Se l’amore è tradimento.. e il sesso complicità.

Riportiamo di seguito la presentazione del libro VAI PURE di Carla Lonzi tenuta da Leda Bubola durante il nostro gruppo di studio presso Oikos Bios.

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Ho letto questo testo per la prima volta un anno e mezzo fa all’incirca. Ricordo ancora la sensazione d’immersione profonda nella lettura, seduta alla stazione dei treni di Venezia, la gente che mi sfrecciava di fronte ed il brusio lontano tipico di ogni ambiente affollato. Nella mia immaginazione Carla e Pietro seduti attorno ad un tavolo, proprio come ritratto dalla foto in copertina del libro: un momento quotidiano, fatto di conversazioni probabilmente già affrontate ma questa volta incise su un nastro audio per poi essere trascritte, segno evidente di qualcosa che valeva la pena di essere registrato, qualcosa che andava oltre l’intimo del rapporto di un uomo con una donna, e di una donna con un uomo. È in questo intramezzo tra il privato e il pubblico che si è collocato il femminismo delle origini, aprendo la porta alla scoperta di quei nessi che svelano l’innesto dei sentimenti nella vita pubblica e sociale, tra essi soprattutto l’amore inteso in senso patologico. È di questa patologia che vuole parlarci Carla? Forse con questo termine dobbiamo andarci un po’ cauti, anche se possiamo dire, per certo, che non vuole descriverci un rapporto che funziona, ma un rapporto incrinato, un’impossibilità a proseguire oltre che le farà dire a Pietro: “Vai pure”.

Vai Pure è stato scritto nel 1980, due anni prima della morte per malattia di Carla Lonzi. Il rapporto con Consagra termina dopo la stesura di questo dialogo, anche se, sappiamo, che lui le fu vicino durante tutta la sua malattia. La conversazione mostra ripetutamente dei punti profondi d’inconciliabilità tra Carla e Pietro probabilmente imputabili a un cambiamento di posizionamento di lei nei confronti di questo uomo artista intellettuale.

Vale la pena soffermarsi su questi passaggi perché trascendono l’individualità dell’uomo e della donna per dirci qualcosa che riguarda l’universalità della dimensione di coppia. Ed è questo che ho trovato nella prima lettura del testo, dei chiari riferimenti alla mia esperienza vissuta, pur diversa da quella di Carla, ma con risvolti e problematicità simili, dei punti che sembrano riguardare più la teoria che la pratica, intendendo per teoria un’insita diversità, quasi codificata, tra la visione della vita, delle necessità, dei valori, di una donna rispetto a quella di un uomo.

E ne abbiamo l’immediata evidenza dalla semplice esistenza di questo testo che spicca da subito per la sua originalità editoriale. Si tratta di una conversazione messa per iscritto, genere letterario assai inconsueto, che tira in ballo, sulla scena, due personaggi, un uomo e una donna. Fedele alle battute dei due, non come per il copione di un’opera teatrale in cui la voce di tutti i personaggi è in realtà quella di un solo uomo, l’autore. Carla, per scrivere questo libro, ha bisogno di colui con il quale ha condiviso una parte importante della sua vita e che ha reso possibile un’esperienza, quella amorosa, dalla forte valenza conoscitiva. “In tutto il mondo siamo sempre in due” verrebbe da dire riecheggiando il titolo di un famoso testo di Luce Irigaray, e questo è reso evidente dal dialogo che Carla vuole fermare sulla carta

“Perché per me è un’esigenza di vita per andare avanti e non un capire scisso dalle soluzioni che trovo. Per me va tutto insieme.”[1]

Andando oltre quella sensazione di sottile vergogna che io stessa ho provato nel vedere svelata sulla pagina una dimensione intima dell’essere donna, quella dimensione che non esiste senza l’altro/a, che lo tira costantemente in ballo proprio perché sulla relazione fonda il proprio sé, ho trovato un ancoraggio di salvezza nel tentativo stesso del testo di creare una nuova possibilità, quella della solitudine, vissuta come risorsa. “Vai pure”, come dire che la potenzialità fondativa della relazione non costituisce un ultimato, una necessaria condizione d’essere, ma è una possibilità che può essere colta o meno, una scelta che non dev’essere fatta a tutti i costi. Per arrivare a questa consapevolezza, sembra però necessario oltrepassare sulla propria pelle l’esperienza di un rapporto vissuto quasi senza apparente possibilità di scelta, come d’altronde ci sembrano tutti i rapporti in cui ci troviamo catapultate quasi per caso, attratte da una forza incommensurabile, che chiamiamo, a ragione e a torto, amore.

Procederò quindi ad un’ analisi del testo soffermandomi sui punti che mi sembrano più interessanti. La conversazione inizia con una presa di coscienza reciproca di qualcosa che non va più nel rapporto e che, com’è prevedibile, viene subito ricondotto da Pietro ad una mancanza di situazioni erotiche:

“…la vita a due adesso la stiamo facendo un po’ stanchi. Tu sei preoccupata che io… appena ti faccio una fantasia, una fantasia erotica tu ti allarmi e mi dici “ah per carità, io l’erotismo non lo posso sopportare, non mi interessa… quando parli così vorrei scappare…”[2].

