Un altro pianeta

Donne 23

di Floriana Lipparini /

Un altro pianeta da cui ricominciare

Ridotto a una caricatura di se stesso, il potere maschile affonda nel fango ma non cede, perché una sotterranea e inconfessata alleanza di genere lo sostiene. A cosa attribuire altrimenti le invereconde recite che vediamo rappresentate sulla scena pubblica italiana? Cosa si giocano tra loro questi maschi che scivolano non sulle loro politiche razziste, autoritarie e classiste, ma su corpi di donne usati e violati? Riemerge con forza il vero punto di rottura continuamente negato, l’impari rapporto tra i sessi. Vediamo corpi di donne mercificati al centro della scena mediatica e della pruderie nazionale, mentre nei fatti si continua a ostacolare “le” donne nel diritto e nella capacità di contare, puntando sull’invisibilità di tutte quelle che non stanno in vetrina, e anche sul disgusto che le tiene lontane dall’idea di competere per avere potere in questi termini e in questo contesto.Che cosa occorre per raggiungere a ogni livello di responsabilità una significativa presenza di soggetti femminili, e di punti di vista femminili in grado di influire davvero sul farsi della società?

Dati i tempi, queste sembrano domande che riguardano un altro pianeta. E almeno ci fosse, un altro pianeta da cui ricominciare, come nei fantastici libri di Ursula Le Guin! Invece, già sta sbiadendo persino in alcune aree femministe l’idea che questa lotta sia ancora da fare. In fondo, ragionano alcune, è una questione che sta alle nostre spalle, la divisione di genere fra donne e uomini rischia di essere una riduttiva dicotomia, una stereotipata polarizzazione, una rigida categorizzazione quasi essenzialista. Certo, le nette divisioni di campo corrono questi rischi, ed è vero che sta emergendo un altro profilo del concetto di genere, un profilo nomade, fluido, in mutamento, non più precisamente definibile… ma la storia ci dice che ogni lotta ha dovuto inevitabilmente attraversare una fase “identitaria” per definirsi e definire i propri obiettivi: “il punto di vista dell’altro collettivo e concreto”, come dice Nancy Fraser (i neri, le donne…), che partendo dalla parzialità offre una nuova visione dell’insieme. A obiettivi raggiunti, si può ipotizzare che la dicotomia si sciolga e sia possibile uscire dalla soffocante gabbia “rivendicativa” per vivere nuove, trasversali relazioni e lavorare sui nodi sensibili della dinamica sociale, mettendo in campo la potenza creativa di tutte le soggettività finalmente liberate.

Ma gli obiettivi sono stati raggiunti? O perlomeno se ne vede vicina la realizzazione? Mi piacerebbe tanto condividere l’ottimismo di alcune, però quando guardo alla situazione generale in cui ci troviamo, sento brividi corrermi per la schiena. Non per il silenzio “delle” donne – che inascoltate continuano a parlare nel deserto – ma per il silenzio “sulle” donne e su ciò per cui hanno lottato e lottano. Qualcuna dirà che però sono aumentate le donne a capo di alcuni vertici, e che comunque le donne sono ormai dappertutto, e che bisogna avere pazienza, perché la trasformazione è ormai avviata…Sbaglierò io, ma a me sembra che abbia ripreso forza – questo sì, a ogni livello – una cupa rappresentanza maschile neopatriarcale – questa sì, essenzialista – che si dibatte in una rovinosa ma eterna agonia. Luoghi privati e pubblici guidati da un grigio “clero” uniforme, pur se su sponde apparentemente opposte (quante volte li vediamo riuniti in tv e sui giornali, le immagini parlano), secondo un modello ereditato appunto da quelle religioni che all’origine della storia hanno decretato l’espulsione delle donne dallo spazio sacro e profano.

Penso che abbiamo ancora molto lavoro da fare per conquistarci un altro pianeta dove il femminile abbia piena cittadinanza, e gli uomini siano riusciti a vincere la volontà di dominio e le pulsioni distruttive che li portano a usare violenza contro le donne. Eterna guerra sempre rinnovata, perché il numero dei femminicidi su questo pianeta non si ferma, e addirittura aumenta. Se provo a chiedermi cosa occorra per modificare profondamente lo stato delle cose, m’immagino allora una grande, travolgente onda d’urto simile al disgelo dei ghiacciai in primavera. Nei fatti, una forte ripresa del movimento e del pensiero femminista di base, rielaborato e aggiornato, com’è giusto che sia, grazie ad alcune nuove intuizioni delle giovani generazioni. E, se possibile, in confronto dialettico con quei rari gruppi di uomini che da anni, sollecitati proprio dal femminismo, s’interrogano su un possibile altro modo di essere maschi, perché se loro non cambiano difficilmente cambieranno le cose.

Floriana Lipparini

http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article7215

 

 

Una risposta a “Un altro pianeta

  1. Concordo con il lavoro che ci aspetta per un altro pianeta, di più penso che quel lavoro ci spetti, per la nostra parte di donne. Ma mentre nel recente passato la vastità dell’opera mi aveva scoraggiata perché mi si paravano davanti i tanti rivoli nel quale il femminismo andava disperdendosi, battaglie di grande portata ma di poco conto sul piano degli effetti tangibili, come ad esempio l’attivismo, a sfondo un po’ neoparitario, sul contrasto agli stereotipi di genere, o i diversi flash mob come quelli generati dall’One Billion Rising, le manifestazioni per l’autodeterminazione, le attività sul cognome materno, l’applicazione in Italia di importanti iniziative legislative internazionali in tema di violenza e tanto altro che il femminismo italiano e non solo, sta portando avanti, oggi riesco a intravedere un filo conduttore alla condizione di liberare tutto questo dal carattere di frammentarietà che indebolisce ogni iniziativa e, spesso, la fa fallire.
    Tali “fallimenti” per me consistono nell’impossibilità di giungere a risultati apprezzabili sul piano delle trasformazioni sociali che ne dovrebbero derivare e che non ci sono. Questo fatto mi rimandava a quella vastità dell’azione complessiva che se da un lato dà conto delle differenze di sensibilità, ciascuna derivante dalla propria esperienza, dall’altro non coagula mai l’intero movimento su una singola battaglia. Non intendo, come ho scritto in un post nel blog di Paestum, Rovesciamo la frammentazione, che tutte diciamo le stesse cose nello stesso modo, ma che ciascuna si esprima sullo stesso tema o problema nel modo che ritiene opportuno convocandoci periodicamente sullo stesso argomento in modo di poter formare un’opinione pubblica femminista con la quale la società italiana si veda costretta a fare i conti.
    Avevo sperato che dalla convocazione del femminismo nazionale uscisse una forza che come femminista storica avevo assaporato ma che ho visto di nuovo disperdersi nei conflitti o in questioni non essenziali. Oggi mi chiedo, invece, se non sia essenziale ogni singola porzione di un tutto al quale dobbiamo lavorare perché questa a me sembra essere la parte che come femministe ci spetta. La parte che spetta gli uomini, disertare il patriarcato, non ci esime dal considerare anche nostro compito quella stessa diserzione mentre andiamo scoprendo che la nostra complicità con il patriarcato è più profonda e insidiosa di quel che ci era sembrato.

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