Ospiti di una madre-non madre

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di/Paola Zaretti Ospiti di una madre non madre

Quando le contraddizioni arrivano al pettine è sempre buon segno. Anche quando quel segno disturba, destabilizza, disorienta costringendo, ancora una volta, a pensare e ripensare tutto da capo a partire, stavolta, dalle recenti discussioni, in ambito femminista, dell’”utero in affitto”.
E’ Tempo di fecondità che invita alla semina in cui certezze, verità assolute, dogmi, ideologie vacillano.
E’ il Tempo dell’avvento di pensieri impensabili e impensati, della rovinosa caduta di paradigmi, di nuove visioni forse inedite. Ma è anche Tempo di rinnovate passioni mortificate, a suo tempo, dal primato del principio di non contraddizione.

Se posso affermare, appellandomi al principio di autodeterminazione caro al femminismo, “l’utero è mio e me lo gestisco io”, in nome di che cosa non dovrei appellarmi a quello stesso principio per sostenere che una donna può gestire il proprio utero portando avanti una “maternità surrogata” in una condizione in cui non sarà lei a crescere un bambino che sotto il profilo biologico potrebbe essere:
a) di entrambe i genitori che lo alleveranno; b) di uno solo; c) di nessuno dei due?
E in nome di che cosa non dovrei appellarmi a quello stesso principio per sostenere che una donna è libera di prostituirsi anche nel caso paradossale in cui tale libertà dovesse coincidere con la libera scelta della propria schiavitù?
E in nome di che cosa avrei invece diritto di appellarmi a quel principio in caso di aborto?

Prendendo spunto dalle discussioni sull’”utero in affitto” di cui molto s’è parlato in questi giorni, vogliamo dunque riproporre all’attenzione e confrontare fra loro – al di fuori di logiche ideo-logiche – una serie di questioni riguardanti il concetto di Autodeterminazione che lungi dall’aver prodotto significativi avanzamenti teorici e pratici, hanno piuttosto ripiegato su discussioni ripetitive alimentando spesso diatribe estenuanti fra opposte fazioni.
A noi pare che Preliminare ad ogni possibile avanzamento, debba essere un’analisi centrata sul concetto di autodeterminazione. Per questo vogliamo ripartire da alcuni passaggi contenuti in una delle nostre Conversazioni in cui ci chiedevamo:

E’ possibile che il concetto di Autodeterminazione sia uno di quei concetti che rientra “nel sogno, vecchio e moderno, dell’autonomia del sé”? (Cavarero). E’ possibile che rappresenti e incarni, suo malgrado e forse a insaputa di tante che ne fanno uso, “le patologie egocentriche del soggetto moderno o dell’ontologia individualista che “scambia le relazione per indistinzione e la dipendenza per incorporazione”? (Cavarero). Sono queste “patologie egocentriche” a preoccupare Cavarero che così le descrive in un dialogo con Butler di cui si consiglia la lettura integrale:

Le patologie egocentriche del soggetto moderno, o se vuoi, dell’ontologia individualista, mi preoccupano molto di più delle sue ansie nei confronti dell’altro in quanto luogo di contaminazione, disfacimento dissoluzione. Perché, dal punto di vista della filosofia occidentale, se ci pensi bene, c’è appunto una certa logica nella follia di questo “soggetto” che, dopo secoli spesi a celebrare la sua autonomia e autopoiesi non appena scopre la dipendenza, viene colto dal timore di sparire nell’altro. (Cavarero, Dal Dialogo con Butler su Condizione umana contro natura).

La categoria della dipendenza è dunque centrale “per un’etica della relazione” e la necessità di procedere alla decelebrazione della nozione di soggetto autonomo e autodeterminato è radicale. Parole come autodeterminazione, indipendenza, autonomia, sovranità di cui il femminismo ha fatto e continua a fare largo uso, hanno dunque una storia piuttosto lunga e complessa dalla quale non si può prescindere: esse sono, precisamente, gli assi portanti su cui da sempre ruota, in ambito filosofico, il soggetto autarchico, egocentrico, autosufficiente e solipsistico riconducibile, per restare al gergo filosofico, a un’ontologia individuale. Se dunque il concetto di autodeterminazione incarna il “sogno, vecchio e moderno, dell’autonomia del sé” e “le patologie egocentriche del soggetto moderno” viene da chiedersi che cosa se ne facciano le femministe di un tale sogno rivelatore di una “patologia egocentrica” che affonda nell’individualismo le sue radici.

– Che cosa può significare per una donna portare avanti una gravidanza per altri?

– Come può essere vissuta rispetto a una gravidanza propria?

– E che ne è, nei due casi, di quell'””estraneità” che sempre  si avverte quando un corpo estraneo al corpo abita un corpo?

– Quali possono essere, al di là delle ragioni economiche, le motivazioni che  spingono una donna  a farlo?

– Quali le conseguenze per lei?

– E quali gli effetti per il/la nascituro/a nei tre casi indicati: essere figlio biologico di entrambe coloro che lo alleveranno (due uomini, due donne?), essere figlio di uno soltanto, (un uomo, una donna?) essere figlio di nessuno dei due tenuto conto del fatto fondamentale che in ciascuna della varianti contemplate sarà stato ospite di una madre presa in prestito?

– Qual è lo statuto di questa madre-non madre?

E’ alla donna, alla donna-madre che ci interessa rivolgere innanzi tutto lo sguardo, è sulle motivazioni che fanno sì che lei si presti  – o non si presti – a dare in prestito il suo corpo che ci interessa  indagare. E’ lei che merita, una volta tanto, di stare al centro del discorso e ce la vogliamo mettere, una volta tanto, non come oggetto-vittima pensata ma come soggetto pensante  e capace di intendere e di volere.