L’erotismo sembra avere, per Pietro, un forte legame con la creatività artistica – ricordiamo che Pietro Consagra è stato un importante scultore, ha fatto parte del movimento dell’arte astratta del dopoguerra. Egli parla dell’erotismo come “salvagente” che lo solleva dal mare angoscioso della creatività artistica, una specie di ricarica che gli permette di riaffrontare l’arte con una rinnovata fiducia nella sua potenzialità. È chiaro che, assumendo questo punto di vista, chi esprime la possibilità dell’erotismo, la donna, è vista essenzialmente come strumentale, come colei che fornisce l’energia, tramite il rapporto sessuale, necessaria alla creazione artistica. Il piano si sposta dall’intimo al sociale, dal rapporto uomo-donna a quello uomo-società-cultura in cui la donna e ciò che è acquisito attraverso il rapporto con lei viene completamente sussunto nell’atto di creazione visto unicamente nel suo genere maschile. E infatti, proprio quando questa ricarica viene a mancare e Carla si sottrae dal ruolo di musa ispiratrice perdendo interesse per l’erotismo, invece di regalare all’artista energia rinnovata, essa gli regala solamente problemi:

“Tu avevi sempre un po’ colpevolizzato il mio rapporto con te come un rapporto che ti dava problemi che non erano tuoi, che ti appesantiva con drammi miei di donna e con la coscienza di donna, però in fondo stavi al dunque e questo mi faceva pensare che fosse una cosa che ti riguardava più profondamente di quanto volessi ammettere e che si stessero facendo dei passi nella stessa direzione, anche se tu dalla tua condizione di uomo, io dalla mia condizione di donna.”[3]

Era certamente una cosa che lo riguardava, visto che in un rapporto di coppia le cose si fanno sempre in due. Eppure è proprio questo il problema, il fatto che si fosse tacitamente creato un equilibrio basato su di un’inclinazione costante di lei nei confronti dell’uomo artista. Carla sembra rendersi conto della sua complicità nell’aver creato questo rapporto, tenta e ritenta di spiegare a Pietro la tragicità della sua condizione di donna, presa nell’ambiguità di sentimenti contrastanti, come il bisogno di autonomia e il bisogno d’amore:

“Ora io non ho intenzione di cedere, naturalmente, e mi rendo conto del perché poi una donna può cedere. Perché il bisogno di autonomia entra in un tale contrasto con bisogno di amore, e il bisogno di amore è sentito così forte che prende il sopravvento sul bisogno di autonomia. Però questa è la fine.”[4]

Carla aveva quindi accettato, mi chiedo e vi chiedo, una condizione non scritta nel rapporto con Pietro? E cos’ha a che fare questa condizione con il diritto acquisito dell’uomo artista di ricevere ciò di cui ha un bisogno vitale, l’attenzione sessuale unita alla sicurezza materna, quasi come se questi due aspetti fossero tutto del rapporto tra lei e Carla? Eppure lei tenta di riportarlo costantemente alla propria condizione, cerca di spiegargliela in ogni modo.

Lui si lamenta per la perdita di una condizione idilliaca con lei che descrive in questo modo:

“La cosa è nata dal fatto che io vivevo con te la vita più interessante che ho mai vissuto con una persona dal punto di vista affettivo, intellettuale e completo e però poi mi mancava, quando tu hai preso delle posizioni precise, una persona vicina anche nei momenti della vita sociale, di lavoro, di preoccupazioni. E lì mi sei mancata.” [5]

Appare chiaro da questo passaggio quanto appena ipotizzato: c’è un prima e un dopo che identificano un preciso cambio di posizione di Carla nei confronti di Pietro. Ed è in questo cambio di posizione che si situa il momento di rottura tra i due, o meglio, il momento in cui Pietro comincia a sentirsi mancare qualcosa che, qualche riga più tardi, definirà come “accompagnamento, incoraggiamento nei momenti della solitudine.”

È il bisogno di autonomia di Carla che comincia a farsi sentire sul suo bisogno d’amore, bisogno che l’ha forse portata ad essere per Pietro, in un primo momento, ciò che lui desiderava che fosse. Da qualche parte, insomma, sembra inevitabile ipotizzare un assenso di lei ai desideri di lui forse in coincidenza con la prima fase del rapporto di coppia caratterizzato, come ben sappiamo, da una certa euforia spesso accompagnata da una carenza di riflessione sulle nostre azioni. Possiamo dire, quindi, che il cambio di posizionamento di Carla ha sbilanciato il rapporto e ha costretto Pietro ad un cambiamento che lui non sembra disposto a fare. E ricordare, infatti, che ogni qualvolta si chiede qualcosa a qualcuno con tanta insistenza – come di fatto Carla fa durante tutto la durata del dialogo chiedendo ripetutamente di essere capita – ci si trova di fronte ad un muro.

