L’Inferno dell’Uno

Demonedi Paola Zaretti/L’Inferno dell’Uno

“Dovremmo saper essere tra noi straniere senza distanze, senza indifferenze e vicine senza identificazioni. Spesso tra donne si vive una fusione senza separazione: una sorta di indiviso. Tutto quello che non mantiene uno stato di uguaglianza viene privato di esistenza: così paradossalmente nell’indivisione si ha diritto di esistere e nel distinguersi si viene cancellate.” (Angela Putino)

Ci sono parole che muovono e attivano il pensiero, parole che non basta enunciare e ripetere per rendere onore e merito alle profonde verità che trasmettono e di cui sono portatrici. Sono verità di cui soltanto una dolorosa esperienza personale, patita nelle spesso laceranti relazioni tra donne, può essere all’altezza di darne conto.  Ho letto e riletto molte volte e a più riprese questo passaggio illuminante e solo in apparenza semplice di Angela Putino con la quale mi sono trovata senza fatica in immediata risonanza. Che cosa significa, per Angela “essere tra noi straniere senza distanze, senza indifferenze e vicine senza identificazioni”? Significa, a suo dire, che l’estraneità fra donne è il primo passo inaugurale, il primo gesto in direzione di una felice vicinanza di una donna con un’altra donna, un passo che esige però, per essere praticato e compiuto, la messa al bando di qualsivoglia meccanismo identificatorio che può essere presente in una relazione inquinante.

“Io sono te e tu sei me”, è formula rivelante la componente distruttiva e letale di un tale processo: se io sono te, tu sparisci, se tu sei me a sparire sono io: O Tu o Io, dunque, in una lotta infinita senza scampo in cui il due si dilegua risucchiato nell’ Uno. E’ la “fusione senza separazione”, è lo scotto che si paga nell’ “l’indiviso” di cui Putino ci dice. In un consesso di donne – quale che esso sia – a garantire ad una donna “il diritto di esistenza” da parte di altre, sarebbe dunque, secondo Putino, proprio quella pericolosa condizione di eguaglianza che trionfa nell’ ”indiviso”, mentre, e per contro, la condizione di distinzione e di separazione sancirebbero, l’illegittimità di tale diritto a esistere. Ma essendo il “diritto di esistere” assicurato dall’uguaglianza l’esito di quella malattia che ogni “indivisione” inevitabilmente comporta, capita che tale diritto si configuri come diritto a un’esistenza aliena mentre, sull’altro versante, la sua negazione comporta la cancellazione.

Angela ben riconosce la struttura del paradosso: chi mantiene lo stato di uguaglianza e “l’indivisione” – e, con essi, il diritto a un’esistenza sia pure aliena – viene “promossa”, chi invece si sottrae all’eguaglianza omologante scegliendo la via della distinzione, evita l’alienazione ma non sfugge alla cancellazione. Come dire che il destino della donna si situa, nel pensiero tragico di Putino, fra due morti: fra alienazione e cancellazione. E’ questa la “lacerazione come dono” di cui ci dice.

La condizione descritta da Angela – e da Lonzi ci parla della lacerazione in cui le donne costantemente si dibattono anche quando i loro discorsi sembrano dire altro, anche quando aggirano la questione discutendo animatamente sul loro ingresso o non ingresso nelle istituzioni, anche quando – e soprattutto quando – cercano di aggirare il Tragico della loro condizione  – di cui Putino, come Lonzi  era invece perfettamente consapevole – illudendosi di “portare” la Differenza femminile dentro quel simbolico che per il fatto stesso di contemplare al proprio interno unicamente la presenza di un Soggetto maschile, esclude la presenza di un Soggetto femminile per includerlo come come neutro-maschile.