Una “Scuola” Bruttarella

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di Paola Zaretti/Una “Scuola” Bruttarella…

L’Impero della fallocrazia imperversa in politica e in ogni dove – in uomini e donne. “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.

Una “scuola di alta formazione per le donne di governo”: una nuova “trovata” ?

Avendo letto di un’ambiziosa proposta di fondare una “scuola” di “alta formazione per le donne di governo” avanzata da alcune femministe, mi sono chiesta per quale ragione delle femministe, note per essere animate da una mai sopita “voglia di vincere”, invece di proporsi in qualità di “fondatrici” e pedagoghe di una “scuola” finalizzata ad insegnare ad altre donne la ricetta su come si fa a diventare “donne di governo”, non si mettano personalmente e politicamente in gioco candidandosi, loro stesse e per prime, a governare.

Leggerei, a questo proposito, e per un’efficace verifica del reale grado di disagio vissuto da alcune donne “incluse”.recluse nel “campo” delle istituzioni maschie, qualche testimonianza critica in cui vicende personali e politiche ben si intrecciano mettendoci in guardia dai pericoli insiti nella proposta altisonante di un “scuola” di addestramento governativo “ad alta formazione” per donne suggerita da alcune. Trattasi di testimonianze di donne che avendo già personalmente sperimentato sulla loro pelle le logiche politiche istituzionali maschie ed escludenti che dominano partiti e governi, ne hanno ricavato alcune significative narrazioni su cui riflettere:

“Abbiamo aperto una stagione nuova per la presenza femminile nel partito e nelle istituzioni, ma possiamo davvero dire che ci sia stato un vero salto di cultura politica? Purtroppo, nonostante l’impegno e la passione di tante compagne ed amiche, il bilancio è difficile, sicuramente per errori e limiti nostri, ma altrettanto sicuramente per la costituzione materiale del Pd e per il profilo della leadership che lo ha guidato. E ora non ci si può stupire che non ci siano candidate alla segreteria”.

La “stagione nuova” non ha dato, a quanto pare, i frutti sperati. Ma c’’è da rilevare, inoltre, che la “colpa”, qui implicitamente evocata, viene equamente – e troppo generosamente – ripartita dalle scriventi. Non credo, personalmente, che le reali ed inquietanti condizioni di invivibiltà – peraltro onestamente riconosciute alle “compagne” – siano equamente imputabili e distribuibili tra loro stesse, la “costituzione materiale del Pd” e il “profilo della leadership che lo ha guidato”. E sono poco incline a credere che la mancata candidatura di presenze femminili alla segreteria, rappresenti, della “costituzione materiale” del partito e della “leadership che lo ha guidato”, un derivato puramente accessorio o un casuale incidente di percorso emendabile. La “costituzione materiale” di un partito – di ogni partito in quanto tale – è, come  Weil ci ricorda, rigorosamente conforme e rispondente alla struttura di un ordine simbolico androcentrico escludente le donne “in quanto donne”.

Proseguendo, si legge ancora:

“Anche di questo avremmo dovuto discutere in un congresso VERO che poteva essere un momento rifondativo, di confronto e di prospettiva ed è diventato una conta tutta maschile. Anche da questo, dal giudizio di questi anni, dai passi avanti e dalle occasioni mancate, dalle domande di diritti e di eguaglianza che viene dalle donne, da quelle che manifestano nelle piazze a quelle che lavorano per la parità, dentro e fuori le istituzioni, bisogna partire per ricostruire una storia nuova”. (maiuscolo mio)

La consapevolezza e l’amarezza qui espresse, riguardanti la degenerazione di un momento politico che avrebbe dovuto essere “rifondativo, di confronto e di prospettiva” in una “conta tutta maschile”, ci pare un dato considerevole. Esso evidenzia, infatti, la lucida presa di coscienza, da parte di alcune donne, di una realtà tristemente e personalmente vissuta, di una realtà fatta di “occasioni mancate”, di “domande di diritti” provenienti da donne operanti nei diversi ambiti (istituzionali e di movimento). Che il consapevole riconoscimento di tale realtà sia sufficiente per la ricostruzione di “una storia nuova”, di un reale cambiamento, sembra al momento, più che una speranza, un’ illusione..

Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, nei passaggi che abbiamo letto. Sono circa una quarantina d’anni, uno più uno meno, che miraggi di questo genere sono in circolazione, sono anni che le donne insistono a coltivare il desiderio illusorio di poter “ricostruire una storia nuova” mettendo mano e modificando alle radici quell’ordine simbolico maschio che da sempre le esclude e le opprime includendole per fini  unicamente strumentali e utilitaristici. Sono anni che alla condanna di una dolorosa e patita “insignificanza” femminile si preferisce, da parte delle stesse donne e salvo poi lamentarsene, la scalata – perdente – al simbolico maschio che al posto dell’insignificanza offre la “significanza” in cambio e al prezzo di una mascolinizzazione alienante. Eppure – ed è questa la “novità” (?) che più interessa – se nonostante la lunga esperienza e la sapienza teorica acquisita in merito al dis- funzionamento simbolico che emerge da queste testimonianze, un’idea come quella della fondazione di una “Scuola per l’alta formazione di donne” al governo è potuta nascere, è perché le testimonianze dolorose, critiche e fallimentari espresse da alcune donne, riguarderebbero delle figure femminili ritenute non all’altezza del compito, delle donne “sbagliate”, politicamente “malriuscite” e incapaci di “stare dappertutto secondo una propria misura”, secondo la misura ideale qui descritta di cui solo alcune  “sovrane”, pronte alla “grande sfida”, avrebbero il metro.

