“Il femminile negato”

BELLEdi Paola Zaretti /“Il femminile negato”

C’è un modo, uno solo, per una donna di acquisire potere all’interno di un simbolico che dispone di UN solo simbolo – “il fallo” –  incaricato a rappresentare DUE sessi: essere come un uomo, diventarlo, imitarlo, assumerne la postura, il linguaggio, il tono, le scansioni, le pause i sospiri, la punteggiatura, la grammatica e la sintassi.

E’ questo, senza eccezioni, lo scenario alienante offerto dalle rappresentanti politiche: stessi modi, stesse scansioni, stesse inflessioni di voce, stesse sequenze da copione.

E se a qualche sprovveduto/a, privo/a degli strumenti per cogliere il senso di questo messaggio, dovesse passare per la mente l’idea peregrina di scambiare per altro una critica che deriva da una sofferenza e dalla stima profonda da sempre idealmente accordata, a priori, alle mie simili – ciò che mi rende la “conversione”  di molte al maschile, di cui parla Irigaray, insopportabile – abbia acume e modestia sufficienti per intendere che il rifiuto di assistere alla deriva di un femminile che ha rinnegato se stesso vendendo l’anima al mito dell’uomo, è il più grande gesto d’amore e di riconoscimento per le mie simili e per quella irriducibile differenza che può e deve farci essere altro dalla ridicola caricatura di un uomo.

Di questo  femminile “negato”  ad opera del patriarcato, parla Cavarero in un piccolo grande libro. Ma che dire quando la negazione avviene ad opera nostra? Non dovremmo dare ragione a Freud quando scrive in Analisi terminabile e interminabile che la negazione della femminilità riguarda in modo indifferenziato uomini e donne? Per ragioni diverse, certo, nel primo caso per conservare quel primato fallico senza il quale un uomo si sente “niente”, nel secondo per sentirsi accettate acquisendolo attraverso l’imitazione, l’alienazione e il rifiuto della “conversione al proprio genere”.