Tra Eretti e Genuflessi…meglio Inclinati…

imagesVW7ZTGCVdi Paola Zaretti/Tra Eretti e Genuflessi…meglio Inclinati 

Un articolo pubblicato giorni fa nella Libreria delle donne http://www.libreriadelledonne.it/tra-i-resti-del-patriarcato-il-fantasma-della-rivalsa-femminile-2/, ha riacceso un dibattito  sulla violenza maschile in seguito a un noto episodio verificatosi tempo fa. Le contestazioni rivolte da alcune donne all’autore dell’articolo, Caudio Vedovati, riguardano alcuni passaggi fra cui ce n’è uno, in particolare, su cui vale la pena insistere e  riflettere:

Ecco, nel momento in cui una donna afferma pubblicamente che la violenza ci riguarda, da vicino, non possiamo fare altro che fermarci e stare alle sue parole. Non si tratta di dare per vero: è vero che lei lo dice.

Si tratta di un’affermazione non nuova – sostenuta e condivisa a suo tempo, se ben ricordo, anche da alcune donne – un’affermazione che ora come allora lascia di stucco. Che non si tratti “di dare per vero ciò che è vero” –  vero è, infatti, il fatto che una donna lo dica – non significa che vero sia quanto detto, l’oggetto della sua affermazione.  Questa indistinzione – e l’inevitabile confusione che ne deriva – fra due verità distinte e non equiparabili, la ritroviamo riformulata con accenti che sfiorano il patetico, nel passaggio di un grande estimatore delle donne  e appassionato sostenitore di questa tesi che si premura di avvertirci – come se l’avvertimento fosse garanzia di alcunché – di aver letto l’articolo tre volte e di averlo condiviso.

Vien da chiedersi cosa ne avrebbe tratto se lo avesse letto una sola volta…

Io l’articolo l’ho condiviso. L’ho letto tre volte. Quale che sia la valutazione sul suo quadro teorico, arriva alla conclusione giusta. La parola della donna che dichiara di avere subito violenza va ascoltata, riconosciuta e creduta vera. Non c’è altro ambito di verità che ci deve interessare. E’ una posizione più forte di quelle anche da me espresse che evocano l’avvallo di una qualsiasi altra fonte di verità, ad esempio il centro antiviolenza. Se pure si mantiene su un piano relazionale, interlocutorio – e questo in fondo va bene – nel merito è la posizione più radicale espressa finora.

Posizione radicale? Che cosa c’è di radicale nel dire che una donna che ha subito violenza va ascoltata e riconosciuta? Assolutamente Nulla. Ma se così è, la radicalità cui l’autore si appella va allora ricercata nel fatto che, vera o falsa che sia, la parola della donna debba essere comunque “creduta vera”. La radicalità non consiste dunque nella verità – e nella sua ricerca –  ma in ciò che vero “viene creduto” – a prescindere – e questo, solo questo, sarebbe l’“ambito di verità che ci deve interessare”. Mi è venuto in mente, leggendo queste pericolosissime amenità, un passaggio di Weil su quella “luce irresistibile dell’evidenza” che “obbliga a pensare così e non altrimenti”:

Se riconosciamo che esiste una verità, allora non ci è permesso pensare ad altro da ciò che è vero (…). Se non esiste evidenza, se c’è dubbio, è allora evidente che, nello stato di conoscenze di cui disponiamo, la questione è incerta. Se c’è una debole probabilità da un lato, è evidente che c’è una debole probabilità, e così via. (Manifesto per la soppressione dei partiti politici).

Nel “creduto vero” non c’è riconoscimento dell’esistenza di una verità, ma di una verità creduta, non c’è evidenza ma dubbio e se c’è dubbio è evidente che la questione è indecidibile almeno fino a quando non si disporrà di tutto il sapere necessario a dissipare quel dubbio. Ma detto questo, ciò che odora di “riparazione” a mille miglia di distanza , è l’assillante eccessivo e ossessivo bisogno di certi uomini di rassicurare se stessi dalla propria misoginia esibendo e rassicurando le donne che loro sono lì, pronti a difendere la causa femminile più di quanto loro stesse siano disposte a fare con le loro compagne di genere. Che alcune donne abbiano reagito rifiutando con sdegno quell’ articolo sostenuto dal commento riportato, è un buon segno. E’ segno che non si lasciano incantare/ingannare dalle parole perché conservano intatta -grazie a quell’ intuito che fa loro percepire la netta differenza fra la verità di un sentire maschile autentico e la finzione maschile di un sentire strumentale e “riparativo” – la capacità di comprendere che, dietro la maschera della genuflessione e di un protettorato maschio tanto “radicalmente” esibito, c’è l’immedicabile presenza di un odio insoluto e ancora misconosciuto nei riguardi della donna.

Per questo tra Erezione e Genuflessione, scegliamo, di nuovo, l‘Inclinazione (Cavarero)