E’ POSSIBILE NON RINUNCIARE ALLA DIFFERENZA SENZA CADERE NELLA TRAPPOLA DELL’OPPOSIZIONE BINARIA E DELLA COMPLEMENTARIETÀ DA UN LATO E IN QUELLA DELL’ EGUALITARISMO DALL’ALTRO?

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da Paola Zaretti /E’ POSSIBILE NON RINUNCIARE ALLA DIFFERENZA SENZA CADERE NELLA TRAPPOLA DELL’OPPOSIZIONE BINARIA E DELLA COMPLEMENTARIETÀ DA UN LATO E IN QUELLA DELL’ EGUALITARISMO DALL’ALTRO?

Scrive Cavarero in “Le filosofie femministe” (Cavarero-Restaino):

In sintesi. La tradizione occidentale assume la differenza sessuale come un’opposizione di maschile e femminile in cui i due termini non sono posti sullo stesso piano, uno di fronte all’altro, bensì sono strutturati secondo un ordine gerarchico di subordinazione ed esclusione (…).

L’operazione, dunque, è semplice: posto il sesso maschile come rappresentativo dell’umano in quanto umano, il sesso femminile risulta non pienamente umano, ossia umano ma di grado inferiore, incompiuto. Nell’ordine simbolico patriarcale, la differenza sessuale non viene perciò intesa come una differenza che divide gli esseri umani in uomini e donne, bensì come una differenza che fa differire le donne dagli uomini. Visto che sugli uomini – anzi sull’UOMO che tende a sostanziarli in un concetto universale – si modella l’essere umano per eccellenza, il differire delle donne dagli uomini diventa una differenza che corrisponde a una mancanza o inferiorità (…). Se l’uomo e la donna sono differenti – e non si vuole rinunciare a tale differenza – sembra infatti che non si possa fare a meno di pensarli come OPPOSTI o come COMPLEMENTARI. A meno che non si sgombri il campo dal terreno stesso della differenza, e li si pensi come EGUALI”.

Riprendo l’ultimo enunciato. Dunque: Se non si vuole rinunciare alla differenza siamo obbligate/i – “sembra non si possa fare a meno” – scrive Cavarero – di pensare uomo e donna o come opposti o come complementari. Solo pensandoli così, la differenza “sembra” mantenuta. Esisterebbe tuttavia, secondo Cavarero, un altro modo di pensare donne e uomini: sbarazzarsi della differenza e pensarli come uguali. Ciò che se ne ricava è che, nei primi due casi come nel terzo, la differenza è destinata a scomparire: nei primi due casi essa viene risucchiata dentro l’ “opposizione” o la “complementarietà” – nel terzo viene azzerata dal concetto di egualitarismo che qualcuna ha correttamente definito ”un sintomo illuminista dell’ordine simbolico patriarcale”. Infatti le diverse modalità di negazione della differenza qui descritte sono l’infelice risultante del sistema di pensiero androcentrico-patriarcale.

Ma è possibile, si chiede Cavarero, fare in modo che “il differire delle donne dagli uomini” sia qualcosa d’altro, qualcosa di diverso da “una differenza che corrisponde a una mancanza o inferiorità”? E’ possibile NON rinunciare a tale differenza senza che ciò significhi pensare la donna e l’uomo come “opposti” o “complementari” o “eguali”?

E se questa possibilità, se questa alternativa esiste, qual è?