CONFLITTO TRA I SESSI

 

1012664_1437424233154753_1142548441_ndi Adriana Perrotta Rabissi /

Da quando si sono affermate in Italia  le pratiche, le analisi e le teorizzazioni dei vari movimenti delle donne a partire dalla fine degli anni Sessanta, la stampa del sistema si è ingegnata per contrastarle ricorrendo ora all’esplicita derisione, ora all’ironia, spesso alla minimizzazione, travisando idee e concetti, più o meno consapevolmente.
Un’espressione molto in voga nei giornali è guerra dei sessi, considerata a seconda dei casi finita, passata di moda, o ancora attuale.
L’espressione non è mai stata usata nei documenti e nelle parole delle donne che hanno fatto riferimento al femminismo, perché impropria e fuorviante.
Una guerra presuppone sempre un vincitore e un vinto secondo lo schema mors tua vita mea, lo sconfitto può essere ammazzato, annichilito, reso succube, a seconda della volontà del vincitore.
Niente di tutto questo nel patrimonio di idee e consapevolezze femministe, la parola chiave è stata ed è conflitto, che invece si risolve insieme, con mediazioni e accordi che salvaguardano entrambi i soggetti. Certo, la strada della negoziazione in presenza di conflitti è lunga e faticosa, cosparsa di inciampi e ostacoli, costituiti soprattutto da schiavitù interiorizzate, difficili da riconoscere, più potenti dei vincoli esterni, che comunque esistono. Presuppone la volontà di rispetto reciproco, senza violenze materiali e simboliche e senza forzature.
Guerra dei sessi fa tabula rasa di tutto il percorso, riconducendo la questione del conflitto alla solita logica di sopraffazione, agita o subita.
Indica la mentalità di uomini e di donne incapaci di uscire dalla dimensione dei ruoli codificati nel patriarcato, indica la paura che i ruoli vengano semplicemente invertiti, non eliminati.