ASSENZE PRESENTI. Quattro Donne…Un solo destino

di Paola Zaretti/ Assenze Presenti. Quattro Donne…Un solo destino

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di Paola Zaretti /Assenze presenti. Quattro Donne…Un solo destino

CARLA LONZI, ANTONIETTE FOUQUE, LUCE IRIGARAY, ANGELA PUTINO

Quale ruolo hanno avuto all’interno del femminismo italiano queste importanti figure di donne che lo hanno fortemente e diversamente segnato con la loro impronta e ai cui contributi di pensiero siamo debitrici?

E’ possibile ricostruire storicamente, sia pure per sommi capi, il senso e il significato Politico, Filosofico e Psicanalitico della loro presenza e della loro rispettiva funzione all’interno di quel contesto?

La psicanalisi, rappresentata in quegli anni nelle figure di Antoniette Fouque e di Luce Irigaray, è ancora considerata, come allora, “uno dei discorsi della rivoluzione in corso”?

C’è qualcosa di comune, indubbiamente, che, pur nella singolarità di ciascuna, avvicina queste donne – nella sorte. Che cos’è?

Forte è l’impressione che dei saperi di queste figure carismatiche, della loro singolare esperienza filosofica, politica e psicanalitica e dell’acquisizione delle pratiche ad esse connesse, il femminismo nostrano abbia abbondantemente usufruito – e goduto – prima che si verificasse, per motivi diversi, una presa di distanza da ciascuna di loro.  Culmine e declino. Fuochi d’artificio e ceneri…Qualcosa si spegne come in un “abbandono” che rievoca brutalmente una formula infelice che non esprimo.

Addolora ammetterlo, eppure è così, proprio così che spesso iniziano, si strutturano, evolvono, deperiscono, e si disfano, per molte donne, le relazioni inizialmente cariche di amoroso entusiasmo e travolgente empatia, con le loro simili. E’ un’euforia che assume talvolta i tratti della maniacalità e della malinconia che inevitabilmente ne consegue.

Pensiamo a Lonzi, alla pratica autocoscenziale da lei introdotta e al suo successivo abbandono per essere stata considerata una “pratica a termine” del tutto inutile e sostituita con la “pratica dell’inconscio” e con la “pratica del fare. Pensiamo ad Antoniette Fouque, Psicanalista francese fondatrice di “Psychanalyse et Politique” il cui pensiero e la cui pratica furono subito accolte come “linfa vitale” dalla Libreria delle donne di Milano ma con la quale poi, proprio sulla relazione materna, la relazione (materna?) s’interruppe.

Antoniette sarà nominata e ricordata il giorno della sua morte.

Pensiamo al felice esordio e all’accoglienza inizialmente mostrata a Luce Irigary, ben presto insignita del titolo onorifico di “vera autorità teorica assunta dal gruppo” con la quale i rapporti si andranno via via allentando e  sgretolando nonostante la sua presenza, giusto qualche anno fa, a un Seminario di Diotima a Verona, dall’andamento – così pare – un tantino burrascoso…per via di una critica da lei rivolta a due appartenenti al gruppo di DIOTIMA sul tema del materno.

Pensiamo, infine, ad Angela Putino, una “filosofa antica e contemporanea” frequentarice della Libreria delle donne il cui tratto antico – una polemica che “non lasciava nessuno tranquillo nelle sue posizioni” (Zamboni) consapevole com’era dei limiti di quell’”inclinazione isterica alla fusionalità” teorizzata dalla fautrici dell’ordine simbolico materno – e la cui presenza, nonostante le dichiarazioni di stima, non fu a molte gradita.

Ce n’è stato, per tutte, insomma…Varrà dunque la pena ripercorrere e ricostruire brevemente, in sequenza temporale, la genesi, l’evoluzione e la fine di queste relazioni ricordando, in primo luogo, il rapporto privilegiato che il femminismo ebbe, sin dall’inizio, con la filosofia e, secondariamente ma non in subordine, il suo desiderio e la sua ricerca di contatto e di confronto, fin dai primi degli anni ’70, con la psicanalisi.

