Piano di fertilità. Allo Stato interessa lo Stato Interessante…

Parto 3

A chi interessa lo STATO Interessante…

Fare più figli. La nostra società è affetta da schizofrenia ma non lo sa. Cultura e società che esaltano il Materno hanno fondato se stesse su un matricidio originario: l’assassinio di Clitennestra per mano del figlio Oreste di cui la Tragedia di Eschilo, ci narra. Mettiamo a nudo la menzogna sulla difesa della vita ascoltando le parole di due madri lavoratrici:

Dopo otto mesi dalla nascita della bambina sono tornata. Mi sono seduta alla scrivania, il mio dirigente mi chiama, mi dice: “No, signora, quello non è il suo posto, il suo posto è di là.

 Sono in cura da uno psichiatra, sono quattro mesi che sono a casa e ho raddoppiato gli antidepressivi.

E’ possibile, è credibile dichiararsi difensori a oltranza della vita quando si calpesta la Vita di chi la vita la dà?

Forse rischiamo di ripetere le molte considerazioni  che sono state espresse in questi giorni da diversi movimenti, femministi e non, e dalla stampa in generale, nella totale indignazione verso le parole della ministra Lorenzin. Un “piano della fertilità” – la cui formulazione, da sola, fa subito inorridire per i significati che, nella Storia, ha assunto l’atteggiamento che vi sottende – viene proposto quasi opportunamente dalla ministra per la Salute per la coerenza del tema con la delega che le è stata assegnata. Peccato che la ministra si ponga il problema non della salute riproduttiva femminile ma di come alimentare la nostra produttività nella fecondità.
Il problema, a parer nostro, si deve affrontare nel contesto più ampio di un approccio complessivo che deve tenere conto delle condizioni sociali ed economiche e, prima ancora, simboliche delle donne. Dalla ministra, invece, le nostre simili sono viste come fattrici . Ciò dopo anni di contributo femminista che ha espresso in molti, diversificati e ricchissimi modi, un punto di vista che parte da sé e in cui la centralità del corpo non si è mai ridotta alle sue funzioni biologiche e meramente riproduttive. Si tratta di un contributo dato con grande competenza. Dal piano scientifico alla sua relazione con il complesso mondo della salute femminile, ne ha evidenziato il rapporto, tornato in questi anni ad essere ineguale, con il potere medico. Quest’ultimo, dal canto suo, con le relazioni che stabilisce con l’universo economico e finanziario – a partire dalle realtà imprenditoriali che ruotano intorno alla ricerca scientifica e alimentano l’industria farmaceutica nonché quella legata o che vuole tornare a legarsi con la realtà dell’IVG – non contribuisce di certo positivamente al rispetto che si deve a un intero genere. Sappiamo che la realtà dei medici e delle donne medico non è interamente consegnata alla misura del potere e del dominio e sappiamo di averli al nostro fianco mentre formuliamo la nostra critica severa alla proposta della ministra Lorenzin.
La nostra indignazione non vuol certo essere una delle solite polemiche retoriche con le quali solitamente si affrontano i discorsi politici (meglio dire biopiolotici?), ma un invito a riflettere sul senso che la maternità e la paternità (che la ministra sbadatamente si è dimenticata di citare) dovrebbero avere, certo molto lontana dall’idea del “piano di fertilità” che evoca fredde tecniche da applicare al nostro corpo.
Se vogliamo “affrontare il tema di un Paese dove non nascono i bambini”, forse dobbiamo prima cercare di comprendere i motivi per cui, una donna e un uomo, scelgono coscientemente di non vivere questa esperienza. Motivi che hanno radici prima di tutto nelle condizioni di deprivazione economico-sociale nelle quali viviamo da molti anni a questa parte, che comprendono l’elevata disoccupazione ormai non solo giovanile, la precarietà delle condizioni lavorative e l’assenza di meccanismi di protezione sociale, la scarsità di servizi per l’infanzia e di reti sociali adeguate che possano compensarla, l’aumento delle famiglie in condizioni di povertà, e cosi via.
L’elenco può certo continuare a lungo, anche comprendendo tutta una serie di criticità legate all’essere madri – spesso sole – nel mercato del lavoro che la politica, con le sue non-azioni e culture ancora familiste, patriarcali e retoriche, ha alimentato anziché contrastato. È come se si continuasse a fare riferimento ad una famiglia allargata che da decenni non esiste più. A quella famiglia che inglobava sotto lo stesso tetto, o nelle immediate vicinanze, genitori, zie, cugine, sorelle più grandi, sulle quali poter fare conto, e non quella attuale spesso inurbata, e rappresentata, nella migliore delle ipotesi, da solo la coppia genitoriale. In questa famiglia la donna spesso vive la maternità, il primo anno di vita del neonato nella più completa solitudine, una tetta pronta ad allattare ogni tre ore senza soluzione di continuità, senza sostegni esterni, senza spesso non poter scambiare per ore una parola con un essere adulto, lontana da quella che era la sua vita fino a qualche mese prima. Questa madre ha bisogno di politiche di sostegno che non sono solo economiche, e magari, ma di poter socializzare le sue gioie, i suoi timori, le sue ansie, di non viverla come esclusione, ma come quella bellissima esperienza che, come abbiamo detto, la nostra società schizofrenica fa credere a parole ma che è spesso lontana mille miglia dalla realtà.
Quella stessa società schizofrenica che non riesce a percepire gli effetti perversi che tutti questi cambiamenti economico-sociali hanno avuto sull’atteggiamento verso la vita e il senso profondo della propria esistenza da parte dei giovani, che si colora di nichilismo di valori, di fatalismo, di carpe diem spinti ad eccessi di ogni tipo perché il futuro che c’è o non si vede o spaventa. Allora, invece di affermare che dobbiamo fare qualcosa per far crescere l’Italia da un punto di vista numerico, dobbiamo lavorare molto nella direzione di creare le condizioni affinchè i giovani rinascano e sentano di poter dare un futuro prima a loro stessi, poi ai loro figli: perché la maternità e la paternità sono scelte intime che si legano a un “sentire” e a una ricerca di espressione e di senso esistenziale che ormai, i giovani, sono costretti a rimuovere.

Lorella Molteni, Cinzia Morroccoli, Leda Bubola,  Emanuela Borrelli, Maria Adami, Marina De Canal, Paola Zaretti