“Maschi che partiranno da sé”. Un titolo, un Fantasma

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di Paola Zaretti/“Maschi che partiranno da sé”. Un titolo, un Fantasma

http://www.massimolizzi.it/2015/03/12/m aschi-che-partiranno-da-se/

Il Tempo coniugato al Futuro – cui il titolo rimanda a proposito dei maschi e della loro pratica autocoscienziale – è un tempo segnato, per l ‘autore, dal “non ancora avvenuto”. E’ il tempo in cui ciò che non è stato e non è, sarà – o potrebbe essere che sia.

Qual è il significato di un titolo che – immemore di passato e presente – annuncia un “partire da sè” dei maschi affidandolo a un  tempo che verrà?

Non c’è già forse in questa coniugazione e nel dislocamento di una pratica a un tempo a venire, qualcosa dell’ordine di una negazione, di un misconoscimento di un’esperienza attraversata e vissuta da alcuni uomini nel passato e che ancora vive nel presente? Si tratta solo di un casualità dovuta a disinformazione, di una “trovata” maldestra o è già, questo titolo, l’indizio rivelatore di un desiderio dell’autore? Di un desiderio di Eccellenza e di Eccedenza (ex cadere: cadere fuori), dall’”orda” selvaggia dei maschi da cui differenziarsi in vista dell’acquisizione di una “primigenitura” annunciata attraverso la negazione del lavoro che altri maschi, maschi come lui, nel passato e nel presente, nel bene e nel male hanno cercato di costruire in Italia attraverso la pratica del  “partire da sé”?

Il predicozzo che segue pare confermarlo:

Allora, è importante che gli uomini impegnati contro la violenza, dalle colonne di uno storico giornale di sinistra, dichiarino di interrogarsi sulla violenza maschile e sollecitino altri uomini a farlo. Ma questo è ormai insufficiente. Le loro parole possono essere lette come vuota retorica. Occorre maggiore coraggio. Non basta più chiedere agli altri uomini di interrogarsi né dire che ci si interroga. Bisogna che gli uomini impegnati contro la violenza dicano cosa ci fanno con i loro interrogativi. Nelle loro vite reali, concrete.

“Occorre”, “non basta più” “bisogna”Occorre maggior coraggio, è vero. Ne occorre soprattutto da parte di chi, preoccupato a sollecitare altri maschi a dirci che cosa se ne fanno dei loro interrogativi, si esime dal raccontarci ciò che lui stesso, concretamente, se ne fa. Lo devo onestamente ammettere: purtroppo – e come ebbi modo di affermare a suo tempo – non c’è volta che l’autore di questo e di altri articoletti dello stesso tenore, riesca ad incantarmi quanto a una sua vera e autentica “vocazione femminista”. A rendere improbabile l’incantamento e a farmi dubitare dell’autenticità di tale vocazione, è sempre la stessa ostentazione ossessiva: il volersi distanziare e differenziare in ogni dove e con ogni mezzo dagli altri uomini nel suo perorare “la causa delle donne”.

C’è tuttavia una novità importante che emerge in questo articolo: ad avere oggi qualche perplessità e a manifestare apertamente un certo disincanto per l’autore, non sono sola. A  rilevare e a rimproverargli le sue modalità di relazione “offensive e forse persino violente” nei riguardi delle donne, sono oggi, come da lui stesso riportato, proprio le sue “care amiche”, per riconquistare la credibilità e la fiducia delle quali non c’è nulla di meglio – in una visione altamente sottovalutante l’intelligenza femminile – che confezionare un articolo come questo in cui narrazione e pseudoflagellazione autocritica, mescolate insieme, potrebbero sortire l’effetto desiderato: continuare, come in un recente passato, ad incarnare ai loro occhi il paradigma del maschio che fa Eccezione alla regola dei maschi e che, in virtù di tale supposta Eccezionalità, può collocarsi a buon diritto a fianco delle donne per combatterli.

E’ quanto di fatto è avvenuto dopo aver scelto di “affidarsi alla valutazione delle donne con cui era in più stretta relazione”:

per chiedere a Maschile Plurale di affrontare la questione nel modo corretto, secondo l’analisi della violenza di genere (…) di non esporre la donna ad una possibile rivittimizzazione, ovvero a non agire di nuovo violenza. 

Eppure c’è qualcosa che nel  racconto non persuade: a spingere l’autore a schierarsi dalla parte delle donne sembra esserci, infatti, l’urgenza di un bisogno che va oltre la sua “vocazione femminista”. C’è il bisogno di confermare l’immagine fantasmatica desiderata – rappresentarsi davanti alle donne come il maschio che fa Eccezione rispetto a tutti gli altri maschi, come colui che non può essere incluso fra i maschi “tutti”:

 se un uomo di sinistra, femminista poteva aver compiuto violenza psicologica sulla sua compagna, questo metteva in crisi la credibilità di tutti gli uomini come lui. Me compreso. Davanti alle donne.

Se c’è dunque qualcosa che conferisce ai suoi scritti quel sapore di inautenticità che li contraddistingue, è proprio la costante preoccupazione di incarnare agli occhi delle donne la figura del maschio che fa Eccezione. E’ forse necessario aggiungere che si tratta, in definitiva, della solita patetica guerra fra maschi per un primato la cui matrice fallocentrica non mente?

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