Ciò che si semina si raccoglie… Responsabilità

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di Paola Zaretti /Ciò che si semina si raccoglie. Responsabilità

Si avverte e si percepisce, in alcune aree del femminismo nostrano, una preoccupante inclinazione-deriva verso forme sempre meno mascherate e sempre più apertamente ammiccanti a uno stile discorsivo e a contenuti improntati all’ istigazione alla violenza – non esclusa quella contro se stesse.

Che ad avere un peso e a svolgere un’influenza decisiva su questi sempre più frequenti ammiccamenti, siano le aspirazioni di alcune femministe alla “Sovranità”, gli insistenti appelli all’”Autorità” – temporale o Papale che sia poco importa – è evidente. Si tratta, in definitiva, di una riedizione aggiornata e portata alle sue estreme conseguenze, della vecchia e mai sedata “voglia di vincere”, teorizzata da alcune a suo tempo. E tuttavia, questa sempre più diffusa inclinazione alla violenza – che solo a uno sguardo distratto potrebbe apparire una novità dell’ultima ora, un’anomalia imprevista indesiderata e indesiderabile, distante e incompatibile con la tradizione, almeno a parole non violenta, del femminismo italiano della differenza – è il frutto maturo di una pianta dalle radici antiche al cui sviluppo e alla cui crescita non si è prestata – o non si è voluta prestare – nel tempo, la dovuta attenzione, quella premura che ne avrebbe forse evitato, nell’ormai praticata noncuranza di remore e censure, l’esplosione manifesta.

Ciò a cui stiamo assistendo è l’avvenuta rottura – lenta ma inesorabile – di un argine, quell’argine che separava, un tempo, il rifiuto della violenza come pratica e come teoria etica e politica delle donne, da una violenza oggi teorizzata e diffusa come praticabile, agibile e, di fatto, in molti luoghi praticata. A tenere saldamente annodate le spade evocate a suo tempo da Muraro, l’esaltazione e il primato del principio d’Autorità femminile, il pugno minaccioso di Papa Francesco e la domanda-invito recentemente rivolta alle donne a essere pronte, come femministe, a uccidere e a morire per una giusta causa, è un continuum di pensiero che sgomenta ma non sorprende. Si tratta, infatti, a ben vedere, di un esito prevedibile, drammaticamente coerente e lontano da quella “conversione al femminile” a suo tempo auspicata da Irigaray, si tratta, piuttosto, della conversione al neutro-maschile di un femminismo che, incapace di essere realmente portatore di un pensiero e di un agire differente, di una reale transvalutazione di tutti i valori, ha finito per assumere in proprio – nello stile e nelle parole e negli atti e nei desideri rimossi di un rivendicazionismo solo in apparenza negato – la stessa vocazione autoritaria e violenta del dominio maschile.

I segni del contagio e della sua diffusione sono ormai visibili e non mancano, del resto, neppure in un luogo come fb in cui l’ ammiccamento indulgente alla violenza, la licenza a uccidere o a uccidersi – realmente o simbolicamente – ha trovato il terreno fertile in cui impiantarsi, crescere e prosperare. Donne che non riescono più a parlare fra loro, a confrontarsi, senza ricorrere a oscene scurrilità e a volgarità consone al  linguaggio maschio più triviale, donne incapaci di dialogare ma addestrate a lanciare maledizioni di morte, donne che pur di “vincere” ricorrono alla perfidia, al sarcasmo, allo screditamento e alla distruzione dell’altra. Per “vincere”… Su chi, su che? Sulle loro simili? Donne che entrano nei gruppi, nei blog con l’intenzione premeditata di fare la guerra inquinando e sabotando il lavoro di altre. Non è un quadro edificante e bisogna avere il coraggio e la forza di parlarne nell’interesse di tutte se non si vuole che il patriarcato l’abbia vinta spostando fra le donne, come sempre ha fatto con la la loro complicità, un conflitto che lo riguarda e che da una guerra tra donne ha, quanto alla sua sopravvivenza, tutto da guadagnare.

Ebbene, se c’è un Tempo in cui la parola Responsabilità  può e deve avere un  peso e un senso, è Questo.

Le Donne di Tabula rasa