DIVERSA MA SIMILE

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dipinto di Jenny Saville

Riflessioni a partire da Jessica Benjamin e Carla Lonzi

Ho sempre sentito di avere dentro di me un segreto, una risorsa dal potere illimitato e dirompente, ma incontrollabile. E’ una forza che mi prende e mi appartiene, che mi forma e mi disintegra allo stesso tempo. Ho cercato di domarla ma il controllo che esercitavo su me stessa non solo era inutile, ma favoriva la mia caduta. Ho imparato con il tempo e attraverso un lungo lavoro analitico a conoscere la logica che sottende questa forza indomita ed indomabile. Ho imparato a interpretarne i segni sul mio corpo, a distinguere le forme del mio desiderio senza cedere all’idea di perdita di me che mi inibiva oppure mi portava all’autodistruzione. Nei momenti di disperazione accadeva qualcosa che mi ha sempre sorpreso, era come se una luce emergesse dal buio ad indicarmi la strada. Come se il segreto di quella forza stesse proprio nella caduta, o meglio, come se la caduta – o crisi – contenesse in sé la possibilità della fuoriuscita dal circolo vizioso, dall’ouroboros che si morde la coda. Quest’ambivalenza rompeva la narrazione, scatenava le infinite lingue di Babele, scuoteva i codici semantici aprendo ad altre interpretazioni, mi concedeva la possibilità di rinascere, di rinarrarmi. Forse per questo ho sempre amato lo stato di emergenza. Esso, però, è difficile da sostenere, un po’ come le rivoluzioni, una volta agite ripristinano con facilità lo stato di partenza, sicuro e vivibile. E così ricominciavo da capo, ristabilita una condizione di normalità ideale intraprendevo un percorso nuovo ma costruito sulla stessa logica che mi aveva portato allo stato di crisi. Costruivo il sentiero usando gli attrezzi del pensiero occidentale, creavo un ideale di differenza che mi permettesse di esprimere quella parte di me che aveva più bisogno di emergere ma, senza rendermene conto, mi impedivo la riconfigurazione di quell’alterità che pure ero, che sono, continuamente.

 Leggendo il testo di Jessica Benjamin ho riconosciuto in me ciò che lei definisce “il crollo della tensione tra affermazione e riconoscimento”. Volevo affermarmi ma per farlo era necessario negare una parte di me che era, allo stesso tempo, essenziale al riconoscimento. Inutile dire che quella parte era proprio il femminile, di cui parla sia Benjamin che Cavarero[1], quel femminile culturalmente identificato con il polo della passività e dipendenza. Quindi, indipendenza e autonomia da una parte, dipendenza e perdita di sé dall’altra, poli opposti di un meccanismo autodistruttivo. La mia ricerca di libertà cadeva nel suo estremo opposto, totale dipendenza. Mi è sempre stato chiaro di non essere nulla senza l’altro/a ma quest’affermazione sarebbe stata facilmente etichettata come sintomo di dipendenza affettiva, per utilizzare un termine abusato da alcune psicologie. Allo stesso tempo, identificarmi in quanto soggetto autonomo, svincolato dalla rete di relazioni che così chiaramente mi hanno reso ciò che sono – a partire dalla relazione con mio padre e mia madre – mi sembrava un errore epistemologico. L’autrice del libro Legami d’Amore propone una strada per fuoriuscire da questa logica autodistruttiva: la tensione al posto della polarizzazione. Essa permette di non sussumere l’alterità nella logica onnicomprensiva e tagliente del dominio interiorizzato, lo stesso che è alla base del biopotere e che attraversa i diversi piani dell’esistenza dall’economia alla politica, la salute e l’educazione. Quella stessa logica che i femminismi stanno tutt’ora cercando di disinnescare, impresa ardua che va intrapresa a partire da sé e quindi dal proprio corpo e dalla propria sessualità.