L’anno cruciale in cui ha ufficialmente inizio il primo incontro del femminismo con questa disciplina, è il 1972, il luogo è la Francia in cui si svolgono, nell’arco dello stesso anno, ben tre incontri: il primo a La Tranche sur Mer in Vandea per una settimana (24 giugno-2 luglio), il secondo, in autunno, a Vieux Villez in Normandia per cinque giorni (27 ottobre-1 novembre), e il terzo nell’estate del 1973 a Chateau Coupigny nelle Ardenne.  Vi partecipano esponenti di quello che sarà il femminismo successivo – Lea Melandri, Maria Schiavo, Luisa Muraro, Lia Cigarini, Luisa Passerini e, in una posizione critica e dissonante, si troverà ad essere coinvolta anche Carla Lonzi. Sono in tutto una ventina di donne italiane provenienti da Milano, Torino, Firenze e Roma. Sul versante francese sono presenti alcune esponenti del MLF, Mouvement de Libération des Femmes, in particolare Antoinette Fouque, fondatrice dello stesso Movimento insieme a Monique Wittig e Josiane Chanel nel 1968. Organizzatrice dell’incontro è la psicanalista Antoniette Fouque, figura di estrema rilevanza, fondatrice e punto di riferimento di Psychanalyse et politique che nasce come gruppo di autocoscienza in cui si tiene in gran conto la dimensione dell’inconscio e i suoi effetti nella psicopatologia della vita quotidiana: atti mancati e nei lapsus. Il contributo originale e innovativo apportato da Fouque – che, ricordiamolo, era contemporaneamente in analisi da Irigary e da Lacan – consiste dunque nel tentativo di far dialogare due diverse sfere: la sfera della politica e la sfera dell’inconscio. Ecco i termini con cui questo dialogo viene descritto:

“Ritenevo vitale che l’una interrogasse e conoscesse l’altra e viceversa. In breve, c’era dell’inconscio nella politica e della politica nell’inconscio”.39 (Fouque)

Per avere un’idea del fascino esercitato da questa importante figura femminile, riportiamo una suggestiva descrizione di Antoniette da parte di una donna che era presente all’incontro:

“Apparve dunque Antoinette, sono tentata di dire, “à l’heure du cercle” che, come si sa, era il momento in cui nel Seicento la regina riceveva. Non dico questo per sottolineare negativamente il potere che questa donna aveva, ma per far comprendere quanto fosse autorevole all’interno del suo gruppo. In realtà, Antoinette aveva un’aria quasi dimessa. Era piccola, quasi claudicante. […] Sotto una permanente un po’ goffa, occhiali cerchiati di nero, a mascherina, aveva degli occhi molto belli, vivissimi, cui non sfuggiva niente – mi accorsi in seguito – di ciò che accadeva nel gruppo. Pur non essendo sempre presente, sembrava dar vita senza sforzo, animare liberamente ogni parola, ogni atto di ciascuna […] con le sue apparizioni e i suoi interventi persuasivi, discreti, simili a pacifici blitz. Il suo potere, in realtà, era tutto nella parola”. (Schiavo, Movimento a più voci, pp. 61 e 65).

Fouque, come già accennato, verrà ricordata in occasione della sua morte, avvenuta nel marzo del 2014, con le parole di Lia Cigarini scritte per l’introduzione al suo libro I sessi sono due. Ne riportiamo solo qualche stralcio in cui viene riconosciuta ed esaltata la scoperta della preziosità dello “strumento analitico di conoscenza” utilizzato da Fouque “per la pratica politica del movimento delle donne” , e in cui viene fatto cenno alle motivazioni che portarono le donne della Libreria di Milano a porre fine al rapporto con Fouque:

“Il mio primo incontro con lei e il suo pensiero è avvenuto, infatti, nell’ottobre 1972 a Vieux-Villez, un villaggio della Normandia, a un raduno di donne organizzato dal gruppo “Psychanalyse et Politique”, vivo fin dal 1968. Ero a quell’incontro perché attirata dai temi posti in discussione: la relazione con la madre, l’omosessualità primaria, la critica all’ideologia freudiana ma, contemporaneamente, la definizione della psicanalisi come arma rivoluzionaria. Ero in analisi da cinque anni e, quindi, avevo un interesse enorme per la dimensione dell’inconscio. Partecipavo, poi, a un gruppo di autocoscienza a Milano che, come altri, aveva al centro dell’indagine la sessualità femminile e il rapporto con la madre. Tuttavia non avevo mai pensato che lo strumento analitico di conoscenza fosse prezioso per la pratica politica del movimento delle donne. E invece lì, a Vieux-Villez, ho capito la necessità dello strumento analitico (pur usato in modo sovversivo) per riscoprire il corpo e farlo parlare attraverso l’analisi minuziosa dei blocchi, delle censure, delle paralisi, e per tenere conto della posizione chiave del fallo nella sessualità (…). Per me in particolare fu preziosa l’indicazione che era indispensabile un lavoro politico a livello simbolico. (…). Il pensiero e la pratica di Antoinette Fouque e del suo gruppo fu accolta e discussa soprattutto a Milano (…). Si può dire, dunque, che la pratica di relazione tra donne (o pratica della differenza sessuale) abbia tratto linfa vitale dal pensiero di Antoinette Fouque e del suo gruppo. Va detto che, poi, il nostro processo di pensiero è stato originale e differenziato negli esiti, in particolare e proprio sulla differenza sessuale. Intorno al nostro essere donne/uomini, noi, come Antoinette Fouque, abbiamo riflettuto a partire dalla pratica di relazione donne con donna e come lei siamo arrivate alla conclusione che il nodo fondamentale è la relazione materna. Ma noi non pensiamo all’esperienza di diventare madri, bensì alla dimensione, esistenziale e relazionale, di venire al mondo da una donna. Infatti dopo alcuni anni lo scambio politico con “Psychanalyse et Politique” si allentò per finire del tutto”.

