Guerra fra donne? Non esiste

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di Paola Zaretti / Guerra fra donne? Non esiste

In fondo il femminismo ha chiarito alle donne i motivi della loro scontentezza con gli uomini. Così la scontentezza si è spostata fra donne. E le coppie si sono rafforzate. (Lonzi, Diario)

E’ uno di quei pensieri che, come altri incontrati negli scritti di Lonzi, può sembrare quasi scontato. Lo si legge, lo si apprezza –  se e quando lo si fa – e si tira dritto. Capita spesso e con pensatrici di un calibro come il suo, succede più sovente di quanto non si creda. Mai un pensiero che sia scontato: dietro ogni parola, anche la più semplice, c’è un mondo che vibra – e trema – un concerto di saperi e verità non sempre immediatamente accessibili, un concentrato di rivelazioni da svelare.

Capita così di rimanere inchiodate a rimuginare, per giorni, un passaggio, una frase, una parola, una tonalità…Si è verificato anche in questo caso per via di una connessione con un mio pensiero espresso su fb, in cui sostenevo che la guerra fra donne, nonostante tutto sembri mostrare il contrario, in realtà non esiste. La guerra – dicevo in quel contesto – è sempre e comunque una guerra uomo-donna,  anche quando  vi siano in giuoco, anatomicamente parlando, delle donne. L’anatomia – diversamente da quanto pensava Freud – non è il destino, non è ciò che fa di una donna una donna perché ciò che conta è la posizione che una donna assume, è il lato dalla parte del quale sceglie, consapevolmente o inconsapevolmente, di mettersi. E quando sceglie di collocarsi dal lato del maschile, fra lei e un uomo, non c’è, quanto a posizionamento e a ciò che più nel male che nel bene ne consegue, alcuna differenza.

Quando Lonzi scrive che “la scontentezza con gli uomini si è spostata fra donne” non è sull’anatomia che vuole porre l’accento ma sul posizionamento maschile che alcune donne – femministe incluse – assumono, di fatto, all’interno di contesti abitati da sole donne, un posizionamento fatalmente destinato a riproporre quel malessere, quella “scontentezza” fra donne fatti della stessa “pasta” di quelli vissuti all’interno di contesti misti.

Ho parlato di guerra e non di conflitto perché è la prima che, escludendo ogni possibile forma di relazione, semina morte sul campo, mentre spetta al secondo – quando lo si pratichi davvero anziché evocarlo – promuovere e valorizzare, con e attraverso la  relazione, vita e pensiero. Inutile ribadire che nel processo di identificazione di una donna all’uomo – e nell’alienazione che per lei ne deriva – il supposto peso “valoriale” dell’impianto fallico e della cultura del mito dell’uomo da esso veicolata, è determinante.

Ma Lonzi va più in là e si spinge oltre quando individua nel fatidico ripetersi, in contesti femminili, della medesima delusione patita nel rapporto con l’uomo, l’origine prima del rafforzamento della coppia: se la relazione fra donne non ha la capacità di generare alcunché di diverso da quella desolante “scontentezza” vissuta con l’uomo, c’è forse un fondato motivo per prediligerla, conservarla e praticarla?

Come non dare ragione a Lonzi?

E’ possibile per delle femministe che hanno impegnato vita, tempo e saperi alla decostruzione del fallocentrismo, al mito dell’uomo, alla sua supremazia, ai privilegi derivanti da una discriminazione nei riguardi del proprio sesso, essere attivamente complici, consapevolmente o no, della ricostruzione di un fallocentrismo riverniciato al “femminile”?

Sarebbe questa la “fine” del patriarcato? O non è forse questa – proprio questa – la versione più perversa della sua conferma, della sua riuscita, della sua vittoria?