Il femminismo ritrova la strada – A tavola con la psicanalisi

Intervista a Paola Zaretti

 

1. La pubblicazione del tuo libro “Nel nome della madre, della figlia e… della spirita santa. Femminismo e psicanalisi”, e l’accoglienza del pubblico ha portato al blog femminismoinstrada.altervista.org e alla pagina face book “Tabula rasa, il femminismo ritrova la sua strada”, oppure erano già un progetto che si è sviluppato assieme al libro?

L’idea del blog e della pagina fb ad esso correlata, è nata ad opera delle sue fondatrici dopo un certo lasso di tempo dalla pubblicazione del libro ma credo che esista, fra i due momenti, una qualche connessione nel senso che un blog, analogamente al libro, è un luogo di raccolta di qualcosa –  pensieri,  scritti, desideri, aspettative, che, una volta giunti a giusta maturazione, precipitano.

Ciò che è chimicamente precipitato, sono pensieri e parole che da almeno un paio d’anni circolavano, ad opera di alcune di noi, sparsi e in modo frammentario in fb e che esigevano, finalmente, un Luogo, una cornice simbolica loro adeguata e conforme. C’era bisogno di un luogo, insomma, che raccogliesse i nostri pensieri, le nostre esperienze, la nostra visione del femminismo condivisa da altre donne che interloquivano con noi e che partecipavano attivamente alle nostre riflessioni.

I dettagli sulla nascita del blog, uno strumento di lavoro individuale e collettivo, sono chiaramente espressi  in Genealogia di un blog in cui vengono precisati gli antecedenti di questa nascita iniziata nel momento in cui, dopo la pubblicazione del libro, alcune donne che facevano parte di un gruppo di autocoscienza online, decidono di proporre all’incontro di Paestum 2013 un Laboratorio sul tema dell’Autocoscienza al centro del quale veniva posta l’urgenza di una riflessione aggiornata sulla pratica autocoscienziale del “partire da sé” introdotta in Italia, da Lonzi nel ’70.  L’intento  era – allora come ora – il seguente: il desiderio di andare dentro le cose, al cuore, dunque, della storia di una pratica considerata “finita” da tanta parte del femminismo storico e da tempo ridotta a vuota nominazione.

Il nome del blog Tabula rasa. Il femminismo ritrova la strada, da me proposto, vuole essere, per chi ci legge, un indicatore di  percorso e di progetto personale e politico di alcune donne decise ad attuare nei riguardi di un femminismo che ha perso la sua strada e che ha ridotto la Differenza all’opposizione duale erede dell’Uno patriarcale e della violenza ad esso connessa, la stessa opera di decostruzione messa in atto, a suo tempo, proprio da quel femminismo, nei riguardi del patriarcato.

Partecipano a questa impresa il gruppo di donne che fanno parte di Autocoscienza online, alcune donne di Oikos-bios Centro filosofico di psicanalisi di genere antiviolenza, e il gruppo di donne di Tabulae scriptae, un luogo virtuale di scrittura collettiva sorto da poco, con altre donne interessate al nostro lavoro sul potere e su altri temi, per esempio, il materno su cui proprio ieri abbiamo ultimato un lavoro di riflessione e di testimonianza sia di donne madri che di donne non madri intitolato, appunto, “Madri-non madri a partire da altre a partire da noi” ,attualmente visibile sia nel blog che nella pagina.

2. Qual è la strada che il femminismo ritrova? C’è uno scambio con le altre strade del femminismo?

E’ la strada, appunto, di fare Tabula rasa degli strumenti culturali – nel preciso senso dato da Lonzi a questa formula e che alcune femministe, con nostro dispiacere, hanno voluto travisare come se ciò significasse fare Tabula rasa di loro e dei contributi da loro dati al femminismo mentre a smentire quest’ idea basterebbe una qualsiasi pagina del mio libro, aperta a caso, per riconoscere l’attenzione, sia pure critica, riservata a queste donne. Fare tabula rasa significava, per Lonzi, fare tabula rasa non solo degli strumenti offerti dalla cultura patriarcale, ma anche del mito dell’uomo, un mito duro a morire e tuttora inconsapevolmente vivo e ingombrante all’interno del femminismo. Un passaggio di Lonzi spiega come meglio non si potrebbe ciò di cui in questo mito si tratta e che mi pare importante riprendere:

“Il mito dell’uomo è di tutte, sia come partner che come cultura, e non c’è proposizione rivoluzionaria o atteggiamento di riserbo che tenga: il mito è lì, camuffato, nascosto, ibernato, ma pronto a uscire fuori alla prima occasione… Il femminismo non è altro che desiderio di un processo di liberazione attraverso il quale smaltire questo mito, NON NE E’ la RISOLUZIONE. Quella rappresenterebbe la fine del problema, quindi LA FINE DEL FEMMINISMO. La femminista è una figura drammatica che nega l’evidenza con l’avallo di un’altra femminista che a sua volta la nega, finché l’omertà in un punto della catena si rompe e nessuna capisce più da dove ha tratto la certezza con cui negare l’evidenza.”

