Navigare “in pieno delirio”. L’inconscio nella politica e la politica nell’inconscio.

LIBRO

di Paola Zaretti / Da Nel nome della Madre, della Figlia e…della Spirita santa

Mi sembrava che se non avessimo tenuto conto dell’inconscio, avremmo presto navigato in pieno delirio (…). In breve, c’era dell’inconscio nella politica  e della politica nell’inconscio.  (A. Fouque)

Prefazione

Guardarsi indietro, dicono, per curiosità. Ma potevo avere, curiosità a parte, altri motivi.
(Da La moglie di Lot di Wislawa Szymborska)

E’ accaduto così – per caso, non per caso – non saprei.

Un’amica mi propone, un giorno, di scrivere sul rapporto fra Femminismo e Psicanalisi il testo per uno Spettacolo in strada da costruire sul modello di Donne in strada a scuola di non violenza da me in precedenza curato. Si trattava di un Evento, come suggerito dal titolo, che si svolge in strada un paio di volte l’anno a Padova, la città in cui abito, e che in occasione di alcune ricorrenze significative era stato rappresentato anche a porte chiuse, in città e fuori città.

La proposta dell’amica da subito mi prende…e mi metto immediatamente all’opera. Ma…come fare? Come utilizzare il modello predisposto per quell’Evento – che aveva per oggetto la violenza contro le donne e la cui costruzione prevedeva musiche, immagini e parole ricavate da testi letterari, poetici, filosofici, politici e psicanalitici sull’argomento – e dislocarlo in un contesto discorsivo elettivamente affine ma assai più specifico, in cui si sarebbe trattato di dar voce a una sfida fra due importanti figure del femminismo italiano – Angela Putino e Luisa Muraro – su un tema vasto, opaco e controverso qual è stato il rapporto tra Femminismo, Psicanalisi e Politica?

Inchiodata, lì per lì, a rimuginare fra me e me su come avrei potuto fare, ho accettato a mia volta la sfida, confidando nel fatto che, solo facendo, avrei scoperto come fare ciò che mi era stato proposto di fare e che io stessa, a quel punto, stavo chiedendo a me stessa di fare. Le letture, accuratamente selezionate per costruire quello che avrebbe dovuto essere il nuovo Spettacolo – battezzato, nel frattempo, Femminismo di strada – sarebbero state in gran parte ricavate da due testi Amiche mie isteriche di Angela Putino e La posizione isterica e la necessità della mediazione di Luisa Muraro, senza tuttavia trascurare altri scritti di figure non meno importanti e significative del femminismo italiano, a quei testi, in un modo o nell’altro, intimamente imparentati.

Ad attrarmi verso i testi di Putino e Muraro, era il desiderio di far incontrare e di ridare parola, a più di vent’anni dalla loro pubblicazione, ai pensieri e alle Parole di due donne – una delle quali purtroppo ci ha lasciate – personalmente e politicamente  impegnate in quegli anni su un tema scottante e controverso – il rapporto del Femminismo con la Psicanalisi – di cui oggi, nonostante la centralità e il merito allora riconosciuto a quel rapporto e alla sua funzione nell’ambito della “politica delle donne” –  sembra essersi dileguata ogni traccia. Non c’è voluto molto perché mi rendessi conto, in corso d’opera e strada facendo, della difficoltà dell’impresa, di quanto si stesse rivelando più ardua del previsto per via della quantità, della straordinaria qualità, della contraddittorietà e ricchezza del materiale che avevo per le mani e la cui armonica “confezione” avrebbe richiesto, da parte mia, l’uso di procedure senz’altro più consone a un libro che allo Spettacolo che avevo in mente.

L’esito finale del lavoro è risultato un imprevisto, diverso, in verità, da come l’avevo fantasticato – breve e intenso, ironico e spregiudicato, fluido e mordace, interrotto e accompagnato, qua e là, da inserti musicali scelti per scandirne i passaggi cruciali, le tensioni e le passioni, i repentini estri di umore, gli sconcerti, le tonalità del cuore. Un imprevisto che, rigorosamente parlando, non può essere definito un “libro” per la semplice ragione che manca di tutto ciò – capitoli, paragrafi e altro – che, secondo la prassi, fa di un libro un vero libro. Se c’entri, quanto c’entri e come c’entri, in queste volute omissioni, la mia incurabile idiosincrasia a scrivere un “libro” –  ben nota, in via del tutto intima, ai soli amici e amiche – sta all’estro di ciascuno/a immaginarlo.

Pur scrivendo da sempre, non ho mai saputo e non so ancora che cosa significhi “scrivere un libro”. Sarà forse perché ne ebbi un primo acuto e doloroso sentore, tanto tempo fa, quando fui “costretta” a scrivere la mia tesi di laurea, a espormi, a fare mostra di me e di un sapere che non avevo o credevo di non avere – ma fa lo stesso. Il “libro” l’ho sempre associato, nella mia immaginazione, a una microstruttura coatta, a una prigione, a qualcosa che non può nascere da un gesto decisionista di padronanza, da un atto di volontà, e neppure da un semplice desiderio – quel mitico Desiderio con cui troppi/e – ossessionati/e per contagio dalla stessa ossessione della psicanalisti degli ultimi trent’anni  – credono sia lecito scrivere, in suo nome, qualunque cosa o una cosa qualunque.

Ho sempre pensato al “libro” con distacco, come a qualcosa che ha da “farsi”, che  “si fa”-  se e quando si fa –  indipendentemente dal volere di chi scrive. E questo libro che non è un “libro”, nato, in origine, per essere uno Spettacolo, è quello che è, quello che è diventato – quale che sia la cosa che è diventato. Un’idea, quando nasce, patisce violenza se è costretta a rinunciare, anche solo per poco, alle sue radici ma quand’anche si trovi costretta, per una qualsiasi ragione, a mutare la sua rotta, sa per certo che ritroverà, presto o tardi, la strada dell’origine: la Strada di Femminismo di strada, lo Spettacolo da fare, con chi lo vorrà, in strada o in altri Luoghi.