E siamo, dopo quella con Lonzi, alla chiusura numero 2

Ebbene, è da questo primo contatto inaugurale di alcune femministe italiane con una psicanalista che vedeva nella psicanalisi “un’arma rivoluzionaria” – e che darà luogo, più tardi alla nascita di due gruppi: il gruppo n. 4 di analisi e il gruppo di pratica dell’inconscio ad opera, rispettivamente di Cigarini e Melandri su cui ci siamo soffermate altrove (vedi Femminismo e psicanalisi, Nel Nome della Madre della Figlia e della spirita santa di Paola Zaretti) – che  nascono una serie di domande:

Che c’entra il femminismo con la psicanalisi? Perché il femminismo ha cercato un rapporto con la psicanalisi prima attraverso Antoniette Fouque e, successivamente, attraverso Irigaray che – ricordiamolo – era stata cacciata dall’Ecole freudienne fondata da Lacan per “mancata fedeltà a un solo discorso”? Non va peraltro dimenticato, in questa ricostruzione, che il novello rapporto instauratosi tra le femministe, Fouque e il gruppo di Psycanalyse et politique, porterà all’abbandono della pratica autocoscienziale introdotta da Lonzi, dominante fino al 1974 ma ormai attraversata dalla “noia” – si dirà – e alla formazione di altri gruppi

Ma poiché ad interessarci non sono le ragioni cosiddette“ufficiali” dell’abbandono della pratica autocoscienziale ma le motivazioni profonde della ricerca di un rapporto con la psicanalisi, ci siamo chieste a che cosa fosse dovuto un così spiccato interesse, da parte delle femministe italiane, per questa disciplina. La risposta è piuttosto semplice e facilmente documentabile: l’interesse per la psicanalisi nasceva da quel particolare genere di sofferenza, un tempo tipicamente femminile, che ha nome “Isteria”. Quando Angela Putino in Amiche mie isteriche scrive:

“L’isteria ormai non è più ciò che gli uomini – psicanalisti, amanti, amici – hanno pensato, riferendolo alle (loro) donne, ma solo il nome con cui alcune femministe hanno designato un proprio comportamento”. (Putino Amiche mie isteriche)

 non “interpreta” e non svela nulla che non fosse già stato riconosciuto e apertamente dichiarato da Muraro che, fra le “isteriche”, non aveva esitato a collocare, assieme ad altre, se stessa: “…Ed io mi metto tra queste” – aveva scritto alludendo alle “isteriche” (Muraro, La posizione isterica e la necessità della mediazione)

Il fatto è che nonostante questa ammissione – della cui onestà le va dato atto ma in cui non è difficile riconoscere, per chi ha un minimo di orecchio, i classici tratti della “sfida isterica” da manuale – Muraro coltiva un progetto “terapeutico” che vedrà lei stessa soggettivamente e teoricamente impegnata, in qualità di sostenitrice e garante di una “terapia politica” dell’isteria, attraverso l’invenzione di un “ordine simbolico della madre”. Una delle motivazioni che la spinge in questa direzione è, a suo dire, la seguente:

“La modalità isterica di fare politica non avrebbe portato alla politica perché non c’è, in quella modalità, così come si presenta spontaneamente, la misura. Questo concetto fondamentale”. (La posizione isterica e la necessità della mediazione)

Alla “modalità isterica di fare politica” va posto dunque rimedio ma il rimedio di cui si tratta – in mancanza della necessaria competenza – è peggiore del male cui si vuole rimediare: “curare” l’isteria attraverso l’isteria. Essendo poi la “misura” un concetto fondamentale, bisogna dunque cercarla – e praticarla. In che cosa consista per Muraro questa “misura”, è presto detto: consiste nel prendere innanzi tutto la misura della distanza da tutto ciò che riguarda la sfera dello psichico – e del sociale.

