Quel “sacro poco”. Della “Voglia di perdere” come virtù

Donne 22

Questo post (http://femminismoinstrada.altervista.org/alcune-testimonianze-dirette-sui-pericoli-della-liturgia-materna/), pubblicato alcuni giorni fa, non è piaciuto, com’era prevedibile, a qualche donna della Libreria. Lo possiamo comprendere, naturalmente, ma l’informazione e la conoscenza – anche se sgradite – di aspetti crucialmente vissuti da alcune donne nell’arco della storia del femminismo italiano della “differenza”, è doverosa e non può essere sepolta, come ad alcune piacerebbe, a meno che non si pratichi la via dell’oscurantismo e l’uso di modalità repressive ed escludenti proprie di certi regimi. Le testimonianze dirette hanno un peso e un valore storico e cognitivo e, una volta rese pubbliche, sono a disposizione di chiunque.
Ci sono stati altri post di Tabula rasa non graditi, quello, per esempio, in cui viene ricordato un passaggio di Muraro in cui spade e libertà femminile, a nostro modesto parere, mal si sposano. Insomma, lo sappiamo, inutile fare misteri, i nostri post – come ebbe a dire senza farne a sua volta mistero una delle incaricate dalla Libreria alla “moderazione”/censura – fanno tremare le gambe alle donne della Libreria. Ce ne dispiace, essendo altre le fonti del nostro piacere e del nostro intento personale e politico primario. Pensavamo – e pensiamo – più semplicemente, che di esperienze importanti e dolorosamente vissute da alcune donne all’interno di uno dei luoghi del femminismo che punta tutto sulle “relazioni”, se ne possa – e se ne DEBBA – parlare. Senza timori e tremori e senza ricorrere, come rimedio, a velate minacce di censura.
E tuttavia poiché esercitare apertamente la censura su dei post che non possono essere eliminati in quanto rigorosamente rispondenti ai criteri generali sanciti per la pubblicazione  – “Questo è un luogo femminista, uno dei luoghi della politica delle donne…”,si scrive – è un gesto pericoloso e impopolare di cui dar conto in caso di contenzioso, si può scegliere di praticare, per evitare fastidi, una via più subdola, animata dallo “ spirito di vendetta”: si accolgono i post, a denti stretti, mettendo in atto, al fine di nullificarli, strategie di svuotamento sistematico del loro contenuto e – tanto o poco che sia – del loro valore, attraverso una sequenza programmata di commenti futili, insidiosi, fuorvianti e disinteressati al confronto, la cui funzione è puramente disturbante, distraente e screditante quando non apertamente violenta e offensiva, com’è capitato in alcune penosissime circostanze.

Ciò si verifica ormai da tempo, ad opera di alcune, nella pagina della Libreria delle donne. Di qui la decisione delle Amministratrici di Tabula rasa di non pubblicare più i nostri post in un luogo ostile e inospitale governato da quelle stesse logiche settarie e chiuse al confronto, normalmente adottate nei luoghi della politica degli uomini.
Una scelta annunciata, non indolore, naturalmente – ne va della perdita della “libertà femminile” di parola – ma poiché l’ elaborazione riuscita di un lutto  legato a una perdita è sempre accompagnata da una piacevole sensazione di “trionfo” (Freud) e di Liberazione, vogliamo comunicare  qualcosa di essenziale – di noi, del nostro pensiero e del nostro sentire in seguito a tale decisione – con le parole di una donna e di un uomo che, in una mirabile sintesi di prassi e teoria, hanno saputo fare dell’autenticità e della coerenza una reale pratica di vita.

Donne 22

“…liberata dalla speranza che qualcosa cambi…liberata dal ruolo materno femminile… liberata dal volere dimostrare che “è possibile” essendo donna.. …liberata dal terrore di “vedere com’è e non poterlo dire”… liberata dall’ipotesi che ci sia una strada…liberata dal negare che è stato tutto invano, liberata dall’ottimismo, liberata dal disfattismo, liberata dal confronto, dallo svantaggio, dalle profezie, liberata dall’inutile orgoglio….(Lonzi)

“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…” Pasolini)