In attesa che ciò si avveri con l’aiuto della competenza e della passione di altre donne interessate al riguardo, aggiungo soltanto qualche cenno orientativo su alcune fra le tante motivazioni che mi hanno spinta a proseguire nel lavoro precisando innanzi tutto,  a scanso di equivoci, che una difesa della “psicanalisi dei padri” è quanto di più lontano ci possa essere dal pensiero e dalle scelte “professionali”, personali e politiche di chi scrive. L’analisi critica rivolta a un certo uso degli strumenti della pratica analitica, teorizzato e praticato da una parte del femminismo, nulla concede a un’adesione clemente e acritica a una psicanalisi di stampo patriarcale nelle sue varie declinazioni (freudiane, lacaniane, junghiane), che, sic stantibus rebus, tutto può fare fuorché prendersi cura del disagio femminile.

Una delle motivazioni che mi ha spinta ad andare avanti  in questo difficile lavoro (che si guarda bene dal voler essere una minuziosa ricostruzione storica del femminismo italiano, impresa immane che volentieri lascio alle storiche), ha radici nelle “due anime” – la pratica politica femminista e la pratica psicanalitica, distinte e inseparabili – di cui la mia formazione si nutre, vive e partecipa e alla quale sono debitrice quanto all’impossibilità di pensare queste due pratiche separatamente, di pensarle in termini oppositivi ed escludenti. Sono  due anime  ben descritte da Antoniette Fouque, fondatrice in Francia di Psycanalyse e Politique, psicanalista e teorica del femminismo differenzialista che avrà molta influenza sul femminismo italiano:

Mi sembrava che se non avessimo tenuto conto dell’inconscio, avremmo presto navigato in pieno delirio (…). In breve, c’era dell’inconscio nella politica  e della politica nell’inconscio.  (A. Fouque)

La seconda motivazione a guidare la mia ricerca, nasce dalla Centralità e dalla grande rilevanza che l’isteria femminile  – “energia, carne e semenza dell’analisi” (Irigaray), considerata, a ragione o a torto, una “patologia” di stretta competenza psicanalitica e/o psichiatrica piuttosto che filosofica e, men che meno, “femminista” – ha assunto di fatto, per ragioni diverse e non omologabili, nel pensiero di due donne femministe e filosofe.

Di qui un primo interrogativo sul perché di questa Centralità, sulle “pulsioni” che possono aver spinto una filosofa come Muraro a occuparsi di un campo considerato di pertinenza “clinica” e a scrivere un libro intitolato La posizione isterica e la necessità della mediazione in cui una nuova “cura” dell’isteria femminile, sottratta al vecchio setting psicanalitico previsto dall’Ordine simbolico paterno – da cui vengono tuttavia presi a prestito, alcuni attrezzi necessari: transfert, “affidamento”, “autorità” e “disparità”  –  viene teorizzata e  affidata a un Ordine simbolico materno la cui costruzione è anticipata e favorita  dal lavoro di molte donne impegnate, negli anni ’70, nei gruppi di “autocoscienza” e di “pratica dell’inconscio”. A questo interrogativo Angela Putino risponde così:

E’ esattamente il contrario. L’isteria ormai non è più ciò che gli uomini – psicanalisti, amanti, amici – hanno pensato, riferendolo alle (loro) donne, ma solo il termine con cui alcune femministe hanno designato un proprio comportamento. (A. Putino, Amiche mie isteriche)

Segue alla risposta un’argomentazione esplicativa:

Che ormai anche la psicanalisi o i saperi dell’inconscio costituiscano parte della complessità del soggetto femminile è ciò che viene posto dalle cose stesse, soprattutto quando si fa avanti l’esigenza di criticare i maestri. Il femminismo incrocia sempre più da vicino ciò che dell’isteria viene trascritto nei termini dell’analisi dell’inconscio. Si intravede un francese e anche qualche italiano. E’ evidente allora che non si può trascurare la domanda isterica che da una parte irride e dall’altra continua a cercare un maitre da cui sapere del proprio indecidibile desiderio. L’operazione che viene fatta, soprattutto in Italia, è quella di avvicinare la posizione del maitre alla figura materna e di puntare su un sapere della differenza sessuale. Non saranno perciò le contrapposizioni reciproche nel fusionale a rendere necessaria una svolta verso la disparità, ma la non più prorogabile formulazione di una domanda isterica e, quindi, la autorità interna alla differenza stessa. Così, senza distacco, ma accontentando anche nel linguaggio le forme della contiguità con il corpo materno, si cominciano a prescrivere gli enunciati della differenza, che non a caso sono relativi alla relazione stessa. La psicanalisi e la sua etica sono lontane, dal momento che  alla madre tocca non il posto dell’analista ma quello che l’isterica pretende e che, alla luce di molti fatti, mi sembra coincida non più con il sapere formale del maitre ma con l’impersonale attitudine alla cura e alla felicità condensata in ciò che Foucault chiamava potere pastorale (…). Il polo con cui è in competizione il nuovo femminismo non è il sovrano ma il papa.

 Un’analisi lucida quella di Putino. Di qui la necessità di guardarsi indietro perché, curiosità a parte, ci sono dei buoni motivi per riconsiderare e indagare a fondo su ciò che è stato, in origine, il rapporto del femminismo con la psicanalisi e su ciò che oggi ne rimane….

 

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