C’era dunque, per Lonzi,  già allora, un nuovo e diverso cammino da fare, un cammino a lei stessa ignoto di cui scriveva “non sappiamo quasi niente: se è una nuova illusione, se è percorribile, se è”.  E mi chiedo: E noi? Noi che cosa sappiamo oggi di quel nuovo e diverso cammino da lei intravisto e sperato? Siamo in grado di dire se davvero è, se esiste, se davvero lo abbiamo percorso o se resta ancora un’ illusione? Qual è, oggi, la constatazione cui siamo giunte dopo aver scartato, come lei e dopo di lei, quel pacco con tanti fogli di imballaggio di cui ci parla?

“Ho scartato un pacco con tanti fogli d’imballaggio per arrivare poi alla constatazione di niente, di una molla interna che funziona così e non c’è da sganciarla perché allora finisce tutto. …la liberazione non apre su un Eden, su un’armonia, su una soluzione dei rapporti umani, ma sulla rinuncia e l’abbandono della speranza”.

E’ stato possibile a noi sganciare quella molla – il mito dell’uomo – senza che tutto finisca? A me pare di no ed è per questo che oggi mi chiedo, con lei:

“(…) Ma allora questo femminismo cos’è? Ricerca dell’uomo, del rapporto con l’uomo dopo aver trovato se stesse. L’amica serve a trovare se stesse ma l’obiettivo è l’uomo (…). Non si scappa di lì (…).

Lonzi, con l’acutezza che la contraddistingue, enuncia temi profondissimi con l’aria di dirci le cose più ovvie di questo mondo: e quel che ci dice è che la solidarietà fra donne, istituzionalizzandosi, rischia di occultare pericolosamente ai loro stessi occhi il mito – che ciascuna inconsciamente conserva – dell’uomo. Così, tra il desiderio del femminismo di smaltire questo mito-rifiuto e la reale capacità di attuarlo, ce ne corre – e per una buona ragione: lo smaltimento del mito dell’uomo segnerebbe la propria fine. Il femminismo, insomma, può vivere solo a condizione di mantenere in vita, irrisolto, il “mito dell’uomo”. L’esperienza e la storia del femminismo, per come l’ho vissuta e la vivo, sembra confermare in pieno il destino che la lungimiranza di Lonzi aveva previsto e diagnosticato come fatale.

In merito alla seconda parte della tua domanda: il nostro scambio con altre strade del femminismo, direi che il confronto risulta piuttosto difficile e, in molti casi, inesistente. Lo scambio, quello necessario che incentiva la crescita, quello che funziona come potente antidoto contro la stasi mortifera, presuppone la capacità di stabilire relazioni soprattutto fra coloro che la pensano in modo diverso. Che senso ha che io mi confronti con chi la pensa come me? Che cosa ne potrei ricavare al di là del fugace piacere della condivisione? In che cosa ciò mi permetterebbe di avanzare? In nulla. Eppure questo scambio non c’è,  in Italia ci sono tante isole separate, ci sono le amiche e le amiche delle amiche, le nemiche amiche delle nemiche, le appartenenti e le non appartenenti. Dove si possa andare in queste condizioni non si sa.

3. Possiamo dire che lo specifico del tuo approccio è proprio quello di far interagire femminismo e psicanalisi?

Direi proprio di sì, il rapporto fra femminismo e psicanalisi è per me fondante non solo per le ragioni espresse nel mio libro – per via della mia duplice formazione che mi porta inevitabilmente a guardare , per averla vissuta sulla mia pelle, all’intima connessione fra due diverse discipline. Ma va tuttavia precisato che nell’interazione fra queste due pratiche non si tratta semplicemente di un mio approccio personale ma di un approccio, di un rapporto privilegiato che il femminismo delle origini ha stabilito con la dimensione dell’inconscio attivata dalla pratica analitica. Per rendersene conto basta leggere questo passo di Lonzi:

“La psicanalisi serve a un certo stadio, posteriore all’autocoscienza…L’autocoscienza porta alla scoperta dell’inconscio e quindi provoca l’interesse spontaneo per la psicanalisi.”

