Nè Genie né Sante

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di Paola Zaretti / A essere né Genie né Sante l’umiltà ci guadagna.

La chiusura della rivista Via Dogana è una mossa eroica, come è parso ad alcune, o una mossa strategica? Sottrarsi non è sempre un gesto di umiltà, di riconoscimento, per esempio, di una sconfitta, è anche una strategia sofisticata cui l’onnipotenza scientemente o inconsapevolmente ricorre per creare un “vuoto di potenza” nell’intento di attivare – attraverso quel vuoto determinato da una sottrazione di presenza – un richiamo nostalgico alla sua indispensabilità, alla sua necessità. La sottrazione può essere una buona mossa per  tentare di riaccendere fuochi  e  rimettere in circolo desideri sopiti da una ripetizione mortifera:

La scommessa del primo numero di questa serie, cominciata nel giugno 1991, resta aperta: la politica è la politica delle donne. La decisione ora presa di fermarci, sarà di aiuto a rigiuocarla meglio? È un rischio che, insieme alle altre, abbiamo accettato di correre; meglio fermarsi piuttosto che entrare nel ciclo della ripetizione restando attaccate a noi stesse più che alla realtà che cambia.

Così si legge in un comunicato a cura della Redazione ristretta nell’ ultimo numero (111) di Via Dogana: di una decisione che non è stata, per quanto mi riguarda, motivo di sorpresa. Da tempo – e per via della qualità sempre più anemica del materiale offerto all’attenzione di lettrici e lettori – mi interrogavo sulla tenuta e sul senso di una rivista visibilmente in sofferenza per carenza di un desiderio Vivo e  Motivante di cui era sempre più difficile trovar traccia. La “noia”, – la stessa di cui scrivevano alcune donne riferendosi all’ esperienza dell’autocoscienza praticata nei gruppi degli anni ’70 – è stata, ora come allora, il segnale. E tuttavia nell’ultimo numero di Via Dogana, curiosamente mescolati a un articolo di alcune autrici intitolato La merda – che si conclude con la proposta di “una teoria, un’economia e un’etica della merda”, raccolte nella parola chiave Merdologia, – troviamo un paio di articoli importanti su cui ci soffermeremo senza alcuna pretesa di dire l’ultima parola ma senza tuttavia trascurare il riferimento a un articolo pubblicato a suo tempo nel blog di Tabula rasa in cui la critica rivolta da  Gaeta  a Cigarini  in questo numero, trova un precedente e una conferma. (http://femminismoinstrada.altervista.org/forza-e-violenza/)

Sono due, in sostanza, gli articoli pubblicati su cui vogliamo riflettere: L’ispirazione soprannaturale di Giancarlo Gaeta e La nostra ispirazione di Lia Cigarini, scritto in risposta all’articolo di Gaeta in cui Cigarini viene chiamata direttamente in causa in modo, bisogna dire, piuttosto severo per un uso – considerato improprio – del pensiero di Weil. Gaeta infatti, dopo un’attenta e puntuale riflessione sul pensiero di Weil con particolare riferimento a due opere, La persona e il sacro e Nota sulla soppressione dei partiti politici, riferendosi a un precedente articolo di Cigarini, L’Europa di Simone Weil, pubblicato nel penultimo numero (110) di Via Dogana, conclude così:

(…) Per tutto questo non penso si possa fare un buon uso del pensiero di Simone Weil eliminandone il riferimento fondante alla contraddizione tra la necessità e il bene, come ritiene possibile Lia Cigarini.  Il linguaggio simbolico di Weil rimanda a un al di là attinto attraverso un’esperienza mistica irriducibile: se lo si ignora la ricaduta politica del suo pensiero non conduce da nessuna parte. Come scrive Maria Concetta Sala nello stesso numero di Via Dogana, occorre una vocazione soprannaturale per “rinunciare a occupare il centro del mondo e a esercitare il potere di cui si dispone”. Non a caso, credo, Cigarini parla piuttosto di “libertà e necessità”, un linguaggio più prossimo a quello di Hannah Arendt, che ne inscrive appunto il conflitto “tutto in questo mondo”, avendo posto al centro della sua riflessione politica la libertà.

Come dire, senza giri di parole, che la peculiarità e l’irriducibilità dell’esperienza mistica di Weil, non permette applicazioni fantasiose o arbitrarie dislocazioni in ambiti esperienziali diversi da quelli in cui tale esperienza si è generata e ha preso vita. Detto altrimenti, l’ambito esperienziale proprio del femminismo e della sua pratica, non ha nulla che sia riconducibile, secondo Gaeta, né a quell’”al di là” attingibile “attraverso un’esperienza mistica irriducibile”, né a quella “vocazione soprannaturale” cui si riferisce Maria Concetta Sala. Per orientarci sulla natura e sulla complessità del problema, dobbiamo fare un passo indietro e leggere il passaggio di Cigarini (n. 110 di Via Dogana) contestato da Gaeta in cui, al termine di una trattazione piuttosto lunga, Cigarini conclude il suo scritto con un annuncio importante: l’annuncio dell’ “ora”, finalmente giunta, di  Simone Weil:

Ecco: questa è l’ora di Simone Weil che, nel lontano 1943, a Londra, ha immaginato e scritto della Costituzione europea (e francese). Lo ha fatto a partire dal suo radicale convincimento che la società in cui viviamo sia interamente dominata dalla necessità e dai rapporti di forza. Tuttavia, dice Simone, gli esseri umani hanno sempre avuto la percezione di un soprannaturale, del bene assoluto dove corrono parole come verità, bellezza e amore, “parole che hanno in se stesse la virtù di illuminare e di sollevare verso il bene”. Qui non m’ interessa tanto entrare nel merito della posizione di Simone Weil che non coincide con la mia, che è quella di pensare che il conflitto tra necessità e libertà, collettivo e singolarità sia tutto di questo mondo. Peraltro l’esperienza delle donne è un continuo passaggio tra libertà e necessità e “i due regni” non sono in opposizione come nella visione maschile. Il sopra la legge, o oltre la legge come dice lei, è un punto di vista guadagnato con il lavoro sul simbolico che è stato centrale per me in questi decenni. A me interessa qui che Simone senta indispensabile il simbolico (soprannaturale) per pensare e formalizzare le sue idee per una Costituzione europea. Infatti scrive: “al di sopra delle istituzioni, destinate a tutelare il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inventarne altre, destinate a discernere e a eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna e della bassezza. Bisogna inventarle perché sono sconosciute, ed è impossibile dubitare che siano indispensabili”. Oggi abbiamo, a differenza di Simone Weil, alcune pratiche che corrispondono al simbolico. Non sono quelle tipiche dei partiti (…). Per concludere, lasciando indietro le tradizionali istituzioni della democrazia rappresentativa io vorrei delineare con altre/i le forme sconosciute di cui parla Simone Weil. Era e rimane, ora più forte, il mio desiderio dai tempi di Paestum 2012.

Seguendo passo dopo passo questo brano, vorrei focalizzare l’attenzione su alcuni punti che risultano, a mio parere, piuttosto oscuri e, per certi aspetti, contraddittori, riconoscendo innanzi tutto la non coincidenza, -apertamente e onestamente dichiarata da Cigarini – fra la posizione di Weil e la sua in cui il conflitto fra necessità e libertà è “tutto di questo mondo”. Si tratta dunque, per Cigarini, di un conflitto rigorosamente limitato a “questo mondo” e dunque distante dalla sfera del soprannaturale, dalla dimensione di quell’ “oltre la legge”, di quell’al di là di cui parla Weil.  Tale distanza sembra tuttavia ridursi fino a sparire, qualche riga più avanti, proprio attraverso un riferimento a quella dimensione ”oltre la legge” o “sopra la legge” di cui parla Weil, che Cigarini considera “un punto di vista” da lei “guadagnato con il lavoro sul simbolico” portato avanti da tanti anni. Va infine rilevata l’identità stabilita in un primo tempo da Cigarini fra il simbolico e il soprannaturale e l’utilizzo successivo del termine “simbolico” che compare senza più alcun riferimento al soprannaturale: “Oggi abbiamo, a differenza di Weil, alcune pratiche che corrispondono al simbolico” che non sono quelle dei partiti e con cui Cigarini vorrebbe delineare, assieme ad altre donne, “le forme sconosciute” di cui parla Weil. Insomma, quello che si evince da questo brano è una certa confusione che non aiuta a capire. Sarebbe interessante per esempio capire se le “pratiche che corrispondono al simbolico” e che “non sono quelle tipiche dei partiti” rientrino nella sfera del soprannaturale di cui parla Weil o siano “di questo mondo”.

Ora, secondo Gaeta la distinzione operata da Weil tra le istituzioni altre e superiori da inventare al di sopra delle “istituzioni mediane” (le istituzioni politiche e religiose e civili deputate a proteggere gli individui dal puro arbitrio della forza)  trova un suo “fondamento soltanto nella certezza dell’esistenza di un ambito del bene assoluto”, un bene cui hanno accesso soltanto i “santi” e i geni” i quali sono in grado di passare al di là dell’opposizione fra bene e male. Di santità e di genialità dunque, nientemeno, si tratta in queste istituzioni altre e superiori da inventare  e, con tutto il rispetto, è assai improbabile che la Libreria delle donne di Milano sia l’incarnazione di una di queste istituzioni altre:

l’autocoscienza …inventata dal movimento delle donne per parlarsi tra donne e dire al mondo il senso libero della differenza sessuale (…) e l’esistenza stessa della Libreria delle donne (…) coincidono con le parole di Simone Weil citate da Gaeta.

L’ordine simbolico  della madre “guadagnato con il lavoro sul simbolico portato avanti da tanti anni” cui Cigarini fa riferimento, – per sua stessa autonominazione “ordine simbolico”, non è l’ordine “sopra la legge” o “oltre la legge” cui allude Weil ed è altrettanto distante da quel postsimbolico evocato da Angela Putino quando individua nel simbolico la principale condizione di sventura delle donne, una condizione che può diventare rivoluzionaria  solo con un passaggio al postsimbolico.

Insomma, nel rassegnarsi a non essere né genie né sante l’ umiltà di certo ci guadagna.