“Non c’è una psicologia o una sociologia da interrogare” (Ibid.)

“La relazione con la madre reale non è una faccenda privata o psicologica (…)” (Ibid.)

Il progetto “terapeutico” murariano non contempla ma nega e misconosce quella componente umana essenziale rappresentata dalla PSICHE e dalla  funzione decisiva dell’inconscio nelle faccende umane troppo umane. E tuttavia, nonostante questo misconoscimento dichiarato, dopo aver liquidato, assieme ad altre, Lonzi e l’autocoscienza, riservandole un riconoscimento “a mero titolo di esemplarità” (Boccia), rivolge la sua attenzione a due psicanaliste: nell’ordine, Antoniette Fouque e, più tardi, Luce Irigaray, cui verrà assegnato il titolo onorifico di “vera autorità teorica assunta dal gruppo”. E qui un’altra domanda è d’obbligo: da dove nasce, da che cosa è motivato questo interesse di Muraro per due psicanaliste – che con l’inconscio ci lavorano tutti i giorni – da parte di una filosofa femminista che ha deciso di “prendere in mano la questione dell’isteria femminile” per il solo fatto di aver collocato, tra le isteriche, se stessa?

Una filosofa

per la quale “non c’è una psicologia da interrogare”

per la quale “la relazione con la madre reale non è una faccenda privata o psicologica”.

per la quale “la liberazione della verità isterica viene con il femminismo…). (Muraro La posizione isterica e la necessità della mediazione)

per la quale: “il femminismo è stato per l‘isterica come un teatro che ha dato senso ai sintomi, facendolo scaturire, questo senso, non da un’interpretazione prodotta da un altro che si sottrae così alla relazione, ma direttamente dalle relazioni che sono in gioco sulla scena”. (Muraro)

Inutile rilevare che nell’ultimo passaggio “l’altro che si sottrae alla relazione” è l’analista e che ad essere sotto il tiro di Muraro è l’”interpretazione”, un concetto di cui mostra di non conoscere la funzione che all’interno di un setting analitico le spetta e che non coincide con l’uso corrente assegnato a questo termine dalla vulgata. Muraro, non avendo mai fatto un’analisi, non sa di cosa si tratti e pensa ingenuamente che avere ”vent’anni di materialità tra le donne” sia quanto basti a “modificare il suo inconscio” e ad essere nell’ordine simbolico della madre.

“Io ero prima muta e frigida e non lo sono più non perché ho fatto l’analisi ma perché ho vent’anni di materialità tra le donne. Ho modificato il mio inconscio e sono nell’ordine simbolico della madre, non è stata solo una modificazione politica (…). (Muraro)

A rilevare con acume lo scarto tra il valore assegnato prima a Fouque e poi ad Irigary e quello riconosciuto a Lonzi, è Maria Luisa Boccia:

“Ciò appare più evidente se lo scarno richiamo a Lonzi viene confrontato con il ben diverso rilievo dato al pensiero di  Luce Irigaray, la vera autorità teorica assunta dal gruppo (“la cui opera costituisce per noi un riferimento costante e un terreno d’incontro già acquisito…”, p.183). Annoto questo scarto perché gruppi quali Diotima e la Libreria delle donne di Milano hanno fatto della produzione di una genealogia femminile, reale e simbolica uno degli assi della loro pratica e teoria. Il riconoscimento dunque ha un diverso valore se attiene a quest’opera genealogica, come è per Irigaray, o se, al contrario, resta dimensionato al piano della documentazione storica. Non vi è dubbio del resto che tra il femminismo autocoscienziale di Lonzi ed il pensiero simbolico di Irigaray esistono forti differenze (…). Tuttavia non è indifferente per la storia delle idee e delle pratiche femministe assumere, non relegandolo a mero dato delle origini, che un pensiero teorico della differenza sessuale si era già prodotto entro una pratica autocoscenziale” (Boccia. L’Io in rivolta)

Come dire: diamo a Cesare quel che è di Cesare senza togliere a Lonzi quel che è di Lonzi. Boccia coglie qui, con notevole sensibilità, l’orma ben riconoscibile della cancellazione di un pensiero. Che cosa significa definire Irigaray “la vera autorità teorica del gruppo”? Perché “vera”? C’erano forse state, prima di lei, una o più “autorità teoriche” “non vere”,  c’erano forse state delle “autorità teoriche” “false”? E chi erano?