Quando Carla Lonzi, nel suo scritto Sessualità femminile e Aborto[2], ripercorre la strada dell’assoggettamento delle donne al piacere dell’uomo che avviene attraverso l’identificazione della propria sessualità con la vagina e l’esclusione dell’organo di individuazione soggettiva di desiderio, la clitoride, parla di un piacere “connesso con una situazione storica non più esistente perché questo tipo di erotismo della donna si sosteneva con il suo sentirsi gratificata da un essere superiore a lei, e ciò non è verificabile in una condizione che esclude proprio quella mitizzazione dell’uomo”. Appare evidente il nesso con l’amore masochista di cui parla Jessica Benjamin nel secondo capitolo di Legami d’amore, dal titolo Padrone e Schiavo. Carla Lonzi indica la possibilità per la donna di scoprire un erotismo creativo, non solo passivo ma anche attivo, solo al di fuori della cultura. La situazione storica in cui oggi ci troviamo ci dice che non siamo ancora uscite dalla logica del dominio, quella della cultura dominante, una logica in cui padrone e schiavo vivono in una relazione reciproca non basata sul riconoscimento, ma sull’assoggettamento, quella della donna all’uomo. Fuoriuscire da questa logica pone non poche difficoltà che risiedono tutte nel percorso che ciascuna donna deve compiere per identificarsi non solo come oggetto sessuale, ma anche come soggetto desiderante. In questo processo – che richiede necessariamente la presenza di un’altra donna e il gioco del riconoscimento reciproco –  si giunge ad un punto limite, il baratro del simbolico oltre il quale non esiste più nulla, nessun modello di riferimento che aiuti una donna a compiere questo passo, nessuna, o pochissime, madri che hanno saputo fungere da supporto d’identificazione. E’ la mancanza di identità di cui parla Lonzi:

“Non è stato semplice rendermi conto che quella mancanza di identità che ho sempre sentito come tipicamente mia e da cui ho tratto appagamento e disperazione, era me stessa, la mia unica possibilità di esserlo”[3].

La via verso il riconoscimento della propria soggettività sessuata, più facile da cogliere, molto più difficile da attuare, passa quindi attraverso una tappa fondamentale che sola la rende possibile: il riconoscimento reciproco tra madre e figlia o, più in generale, il riconoscimento tra donne. La possibilità di riconoscersi tra donne è possibile a condizione che, almeno una delle due abbia avuto la possibilità di identificarsi come soggetto desiderante, dando all’altra la possibilità di compiere lo stesso passo. Questo processo deve passare attraverso l’elaborazione del proprio rapporto con il mito dell’uomo. L’identificazione della donna unicamente come oggetto di desiderio è, infatti, un’etichetta culturalmente acquisita. Si tratta di un mito interiorizzato che si riflette non solo nel rapporto di una donna con un uomo, ma anche, e soprattutto, nel rapporto di una donna con la cultura. Tutti gli scritti che Lonzi ci ha lasciato ci dicono di quanto sia difficile e, forse impossibile, prescindere dal mito dell’uomo perché esso si fa sentire anche, e soprattutto, nei rapporti tra donne e nel continuo ripresentarsi della logica superiore-inferiore che spesso detta legge. Credo che si debba partire da un lavoro di presa di coscienza di come questo mito agisce in noi, di come ha agito nel rapporto con la nostra madre e di come agisce ancora in quello con altre donne.

L’elaborazione del mito dell’uomo permette un passaggio cognitivo che è alla base della possibilità di uscire dalla logica del dominio, in altre parole, chi non ha avuto modo – e certo non a causa sua e neanche a causa delle propria madre che, a sua volta, è stata definita oggetto di desiderio dalla cultura dominante – di acquisire questa capacità non può riconoscersi in quanto soggetto e, di conseguenza, stabilire una relazione di parità, né con un uomo né con una donna. Dico capacità non a caso riferendomi all’etimologia latina: capax significa contenere, capacità di contenere la propria alterità e quindi, di conseguenza, quella dell’altro/a. Credo che questo sia un percorso ancora tutto da attraversare, perché mai risolto una volta per tutte.

“Nessuno a priori è condizionato al punto da non potersi liberare, nessuno a priori sarà così condizionato da essere libero. Noi donne non siamo condizionate in modo irrimediabile, solo che non esiste nei secoli un’esperienza di liberazione espressa da noi.”[4]

Leda Bubola


[1] Il femminile negato, la radice greca del pensiero occidentale

[2] Carla Lonzi, Sessualità femminile e aborto in E’ già politica, pp. 121

[3] Carla Lonzi, Itinerario di riflessioni in E’ già politica pp. 25,

[4] Carla Lonzi, Premessa a Sputiamo su Hegel, pp. 3