“Per le donne, oggi, la grande sfida è stare dappertutto secondo una propria misura, perché il mondo sembra impermeabile a questa misura”.

Ma se il mondo è “impermeabile” a una “propria misura”, se il mondo non è a misura di donne, allora il patriarcato non è mortoMa come? Non s’era detto, anni luce fa, che il patriarcato era morto? La grande “sfida”? Ma non siamo di fronte, ancora una volta, a una vecchia sfida consumata, già lanciata da alcune una quarantina d’anni fa o giù di lì? La percezione che “la grande sfida” lanciata abbia i connotati di una sfida disperata, datata e già persa in partenza, è fortissima. A mostrarne, del resto, la fatuità e l’inconsistenza fu già – lo aveva ben capito la grandissima Angela Putino – il tentativo quanto mai ingenuo di fondare a suo tempo  un ordine simbolico materno opposto a quello paterno.  Ciò che è dunque all’opera, in questo progetto altisonante di “Scuola” mirante ad una formazione “alta” di  donne, è la riedizione di una vecchia scolastica femminista che ha cambiato solo nome:

“Da un lato si è sviluppata enormemente la disponibilità di esperienze, teorie, autocoscienza, pratiche, esercizi di sovranità, ricerche filosofiche e politiche, prove di governo femminile. Dall’altro molte si assumono responsabilità di governo senza avere acquisito consapevolmente il patrimonio di sapere e sapienza femminili, che permetterebbe loro di non essere incluse e di conservare la sovranità e la creatività della differenza femminile. Da qui l’idea di realizzare una Scuola per l’alta formazione di donne partecipi dell’autorità femminile, che intendono intraprendere un’esperienza di governo. Sarà l’inizio di nuove istituzioni che segnano la fine del tempo del neutro maschile?“

La netta distinzione-differenziazione qui tracciata tra quelle che sarebbero state finora “le prove di governo femminile” e “le responsabilità di governo femminile” – il cui rispettivo esito viene bocciato e velocemente liquidato come  insufficiente – è funzionale all’affermazione di un “patrimonio di sapere e sapienza femminili” e alla conservazione di una “sovranità” di cui alcune “sovrane”, attraverso l’esercizio della  “creatività della differenza femminile” si farebbero promotrici e garanti. Si tratterebbe di impartire  una formazione “alta” che, attraverso il ricorso a un qualche miracoloso gioco di prestigio, impedirebbe l’inclusione delle donne nell’ordine maschio garantendo al tempo stesso la loro presenza femminile, sovrana e creativa all’interno di quello stesso ordine.

Come si vede, le donne di cui abbiamo letto all’inizio le testimonianze e le tante altre che come loro ci hanno provato per anni senza riuscirci, avrebbero fallito nei loro tentativi di insediamento politico-istituzionale non già perché il simbolico essendo Uno e neutro maschile non contempla la presenza delle donne se non per via inclusiva e neutralizzata nel maschile, ma per non essere state all’altezza del compito in quanto prive di “autorità”, di “sovranità” e di “creatività”. Un giudizio indirettamente formulato da donne su altre donne, un giudizio pesante e impietoso nei riguardi di tante, di troppe donne reputate incapaci di dar vita a “nuove istituzioni” e in grado di debellare, una volta per tutte, il “tempo del neutro maschile”. Ma non bisogna disperare: alla nascita di queste “nuove istituzioni” e al lavoro necessario per la felice inclusione delle donne nell’ordine simbolico dei padri ci penseranno, le nuove “sovrane” e la loro voglia di vincere. E poiché l’operazione di inclusione di cui si tratta è, a  tutti gli effetti, un’inclusione che avviene all’interno di un ordine paterno, tale inclusione non fa che confermare, una volta per tutte, l’avvenuto fallimento di un ordine simbolico materno.

Come funzioni l’ordine simbolico maschile non è ancora chiaro – è evidente – a molte donne. Per altre, invece, è talmente preclaro e accecante da costringerle a volgere lo sguardo altrove. Non si è ancora compreso che in quell’ordine simbolico il soggetto femminile ci entra, quando ci entra, come neutro-maschile. E se è così che ci entra, non sarebbe ragionevole prenderne atto e smettere di pensare che un soggetto neutro, unico e dunque “indifferenziato”, possa “portare la differenza” in un Luogo nato e forgiato a partire dalla sua negazione ?

Esistono altre strade? Certo è che l’unico modo per non trovarle è smettere di cercarle continuando a percorrere quelle già inutilmente battute.