Un Femminile che differisce da sé

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di Paola Zaretti /Un Femminile che differisce da sé

E’ possibile identificare e  confondere la figura della donna “ clitoridea” di cui parla Lonzi, con la donna “mascolinizzata” e sessualmente immatura descritta da Freud? E’ possibile riscontrare nella prima figura – che tanta importanza ha avuto nel suo pensiero per la messa a fuoco critica del nesso fra uso maschile del corpo femminile e cultura patriarcale, fra primato della donna vaginale e dominio maschile – la conversione a un modello di mascolinità invece che quella “conversione al femminile” di cui parla Irigaray?

Vero è che Lonzi rifiuta la Femminilità, quel “femminile” pensato dall’uomo e che “la donna dell’uomo” ha finito per incarnare.  Vero è che – come scrive – “il femminile classicamente inteso deve sparire”. Ma non basta forse quel “classicamente inteso” a metterci sulla via per intendere che non si tratta, per lei, di una negazione del femminile né, tantomeno, di una sua omologazione al maschile ma della ricerca di un “femminile” imprevisto e dissonante da quello assegnato dall’uomo alla “donna dell’uomo? C’è dunque, nella visione di Lonzi, un Femminile che differisce da sé, che fa la differenza dal femminile veicolato dalla cultura dell’uomo e che non deve sparire. Ma come identificarlo, come riconoscere un femminile che ha la consistenza del vuoto e che per Lonzi è tutto da inventare?

Ho affermato tutto sul vuoto, su questo vuoto che era me stessa, potevo finalmente ascoltare la mia voce.

Una voce, la sua, irriducibile alla voce della “donna dell’uomo”, e a quella dell’uomo. L’esito di questa duplice impossibilità è una mancanza di identità che differisce però da quella dell’isteria incentrata sul dubbio e sulla domanda attorno al proprio essere sessuato: Sono un uomo o una donna? La mancanza di identità non nasce, per Lonzi, dal dubbio su che cosa vuol dire essere una donna, ma da una doppia negazione: Non sono una donna, non sono uomo. Non posso (non voglio) essere una donna, non posso (non voglio) essere un uomo. L’unica via d’uscita dall’impasse – l’impossibile scelta fra due strade egualmente alienanti e impraticabili – l’adesione allo stereotipo del femminile da un lato, l’emancipazione, dall’altro – è per lei rappresentata dal femminismo che le si presenta, dunque, come la sola chance per scoprire e vivere e sperimentare, attraverso la pratica dell’autocoscienza, una femminilità altra da quella disegnata dal patriarcato e di cui la donna clitoridea sarebbe l’incarnazione.

Il femminismo sarebbe dunque in grado di realizzare, nella visione di Lonzi, quell’impossibile che Freud, al termine della sua vita, finirà per attribuire a uomini e donne: l’impossibilità, da parte di entrambe i sessi, di accettare il femminile. (Freud, Analisi terminabile e interminabile). Il femminismo sarebbe in grado di frantumare, attraverso la pratica dell’autocoscienza,  quella “roccia” su cui ogni analisi, per quanto a lungo condotta, si arresta, indicando alle donne la via di una femminilità inedita che differirebbe da quella conforme alla “donna dell’uomo”, inclusa la “donna dell’uomo” Sigmund Freud:

Il femminismo per la donna prende il posto della psicanalisi per l’uomo. In quest’ultima l’uomo trova i motivi che rendono inattaccabile e scientifica la sua supremazia (…) nel femminismo la donna trova la coscienza collettiva femminile che elabora i temi della sua liberazione. (C. Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale).

E’ nel femminismo che la donna può finalmente trovare quel femminile cercato, a sua misura, amplificato e simbolizzato non da una coscienza femminista ma da una “coscienza collettiva femminile”, mentre nella psicanalisi l’uomo ritrova un luogo di incremento della sua virilità e della sua supposta potenza. Ma c’è un momento in cui la promessa femminista del ritrovamento di se stesse viene meno rivelandosi per quel che è: una via funzionale alla ricerca dell’uomo:

(…) Ma allora questo femminismo cos’è? Ricerca dell’uomo, del rapporto con l’uomo dopo aver trovato se stesse. L’amica serve a trovare se stesse ma l’obiettivo è l’uomo (…). Non si scappa di lì (…). D’altra parte per me quella senza partner rappresentava la prova evidente di un distacco dall’uomo. Ma qui mi sbagliavo.

Ma non sbagliava a scrivere:

Il mito del femminismo, alla fine non viene salvato: la liberazione non apre su un Eden, su un’armonia, su una soluzione dei rapporti umani (…). Liberarsi definitivamente dal mito diventa allora una necessità.

Ecco, facciamolo…liberiamoci…non dal femminismo ma dal suo mito.