Non solo ma per capire l’importanza assegnata dal femminismo, soprattutto dal femminismo milanese, alla psicanalisi negli anni ’70, bisogna ricordare le parole che Antoniette Foque, psicanalista femminista francese, conosciutissima in Italia e molto seguita, almeno in una prima fase, pronunciò durante un incontro:

“Mi sembrava che se non avessimo tenuto conto dell’inconscio, presto avremo navigato in pieno delirio”.

Ecco io credo che le parole di Antoniette siano per il femminismo essenziali. Credo, da quel che vedo, sento e leggo, che la previsione di Antoniette si sia avverata e che in questo delirio ci siamo dentro fino al collo per aver ingenuamente pensato di poter liquidare, archiviare l’inconscio. Probabilmente è per via di questa acquisita consapevolezza che il pensiero di Antoniette, morta di recente, è provvidenzialmente risorto ed è stato definito da alcune femministe “interessante e sollecitante al presente. Di che genere di “sollecitazione” si tratterebbe in questo nostro “presente?” Di una sollecitazione, o meglio, della necessità di far uscire il femminismo dalla  situazione di stallo e di languore in cui versa da tempo. Le tesi di Fouque sull’importanza della psicanalisi come “arma rivoluzionaria”, da cui nascerà in Italia la pratica dell’inconscio, erano ben note già nei primi  anni ’70 alle femministe italiane, così come era nota la sua tesi sulla gestazione come “concepimento spirituale e carnale dell’altro”, rifiutata da molte femministe disinteressate all’esperienza di “diventare madri” e interessate alla “dimensione, esistenziale e relazionale, di venire al mondo da una donna”.

Fu su questo, infatti, che si si andò consumando, in quei primi anni ’70,  la fine di ogni scambio politico del femminismo milanese con Foque e con Psychanalyse et Politique, così come si consumerà il rapporto con Lonzi e con la sua pratica autocoscienziale e infine, con Irigaray, per stringersi, in un  abbraccio mortale, attorno a qualche Padruncolo della psicanalisi lacaniana che oggi si serve di alcune femministe “accademiche” per continuare in Italia a “curare” le donne. Viene qui in mente qui – sit venia verbis – quel “mito dell’uomo” di cui parla Lonzi, che destina le donne a utilizzare spesso nei riguardi delle loro simili la stessa categoria dell’ ”usa e getta” riservata loro dagli uomini per rivolgersi, infine, sempre e ancora, verso l’uomo. Non possiamo non chiederci – e ad autorizzarci a farlo è la constatazione che la discussione all’interno del femminismo segna oggi il passo – se l’interesse per il pensiero di Fouque, da immemorabile  tempo  abbandonato, non derivi dall’ acuta percezione e dalla consapevolezza di un percorso che, iniziato sull’onda della differenza, si ritrova oggi, dopo tante peripezie, al capolinea della tanto disprezzata-agognata emancipazione-identificazione con l’uomo.

4. Quali sorprese hanno riservato il blog e la pagina fb?

Molte, davvero molte e del tutto inaspettate e imprevedibili.  E’ vero che  siamo   presenti da tempo, in modo assiduo  e consistente in fb con i nostri post, con i nostri scritti, con i commenti e con lo spirito critico che ci contraddistingue e che qualcuna ha preferito liquidare –  liquidare oggi è di moda e risparmia la fatica dell’argomentazione – come “distruttività”.

Posso dire, per inciso, e parlo a titolo del tutto personale, che sono molto d’accordo con Lonzi quando rivendica il diritto di essere al tempo stesso costruttiva e distruttiva e a Tutte quelle anime belle che tremano alla sola parola distruttività – e che hanno di certo, per tremare, le loro buone ragioni – consiglierei  un’analisi che si guardano bene dal fare per paura di ciò che sulla loro distruttività potrebbero scoprire. Ma parliamo delle sorprese. Non sono un’amante dei numeri e neppure una che misura il valore delle cose a partire dai numeri, tutt’altro ma abbiamo avuto in pagina delle visualizzazioni che hanno raggiunto picchi di oltre 1500 e diciamo che se questo non basta, certo non guasta. Ma numeri a parte c’è senz’altro una grande attenzione al blog e a ciò che scriviamo e che possiamo verificare dal numero di gradimenti.