D’altronde, quando si firma un contratto, non si può recedere così facilmente e, quand’anche ci si riuscisse, non sarebbe così facile stipularne un altro con rinnovate condizioni e con lo stesso contraente. Sarà certamente triste paragonare l’amore all’economia ma forse questo parallelismo ci renderebbe più facile la comprensione di certe situazioni di coppia in cui a parlare sembra essere tutt’altro che l’amore. In questo caso, infatti, sembra veramente totale il muro che si erige tra Carla e Pietro e le ferite che questo muro arreca ad entrambi. Non si deve mai paragonare la sofferenza di due persone ma esiste, ciononostante, una differenza tra l’intensità del disagio trasmesso da Carla rispetto a quello trasmesso da Pietro. Sembra, infatti, che la totale cecità di Pietro di fronte alla condizione che lei cerca di trasmettergli, arrechi a Carla ferite così profonde da poter essere difficilmente guarite. Per Carla, il continuo rifiuto di Pietro di fronte alla sua richiesta di cambiamento, di avvicinamento a lei, genera rancore e non solo..

“Quando sento che tu, in questa crisi a cui pure ho partecipato con molta cura, sei pronto a tradirmi, a tradire le ragioni del rapporto per dare spazio a te stesso in quanto autore piuttosto che te stesso in quanto partecipe del rapporto, io ho toccato il fondo. Questa non è più una contraddizione in cui mi impegno, diventa la fine, la tomba o comunque uno scoglio tale per cui non posso più andare avanti, sento le mie energie messe con te come buttate senza speranza.”[6]

Mi sembra una dichiarazione molto forte, estremamente coerente con quanto Carla sperimenterà a breve sulla propria pelle. Occorre indagare cosa c’è di così insostenibile in questa presa di coscienza tale da farle dire che questa è la fine, la tomba, oltre la quale non può più andare avanti. Occorre farlo anche alla luce della discussione che ci vede impegnate in questi ultimi tempi a riflettere sulla possibilità per una donna di scegliere liberamente la propria schiavitù. L’alternativa a questa schiavitù è, infatti, una realtà insostenibile, è la consapevolezza che anche chi ti ama in realtà, in fondo, ti usa e non è disposto a modificare se stesso – proprio questo egli rifugge con tutte le sue forze! – anche al punto di ferirti a morte e con tutti gli elementi per essere completamente consapevole di quello che sta facendo. Insomma, certo non è la prima volta che Carla lo spiega a Pietro, e glielo spiega bene:

“Per me rapporto significa conoscenza reciproca e modificazione cosciente di sé all’interno di questa. Perché ciò avvenga tutti gli altri scopi della vita devono andare in sottordine.”[7]

Pietro non era affatto disposto a mettere in subordine l’arte, perché, se così avesse fatto, non avrebbe avuto più senso neanche il rapporto con Carla, perché lei è in funzione dell’arte, ovvero in funzione della sua – di lui – potenza creatrice . E, in effetti, non ci è nuova questa tendenza del maschile di sussumere a sé l’esperienza generatrice femminile e farne altro da ciò che essa è in termini di generazione materna, farne una potenza creatrice che non è propria della fisiologica maschile e che ricalca, sotto ogni punto di vista, la fisiologia femminile. Questo concetto è chiamato mimesis del femminile da Adriana Cavarero nel suo testo Nonostante Platone dove descrive questo processo di sussunzione e sublimazione tipico nell’amore platonico.

E Carla questo lo aveva già rifiutato a proposito della sua professione di critica d’arte attraverso la quale aveva maturato la consapevolezza della funzione strumentale dello spettatore, come quella della donna, nei confronti dell’opera d’arte.

“Se viene data la priorità alla produzione dell’opera d’arte a discapito del rapporto umano, il rapporto umano inevitabilmente non può realizzarsi, perché non si possono realizzare due cose in concorrenza. Io è lì che insisto e sento di essere in una cultura estranea a me perché il rapporto umano è strumentalizzato alla realizzazione dell’opera.”[8]

È chiaro che siamo di fronte ad un aut aut in cui se la donna vuole portare avanti la relazione deve rinunciare a se stessa, se la donna decide di non rinunciare a se stessa non può dare all’uomo ciò di cui lui ha bisogno. E questa è già una posizione di forza dell’uomo nei confronti della donna, è già metterla di fronte ad una scelta spesso inconscia in cui il senso di colpa gioca un ruolo importante, è come un “se tu non mi dai ciò di cui ho bisogno, non ti puoi lamentare se poi il rapporto non funziona”, chi ha bisogno è lui e non lei.

“A questo punto ho preso coscienza di una posizione di forza nei miei confronti che non si presenta come tale, ma in realtà lo è, io lo sento così, che non mi fa più avere uno spazio per tirare avanti questo rapporto. Per me rapporto significa conoscenza reciproca e modificazione cosciente di sé all’interno di questa. Perché ciò avvenga tutti gli altri scopi della vita devono andare in sottordine.”[9] 


[1] Carla Lonzi, Vai Pure, et. al./ EDIZIONI 2011 pag. 8

[2] Ibidem pag. 5

[3] Ibidem pag. 7

[4] Ibidem pag.  9

[5] Ibidem pag. 13

[6]  Ibidem pag. 10

[7] Ibidem pag. 12

[8] Ibidem pag. 35

[9] Ibidem pag. 7