si rida, questa guerra è uno di più puri riconoscimenti” (20) A. Putino, Arte di polemizzare tra donne

“Ci si serra per paura di perdersi”. Nello stato di uguaglianza, “nell’ indivisione si ha diritto di esistere e nel distinguersi si viene cancellate”.

Di questa cancellazione, di questa negazione di sé, Angela conoscerà il gusto amaro per aver pensato differentemente, per aver scritto Amiche mie isteriche, per aver avuto il coraggio di prendere distanza da una certa visione femminista – impostasi, ad opera di alcune, negli anni ’90 – per aver seguito in solitudine, piuttosto che la via maestra indicata da qualche “Maestra”, la sua.