Libertà di aborto e Libertà dall’aborto

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di Paola Zaretti/“Libertà di aborto” e  “Libertà dall’aborto

“Le donne abortiscono perché restano incinte. Ma perché restano incinte?  

“E’ perché risponde a una loro specifica necessità sessuale che effettuano i rapporti con il partner in modo tale da sfidare il concepimento?”

PER IL PIACERE DI CHI sono rimasta incinta?

PER IL PIACERE DI CHI sto abortendo?”

Sono domande radicali quelle poste da Lonzi nel ’71 in Sessualità femminile e aborto. Sono domande con cui occorre sempre e di nuovo confrontarsi. Si tratta, infatti, di interrogativi preliminari ad ogni ricerca che intenda risalire alle radici, all’origine delle possibili cause per le quali una donna rimane incinta e abortisce ed è proprio e solo a ri-cominciare  da quelle radici da Lonzi individuate e descritte, che sarà possibile affrontare la questione dell’aborto in tutta le sue complesse articolazioni liberando il campo da formule assolute ed esemplificate come “libertà d’aborto” che, dislocando e liquidando la discussione sulla pratica abortiva, finiscono per misconoscere il senso e la portata di quella radicalità.

Iniziamo allora a confrontarci con gli interrogativi sopra riportati in cui la qualità radicale delle domande poste da Lonzi in riferimento alle donne: “perché restano incinte” e  “per il piacere di chi”?  contrasta visibilmente con l’illusoria credenza che i due accadimenti che potrebbero verificarsi nella vita di una donna – restare incinta, abortire – siano compatibili  con l’idea di Libertà. Si tratta, tuttavia, secondo Lonzi, di interrogativi essenziali in cui sono contenuti, al tempo stesso, i germi, i presupposti, della nostra liberazione:

Questo interrogativo contiene i germi della nostra liberazione: formulandolo, le donne abbandonano l’identificazione con l’uomo e trovano la forza di rompere un’omertà che è il coronamento della colonizzazione.

L’abbandono-rifiuto dell’identificazione con l’uomo e la rottura dell’omertà in vista della Liberazione, sono dunque possibili e concretamente realizzabili per Lonzi, solo attraverso lo smantellamento definitivo di quel “per il piacere di chi”? e di quell’”essere per l’altro” assegnati alla donna come compito-destino-funzione (persino dalla psicanalisi lacaniana), che definisce, invece, come meglio non si potrebbe, l’ avvenuto intrappolamento sintomatico della donna nel sintomo dell’uomo. Non mancano tuttavia, sempre a proposito della formula “libertà d’aborto”, altre considerazioni: in merito al fatto, per esempio, che una parola come “libertà” – immaginariamente legata e associabile a una condizione soggettiva di felicità – evochi e rimandi invece, in quella formula, a un’esperienza infelicemente dolorosa. Che cosa possano farsene  le donne di una “libertà di aborto” – una libertà che rivendica l’aborto e dunque un’esperienza di dolore come oggetto di tale libertà – andrebbe meglio considerato da parte di coloro che utilizzano una formula che pone più problemi di quanti non ne risolva e che sollecita, al tempo stesso, l’opportunità di una  revisione e di una diversa e meno infelice formulazione.

A sollecitarmi a tornare sul tema dell’aborto sono una serie di questioni che vengono ormai date per scontate e che nulla hanno a che vedere, per quanto mi riguarda, con intenti moralisti perbenisti e/o giudicanti. La precisazione è d’obbligo a fronte di una tendenza tanto diffusa quanto odiosa alla costante manipolazione del pensiero altrui con conseguenti attribuzioni di pensieri inappartenenti. Va dunque detto che a motivare le riflessioni che seguono, non è una difesa a oltranza della vita in quanto tale, ma quella “cura” – cui tante donne continuamente si appellano – che è, innanzi tutto, cura di sè.  In linea con le riflessioni sull’aborto già espresse tempo addietro in Tabula rasa, http://femminismoinstrada.altervista.org/nemesi-194/, resto infatti dell’idea – un’idea forte e radicata – che gli esseri umani, uomini o donne che siano, vadano preservati, nei limiti del possibile e dell’impossibile, dal dolore fisico e psichico, e dunque da qualsiasi tipo di esperienza in grado di generarlo anche quando – e soprattutto quando – l’esperienza del dolore, fisico e/o psichico che sia – potrebbe essere ragionevolmente evitata. Non è il caso, ovviamente, di certe particolari malattie cui  purtroppo nessuna “ragionevolezza” e neppure, a volte, il ricorso alla  farmacologia,  può evitare sofferenze psicofisiche difficilissime da gestire. E’ il caso, invece, dell’aborto, un’esperienza evitabile, non necessaria e sempre traumatica per una donna e che, con gli attuali mezzi a disposizione, può esserle risparmiata. Credo, insomma, che tra la formula “libertà di aborto” e la formula “Libertà dall’‘aborto”, tra donne ”libere di abortire” e donne “liberate dalla necessità di abortire”, esista una sensibile differenza – a tutto vantaggio, nel secondo caso, delle donne – che assume la ricerca del principio di piacere, della salute, della “cura” e del benessere fisico e psichico della donna, come un principio cardine, come una priorità assoluta irrinunciabile.