5. Il blog e la pagina fb oltre a essere un modo di diffusione del dibattito sulla questione donna e sui suoi diritti, offrono anche qualche spunto ulteriore per l’analisi?

Mi auguro proprio di sì perché se il blog e la pagina fb si occupassero prevalentemente o esclusivamente di una questione di diritti saremmo su una china piutttosto scivolosa. La parità, rischia di essere, per le donne, una trappola e Lonzi lo sapeva così bene da scrivere:

“La parità di retribuzione è un nostro diritto ma la nostra oppressione è un’altra cosa”…(Manifesto di Rivolta)

Questo, detto in estrema sintesi, sulla prima parte della tua domanda.

Per quanto riguarda gli spunti ulteriori  per l’analisi offerti dal blog e dalla pagina fb, mi rifarei ad alcuni passaggi in cui è contenuta in sintesi la scommessa teorica e politica,  più importante, a mio parere sia del blog che della pagina fb: Fare tabula rasa del primato del fallo.

Mi sono chiesta, infatti come sia davvero possibile e credibile parlare, come fanno molte femministe, di rivoluzione simbolica, di contrasto al primato fallocentrico sostenendo, al tempo stesso, che il fallo è un significante che rappresenta anche la donna, senza avere l’accortezza di precisare che la rappresenta in quanto soggetto neutro maschile e senza trarne, soprattutto, le dovute conseguenze sul piano dell’analisi personale e politica.

Ebbene sì, è possibile. Il che equivale a dire che senza un serio lavoro di liberazione dal fantasma fallico – da cui le donne non sono più immuni degli uomini e i cui risvolti violenti appaiono evidenti – e senza fare Tabula rasa di questo fantasma, parlare di un “pensiero della differenza” è  mistificante. Ad averlo capito fino in fondo la portata della questione sono Braidotti e irigaray. Scrive la prima:

“A meno che entrambe i sessi non si uniscano nel tentativo di realizzare una sessualità non fallica, di riscrivere il copione della sessualità prendendo le distanze dalla violenza del Fallo, nulla cambierà.” (R. Braidotti, In Metamorfosi)

“La donna deve percorrere un itinerario doloroso e complesso. Una vera e propria conversione al genere femminile (…). Le difficoltà che le donne incontrano per entrare nel mondo culturale maschile hanno come conseguenza che quasi tutte, comprese quelle che si dicono femministe rinunciano alla loro soggettività femminile e ai rapporti con le altre donne, e ciò le conduce verso un vicolo cieco, individuale e collettivo, dal punto di vista della comunicazione.” (L. Irigaray, Sessi e genealogie)

All’origine della violenza è dunque il Fallo e il femminismo si trova da tempo, suo malgrado, in un vicolo cieco, in quella “stretta” descritta dalle nostre due autrici. Di qui due interrogativi: la critica femminista all’impianto  fallico e il suo tentativo di decostruzione di un ordine simbolico che prevede il primato di un solo simbolo (il fallo) per Due sessi, ha davvero portato – nella sua infaticabile ricerca di una nuova teoria e di una nuova pratica di relazione fra donne – al suo “ultimato” e all’uscita dalla violenza che ne deriva? Si è liberato davvero, il femminismo, da quella condanna inflitta a uomini e donne che, come tu scrivi, “non ancora non hanno capito i contrappassi e i contraccolpi dell’impianto teocratico, riscontrabile anche nella matematica, nel diritto, nella filosofia, nelle scienze umane e persino nella ragioneria”? (Calciolari). Se è vero – com’è vero – e come tu sostieni che l’impianto fallico è sostenuto da una fantasmatica come “tentativo di erigere un’impalcatura della vita”, esso, “come ogni fantasmatica, può articolarsi e dissolversi” perché “la disfatta sta già nelle premessa logica del trionfo”, perché “l’ultimato è la bomba a scoppio ritardato del primato” (Calciolari).

Ebbene, questo primato c’è scoppiato, ormai da tempo, tra le mani e Tabula rasa è l’esito di un “ultimato” a scoppio ritardato. C’è un femminismo che parte da qui perché è da qui che la dissoluzione fantasmatica del fallo – e la liberazione che a ogni donna ne deriva per sé e nelle relazioni con uomini e donne – lungi dal poter essere solo enunciata e teorizzata e propagandata  – deve essere innanzi tutto praticata.