Va peraltro ricordato che la posizione di Irigaray in tema di genealogia era stata formulata, rispetto all’idea che se n’era fatta Muraro, in termini di alleanza tra genealogie materne e paterne” e dunque in termini non riconducibili né riducibili a un primato genealogico materno. Scrive infatti Iriagary:

“Invece di tentare di compiere un’alleanza tra genealogie materne e paterne, l’una ha cercato di soppiantare l’altra. Ora, ciascuna contribuisce alla cultura e con specifici valori”. (Irigaray, All’inizio lei era)

E ancora:

“E’ dunque senza dubbio utile riaffermare il valore della genealogia naturale o culturale della donna, in quanto le consente di superare la sua dipendenza dalla genealogia maschile. Ma non andare oltre la dimensione genealogica può essere una trappola, un ostacolo al divenire del soggetto. Se la dipendenza dalla genealogia maschile spinge la bambina o la donna a uscire dal proprio divenire, non ANDARE OLTRE la genealogia femminile – in particolare oltre la sua dimensione naturale come accade troppo spesso oggi – equivale generalmente a un’aderenza a una prima relazione che impedisce alle bambine e alle donne di divenire completamente autonome e di portare a compimento la loro soggettività (Ibid.)

Ma com’è finito, come si è consumato, dopo Lonzi, dopo Fouque, il rapporto con Irigaray, la “vera autorità teorica” del gruppo? Per quel che ci è stato riferito e ci è dato sapere da fonti attendibili che erano presenti all’incontro di Verona di qualche anno fa, si tratta di un rapporto tutt’altro che idilliaco che traspare del resto, da “L’inconscio può pensare?” curato da Chiara Zamboni, un libretto in cui viene dato conto di quell’incontro ma da cui la discussione avvenuta con Irigaray sulla questione del materno risulta assente…

Ma come sono andate le cose con Angela Putino? Con quella donna filosofa

“incredibilmente piccola ed eloquente, graziosissima nelle movenze. Il viso intelligente illuminato da un sorriso che non si spegneva mai completamente” ma “dalle parole veloci e taglienti” (Muraro).

Che cosa “tagliavano” quelle parole quando dicevano che

“per trovar radici occorre sradicarsi” (Putino, COSMO, 1987)

 Quando dicevano che

 “per raccogliere dobbiamo separare. Recidere, staccare da nuove agglomerazioni che tendono a integrarle”

Per quali certezze e per CHI costituivano una minaccia? Per coloro che volevano stare al mondo “da signore, in grande” e che avevano “voglia di vincere”? (Sottosopra, gennaio 1983)

“Angela acuminava la critica perché si andasse allo scoperto. Non lasciava nessuno tranquillo nelle sue posizioni. Aveva scritto sull’arte di essere guerriera nell’uso dei concetti e nell’intervento politico. Occorreva non sconfiggere l’avversario ma provocarlo ad uscire allo scoperto dando il meglio di sé. Quando ci riusciva le brillavano gli occhi di allegria. Naturalmente ci eravamo rese conto di questo a Diotima, alle riunioni di discussione filosofica che tenevamo e a cui partecipava. O stava zitta o apriva la contesa. E me ne sono ben resa conto quando ha pubblicato nel 1988 Amiche mie isteriche in cui direttamente criticava una strada  che avevamo battuto nel pensarci come soggetti che nascono da madre, e perciò relazionali. Per lei tutto questo era pericoloso era un’inclinazione isterica alla fusionalità. Voleva disincantarci dalla rassicurazione del materno: Voleva mostrare una via nella quale tra esseri umani fosse accettabile la lacerazione, l’estraneità, come dono. Mi è venuto da pensare anche ultimamente a quel libro”. (Chiara  Zamboni, Angela Putino, una passione per l’infinito, da L’Unità, 17 gennaio 2007)

Ecco…ripensiamoci. Evitando, magari, di usare la parola autocoscienza come se nulla, da quel tempo lontano, fosse, nel frattempo, accaduto. Molto altro ci sarebbe da dire e mi accorgo solo ora che non ho detto ciò che più mi sta a cuore: la psicanalisi va criticata, contestata, ripensata ma non se ne può fare, per i propri fini, l’uso selvaggio, strumentale e improprio che ne è stato fatto. Ci ritornerò ancora e, come sempre dico e spero: Ad maiora!