Si tratta dunque di valutare se, libere da ideologismi e con i mezzi attualmente a disposizione, sia oggi possibile, per una donna che non desidera diventare madre, evitare di restare incinta (teniamo presente che restare incinta non è, peraltro, la cosa più semplice di questo mondo)  o se il ricorso all’aborto sia per lei quel percorso obbligato e inevitabile destinato – secondo  Lonzi – a una donna “colonizzata dal sistema patriarcale”:

(…) l’aborto non è una soluzione per la donna libera, ma per la donna colonizzata dal sistema patriarcale.

 Ma Lonzi va oltre e, come sempre, ci stupisce  azzardando di più: ampliando la sua analisi e formulando il suo giudizio critico non solo sugli effetti derivanti dalla legalizzazione dell’aborto ma anche su quelli  derivanti dall’aborto libero:

La legalizzazione dell’aborto e anche l’aborto libero serviranno a codificare le voluttà della passività come espressione del sesso femminile (…). La donna suggellerà attraverso uno sdrammatizzato esercizio della sua utilizzazione la cultura sessuale fallocratica.

Al di là degli aspetti sin qui evidenziati, sarebbe interessante indagare – nel caso specifico in cui una donna resti incinta “per caso” – sul significato  che quel “caso”, ”imprevisto” e indesiderato, assume in tutta la vicenda. Ciò ci porterebbe a proseguire l’indagine su un altro piano: su quel piano in cui, accanto alle motivazioni razionali addotte da una donna a sostegno della scelta di diventare o non diventare madre – convivono spesso simultaneamente desideri a lei stessa insaputi (inconsci) che non mancano di riservare delle sorprese e che rendono la questione così delicata da far dire a Lonzi:

Cercare di mettere al riparo le nostre vite attraverso una richiesta per la legalizzazione dell’aborto, porta, sotto considerazioni pretestuosamente filantropiche e umanitarie, al nostro suicidio: in modo indiretto viene riconfermata la prevalenza di un sesso su un altro intanto che l’altro sembra andare incontro alla sua liberazione.

Per concludere, un discorso sull’aborto e sulle motivazioni  profonde che fanno sì che una donna rimanga incinta anche a dispetto del suo desiderio e del suo volere, “costringendola” poi ad abortire, non può essere seriamente affrontato su un piano ideologico ma va trattato su un piano che tenga conto dell’esistenza di quei processi inconsci che – nostro malgrado e a nostra insaputa – operano in direzione contraria ai desideri razionalmente  dichiarati. E se l’autocoscienza, il “partire da sè” non servono, alle donne che dicono di praticarla,  a tener conto di questi processi,  a  confrontarsi con essi e a comprendere i limiti, le ambiguità  insite nella formula “Libertà d’aborto”, non saprei davvero a cosa potrebbero servire.

Una risposta a “Libertà di aborto e Libertà dall’aborto

  1. La problematica è molto complessa. Sinteticamente a me pare quanto segue.
    La libertà dall’aborto è la direzione in cui bisogna andare. La libertà di abortire, quindiuna legislazione adeguata, riguarda il presente in cui ci sono donne che, per ragioni molto diverse, fra cui anche l’incultura, la miseria…, rimangono incinte e non vogliono tenere il frutto. Non c’è dubbio che l’aborto è una violenza e un trauma grave. Ma non c’è dubbio che oggi come oggi ci vuole una legislazione che contenga la possibilità di abortire per la donna che lo vuole.

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