Donne al potere

Da: NEL NOME DELLA MADRE, DELLA FIGLIA E…DELLA SPIRITA SANTA

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di Paola Zaretti

Cosa succede quando le donne arrivano al potere e s’identificano con esso? Cosa succede quando, al contrario, lo rifiutano ma creano una società parallela, un contropotere, dal club ideologico al “commando” d’assalto? (Kristeva)

L’assunzione di donne nel potere esecutivo, culturale, non ha affatto modificato la natura di questo potere. Lo si vede chiaramente nell’Est. Le donne promosse ai posti di comando e che ottengono bruscamente dei vantaggi  sia economici che narcisistici rifiutati durante millenni, divengono pilastri dei regimi in carica, i guardiani dello statu quo, le protettrici zelanti dell’ordine costituito. Questa identificazione delle donne con un potere precedentemente inteso come frustrante, oppressivo o inaccessibile, è stata spesso utilizzata dai regimi totalitari: i nazional-socialisti tedeschi e la giunta cilena ne sono degli esempi. Che si tratti di un contro-investimento di tipo paranoico di un ordine simbolico inizialmente negato è forse una spiegazione di questo fenomeno inquietante. Essa non impedisce la sua propagazione massiccia sul pianeta. Ma tutte vanno nella direzione del livellamento della stabilità, del conformismo, al prezzo di un annientamento delle eccezioni (…). Talune rimpiangeranno che il progresso di un movimento libertario come il femminismo vada a finire nel consolidamento del conformismo: altre se ne rallegreranno e ne trarranno profitto. Le campagne elettorali, la vita dei partiti politici, non cessano di scommettere su quest’ultima tendenza. L’esperienza dimostra che, molto rapidamente, anche le iniziative contestatarie o innovatrici delle donne attirate dal potere (quando non vi sottomettono per prime) sono girate a favore dell’apparato. La supposta democratizzazione delle istituzioni mediante l’ingresso in esse di donne si liquida, il più spesso, con la fabbricazione di una qualche “capo” al femminile. Le correnti femministe più radicali rifiutano il potere esistente e fanno del secondo-sesso una contro-società.  Si costituisce una società femminile, una sorta di alter ego della società ufficiale, nella quale si rifugiano le speranze di piacere. Contro il contratto socio-simbolico sacrificale e frustrante: la società immaginata armoniosa, senza divieti, libera e gioiosa. Nelle nostre società moderne senza futuro, la contro-società rimane il solo rifugio della gioia perché è precisamente una a-topica, luogo sottratto alla legge escluso dall’utopia. Come tutte le società, la contro-società si fonda sull’espulsione di un escluso. Il capro espiatorio caricato dal male ne depura così la comunità costituita che non viene più messa in questione. I movimenti rivendicativi moderni hanno spesso ripetuto questo modello designando un colpevole per preservarsi dalle critiche: lo straniero, il capitale, l’altra religione, l’altro sesso. Il femminismo non diviene al fondo di questa logica un sessismo invertito? (J.  Kristeva, Le nuove malattie dell’anima)

“…La donna deve percorrere un itinerario doloroso e complesso, una vera e propria conversione al genere femminile (…). Le difficoltà che le donne incontrano per entrare nel mondo culturale maschile hanno come conseguenza che quasi tutte, comprese quelle che si dicono femministe, rinunciano alla loro soggettività femminile e ai rapporti con le altre donne, e ciò le conduce verso un vicolo cieco, individuale e collettivo, dal pinto di vista della comunicazione”. (L. Irigaray, Sessi e genealogie)

 “A molte femministe anglosassoni – e più in generale a molte donne del ceppo germanico – basta avere la loro cattedra universitaria o avere scritto il loro libro per essere liberate (…). In quei paesi una donna  può dunque avere il sua fallo, se non il sua pene”. (Ibid.)

 E in Italia –  come stanno le cose in Italia?