Lonzi e Freud

 

 

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Lonzi e Freud. Femminismo e psicanalisi /di Paola Zaretti

Il femminismo per la donna prende il posto della psicanalisi per l’uomo. In quest’ultima l’uomo trova i motivi che rendono inattaccabile e scientifica la sua supremazia (…) nel femminismo la donna trova la coscienza collettiva femminile che elabora i temi della sua liberazione. (C. Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale).

Ci sono parole che possono scivolare via inosservate ma sono proprio le parole all’apparenza semplici a custodire, il più delle volte, il nucleo vivo di un pensiero che si dilata nel tempo in infinite modulazioni  pur restando fedele a se stesso. Quelle di Lonzi, qui riportate, hanno questa rara proprietà. C’è in queste parole, descrittive di una “topica” del femminismo – prendere il posto, sostituire – un’intuizione davvero geniale: c’è l’individuazione di analogie e differenze fra due pratiche, fra due “invenzioni”: la psicanalisi e il femminismo. Ma c’è qualcosa di più: c’è l’assegnazione, da parte di Lonzi, di una “primogenitura”, a pari merito, a Freud  e a se stessa in qualità di inventori.

A darne conferma, è, ancora, l’esistenza di un’analogia da lei rilevata  fra il suo rapporto con l’amica Sara e il rapporto di Freud con l’amico Fliess: Sigmund Freud è l’inventore di una pratica per gli uomini, Carla Lonzi è l’inventrice di una pratica, una pratica speciale e specifica, per le donne. La prima, la psicanalisi, non solo non favorisce la “cura” degli uomini ma ne rinforza la sintomatologia, quella contratta all’interno di un ordine fallico che esclude le donne; il secondo, il femminismo, liberando le donne dalla sudditanza a tale ordine  – che le include a titolo di soggetti neutro-maschili – restituisce loro la Salute. Due pratiche e due esiti dunque: la prima coltiva e incentiva la “malattia”, la seconda sostituisce alla parola “guarigione” – termine ambiguo, di stampo medico – la parola  “liberazione” di cui Lonzi  darà personalmente conto, in uno dei tanti gioielli che ci ha lasciato in eredità in cui elenca le diverse forme di liberazione da lei vissute e che comincia così:

Liberata dall’idea di dover portare la mia barca in un porto, liberata dal bisogno di giustificarmi e giustificare la vita ai miei occhi, liberata dalla speranza che qualcosa cambi, che migliori, che sia la vera vita… (Taci anzi parla)

Gli esiti delle due pratiche sarebbero esemplificabili come sopra descritti, se a stendersi sul lettino di Freud, inventore di una pratica riservata a soli uomini in cerca di conferme narcisistiche, non fossero state, sin dall’inizio, le donne e, nella fattispecie, proprio quelle “isteriche” senza le quali nè Freud né Lonzi avrebbero diritto al riconoscimento di una “primogenitura”: senza l’isteria l’invenzione freudiana non esisterebbe, senza l’isteria il femminismo non sarebbe nato.  A fornirci adeguata documentazione in merito alla seconda pratica, sono due testi: La posizione isterica e le necessità della mediazione (Muraro) e la dura risposta di Angela Putino in Amiche mie isteriche a questo testo. Il femminismo nascerebbe dunque come una pratica di “cura” dell’isteria messa in atto da alcune donne – una  “terapia politica” dell’isteria, dirà qualcuna,  una cura alternativa a quella praticata dai “padri” della psicanalisi su uomini e donne.

Quali sono stati  gli esiti di queste “cure”? Quali per gli uomini che si sono rivolti alla psicanalisi? Quali per le donne che si sono rivolte al femminismo? Quali per le donne che nonostante l’alternativa femminista, hanno finito per rivolgersi alla psicanalisi? Nella rigida distinzione di Lonzi fra una pratica destinata agli uomini e una pratica destinata alle donne, l’eventualità che le donne potessero ricorrere alla prima, non era neppure contemplabile. Non si vede, infatti, in che modo una pratica buona soltanto a confermare gli uomini nella loro supposta superiorità, avrebbe potuto essere di qualche utilità a donne impegnate a “elaborare” i temi della loro liberazione. Lonzi, tuttavia, non accontentandosi della distinzione operata fra due tipi di “setting” e non potendo non riconoscere  – per la rara onestà intellettuale che la distingueva – che l’autocoscienza, e il “partire da sé” erano un elemento comune sia al femminismo che alla psicanalisi, fa un passo ulteriore teorizzando un distinguo in seno alla stessa autocoscienza, fra l’autocoscienza femminista e  l’autocoscienza promossa dalla psicanalisi:

L’autocoscienza femminista differisce da ogni altra forma di autocoscienza, in particolare da quella proposta dalla psicanalisi, perché riporta il problema della dipendenza personale all’interno della specie femminile come specie essa stessa dipendente. Accorgersi che ogni aggancio al mondo maschile è il vero ostacolo alla propria liberazione fa scattare la coscienza di sé fra donne, e la sorpresa di questa situazione rivela sconosciuti orizzonti alla loro espansione. E’ in questo passaggio che viene fuori la possibilità dell’azione creativa femminista (…). (Significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi, in Sputiamo su Hegel)

La distinzione fra autocoscienza femminista e altre forme di autocoscienza  è, come si vede, conforme e logicamente coerente con quella in precedenza evidenziata fra le due pratiche. Non c’è scatto di coscienza di sé – dice Lonzi – se non si elimina l’ostacolo alla propria liberazione rappresentato da “ogni aggancio al mondo maschile”. E la psicanalisi, pur nelle sue diverse declinazioni teoriche, è uno di questi agganci. Il riferimento alla specie è qui essenziale e ritorna in un altro passaggio:

Il femminismo ha inizio quando una donna cerca la risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna. Capisce che il suo unico modo di trovare se stessa è nella sua specie (Ibid.)

Quali sono stati gli esiti di queste pratiche per le donne? Il femminismo è riuscito a essere per loro ciò che Lonzi pensava potesse/dovesse essere e che la psicanalisi mai avrebbe potuto essere? Se fosse così, Lonzi  non avrebbe mai avuto ragione di scrivere:

Donne del padre mi tormentate sempre, mi fate sentire sempre più vicina a un uomo che alla mia specie”. (Taci, anzi parla)

Il femminismo ha preso davvero per la donna “il posto della psicanalisi per l’uomo” come Lonzi avrebbe voluto?