Un contro-potere contro… un potere da niente

sculturadi Paola Zaretti/

“La liberalizzazione dell’aborto è diventata, attraverso millenni, la condizione mediante la quale il patriarcato prevede di sanare le sue contraddizioni mantenendo inalterato il suo dominio”. (Lonzi, Sessualità femminile e aborto. Rivolta femminile 1971)

Per quanto ci pensi e ci ripensi, c’è una domanda  sulla 194 – non la sola – a cui non saprei dare una risposta sensata e convincente. La domanda nasce in seguito e in aggiunta ad alcune riflessioni già proposte in Nemesis 194 http://femminismoinstrada.altervista.org/nemesi-194/ e in Femina erecta. “Approfittiamo”… del materno http://femminismoinstrada.altervista.org/femina-erecta-approfittiamo-del-materno/  e riguarda lo statuto della relazione uomo-donna e la sua negazione  all’interno di quella legge:

Perché nell’ambito di una legge in cui è rigorosamente previsto che il parere dell’uomo non abbia per la donna – libera  di autodeterminarsi – alcun effetto vincolante, tale parere può essere soggetto, in forza di quella stessa legge, all’arbitrio di non essere neppure ascoltato?

Da dove nasce la necessità di affermare, in forza di legge, il primato di un “potere femminile” esercitabile su un “parere” maschie che risulta essere già  depotenziato e privato di ogni potere decisionale?

Che potere è, e che valore ha un contro-potere femminile esercitabile nei confronti di un potere maschile che avendo per oggetto il niente, si configura come un potere puramente immaginario,  un potere da niente?

Va da sé che non rientrano in queste considerazioni i casi di stupro o altre  particolari situazioni in cui  nessun ragionevole motivo potrebbe imporre a una donna di ascoltare il parere di qualcuno. Ci si riferisce, com’è ovvio, a quelle situazioni che pur differendo da questi casi, sono tuttavia soggetti, senza eccezione, a un unico e medesimo criterio di regolamentazione.

Si teme forse che l’obbligatorietà nella consultazione del partner – che si presume abbia avuto una parte piuttosto considerevole in tutta a vicenda – possa influire sulla decisione della donna, condizionandola e indebolendone la facoltà di autodeterminazione? Si teme forse che questa autodeterminazione non sia, insomma, abbastanza autodeterminante – o cosa? E se la ragione del potere decisionale assegnato alla donna da questa legge in merito all’ascolto o meno del parere del partner dovesse risiedere nel timore di un possibile condizionamento dell’uomo sulla donna, non sarebbe lecito dedurne che la donna autodeterminata prevista ed esaltata da questa legge sia una donna ingiustamente ritenuta “incapace di intendere e di volere”?

Non è forse lecito allora pensare che i motivi di rivendicazione di una padronanza assoluta esercitabile non solo sul proprio utero ma anche su ciò che vi dimora –  quale che sia, beninteso, “la cosa” che vi dimora e che, a rigore, non “appartiene” a nessuno –  siano da ricercare altrove? In quella Nemesis 194 che ha preceduto queste scarne considerazioni e nell’inquietante figura di una Femina erecta che è la copia conforme, al femminile, di quell’Homo erectus celebrato dalla tradizione occidentale e descritto da Cavarero in Inclinazioni?

Si può dare torto a Lonzi quando scrive:

 Cercare di mettere al riparo le nostre vite attraverso una richiesta per la legalizzazione dell’aborto, porta, sotto considerazioni pretestuosamente filantropiche e umanitarie, al nostro suicidio…

L’imitazione e l’assunzione da parte delle donne di una postura autarchica, solipsistica, narcisistica presa a prestito dal paradigma maschile non è forse un suicidio simbolico?

 

Una risposta a “Un contro-potere contro… un potere da niente

  1. “Si teme forse che questa autodeterminazione non sia, insomma, abbastanza autodeterminata?” credo che questo sia il punto centrale: se l’autodeterminazione é il rivolgersi del soggetto verso se stesso, operazione volta alla riconferma di sé sulla base dell’esclusione dell’altro/a – una modalità del tutto e per tutto a-relazionale – come può essere messa in atto da un soggetto donna senza ricadere in un’autoreferenzialità assolutamente speculare a quella maschile? E se l’autodeterminazione è indiscutibilmente un’operazione volta a mascherare la debolezza e la vulnerabilità attraverso la proclamazione del dominio su se stessi – e di conseguenza sugli altri – come si fa a non vederne tutta la sua fallibilità? Insomma, di nuovo il primato e l’ultimato, solo che questa volta, si tratta di un’operazione che le donne mettono in atto contro se stesse e pare, senza rendersene conto..

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