Andare “oltre a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato”

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di  Paola Zaretti/ Andare “oltre a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato”

Là fuori,

oltre a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato,

esiste un campo immenso.

Ci incontreremo lì.

Mevlana Jelaluddin Rumi

Ieri sera un’amica che lavora con Oikos da tanti anni, ha approfittato di una riunione in corso per farmi uno scherzetto. Maria – è questo il suo nome – è fatta così…un po’ ironica un po’ provocatrice, sempre imprevedibile – lei ama gli imprevisti. Così, ha pensato bene di farmi un regalino consegnandomi fra le mani l’ultimo libretto di Muraro, una raccolta di interventi che avevo già avuto modo di leggere in fb, con l’aggiunta di alcune parti che paiono messe lì, in verità, con il preciso intento di ridare fiato alle trombe dell’”ordine simbolico” della Mamma.

Lo ha fatto, Maria, supponendo, a ragione o a torto – che non avrei comperato quel libercolo il cui ambizioso intento, dichiarato dall’autrice – la ricerca di “argomenti che abbiano come effetto, di alzare il cielo e allargare l’orizzonte” (nientedimeno!!) – opera, in realtà, in direzione contraria ad innalzamenti e ad allargamenti definendo e decidendo Universalmente ciò che è “giusto” e ciò che è “sbagliato” e asserendo, al tempo stesso, non essere “compito dell’autrice “dettare legge nelle vicende e nei comportamenti delle persone singole”.

Affermare e denegare quanto affermato è un vizio purtroppo diffuso. Così, sempre sull’onda del “qui lo dico, qui lo nego”, poiché la parola “contro” rischia l’impopolarità e va dunque attentamente evitata – il rischio, si sa, è l’accusa di caduta in dualismi oppositivi divenuti oggi, almeno a parole, particolarmente invisi – la seconda parte del titolo “Contro l’utero in affitto”, necessita di un rimedio-correttivo che, nell’”Avvertenza” del libercolo, viene tempestivamente anticipato così:

“Per chiarezza c’è un “contro” nel titolo, ma l’autrice di questo libro non si contrappone a persone che la pensano diversamente, specialmente se donne” perché “alle contrapposizioni e agli schieramenti” preferisce “la lettura dell’esperienza, la ricerca di argomenti e, se necessario, il conflitto.”

E sia. Ma, se così è, che cosa ci fa lì quel “contro”? Le parole hanno un peso, si sa, e quando quell’ingombro risulta difficilmente giustificabile, non resta che ricorrere, come di consuetudine, al solito meccanismo de-negazionista, uno dei tanti che attraversano questo libercolo. Ma c’è di più. C’è che ad essere indigesto e fuori luogo, è il riferimento-accostamento all’eugenetica e allo schiavismo attraverso il quale una spiccata inclinazione a fare del terrorismo trova modo e luogo per affermarsi. Ciò nonostante, il testo di Muraro è stato definito da alcune fedelissime estimatrici “un testo di rara profondità”, “un libro straordinario”, mentre per altre donne “femministe” il fatto di essersi affiancato nella battaglia alla Gpa “con l’organizzazione più retriva, sciovinista e maschilista che abbiamo in Italia”, è parso, per delle comprensibili e condivisibili ragioni, sconcertante.

Io non so, non posso sapere con quali abissi di profondità siano addestrate a misurarsi coloro che hanno manifestato entusiasmo nei riguardi di un testo la cui finalità, al di là delle solite e poco solide “argomentazioni” – su cui mi sono già soffermata in diverse occasioni – è l’insopprimibile desiderio di rimettere in trono l’ordine simbolico della Mamma in difesa della quale viene scomodato persino il mio amico Nietzsche. riconosciuto come colui che ha saputo “cogliere una differenza femminile”. Non che su questo, almeno su questo, non sia d’accordo – beninteso – avendo io stessa, fin dai tempi ormai lontani dei miei primi Seminari (1985-‘86), sollevato molti dubbi sulla misoginia di Nietzsche, anche quando questa era, almeno per un certo tempo e per tanta parte del femminismo, l’ultima parola su di lui.

Sempre in relazione alle questioni sollevate dal libercolo, vale forse la pena ricordare che in data 20 Marzo 2016 il Consiglio d’Europa ha respinto in Commissione la Risoluzione sull’utero in affitto (presentata dalla deputata belga Petra de Sutter) e che i due voti della delegazione italiana appoggiata da Se non ora quando-Libere, furono decisivi. Ebbene, devo dire, a questo proposito, che nonostante il mio dichiarato disaccordo con le donne di Se nonoraquando-libere, ritengo tuttavia più apprezzabile il loro coraggio che la posizione ambigua di chi adotta la strategia politica maschile dell’opportunismo e dell’ambiguità: – “non voto, non proibisco” – immunizzandosi così dai costi personali e politici  che dall’etichetta di “proibizionista” deriverebbero. C’è un passaggio in cui tale ambiguità risulta evidente:

“La più risibile difesa della maternità surrogata è quella che protesta contro i divieti e le proibizioni, in nome della libertà. Qui non si tratta di proibire, si tratta di non sbagliare”. (Muraro)

Ma se la protesta di alcune donne contro divieti e proibizioni è considerata “risibile”, perché non prendere coraggiosamente la via (non risibile) a favore dei divieti e delle proibizioni come alcune donne hanno fatto, invece che procedere per ambiguità?

“Non si tratta di proibire”, “Si tratta di non sbagliare” (Muraro)

E, oltretutto, perché mai non si dovrebbe proibire se è vero – come affermato dalla stessa Muraro in un passaggio del suo libro – che la proibizione “di commercializzare il corpo umano e i suoi prodotti” è un “principio di civiltà”? Perché rinunciare a un “principio di civiltà” a cui positivamente ci si appella?

“Proibire” e “sbagliare” vengono presentate come due posizioni distinte e distanti: non sbagliare non significa proibire. Muraro non proibisce, infatti, e, a differenza di altre donne che si sono esposte, si guarda bene dal farlo, dal cadere in una trappola che le costerebbe la scomoda etichetta di “proibizionista”. E tuttavia, per dire che si “tratta di non sbagliare” bisogna pur sapere o credere di sapere che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato. E lei – che sembra non conoscere quel “campo immenso oltre a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato” in cui “incontrarsi”, celebrato da Mevlana Jelaluddin Rumi – lo sa o crede di saperlo. E poiché non c’è alcun ragionevole motivo di proibire ciò che è giusto, è evidente che si può proibire – senza proibire! – solo ciò che si considera sbagliato. Ci si toglie così – proibendo senza proibire – dall’impiccio delle proibizioni i cui infiniti travestimenti sono tuttavia facilmente riconoscinbili e smascherabili.

Ad Adriano Sofri – “profano e superato dagli eventi” – come lui stesso si autodefinisce, la lettura di un brano del pamphlet di Muraro pubblicato sull’Avvenire non è bastata a farsi “un’idea adeguata” della di lei opinione” nonostante si dichiari colpito dalla tesi, ivi sostenuta dall’autrice, di un’“impronta maschile” della “gestazione per altri”:

“…non è arbitrario dire che la coppia genitoriale che si avvale della Gpa ha un’impronta più maschile che femminile (…) perché la prevalenza simbolica della parte maschile appartiene a una cultura che alle donne fa pagare il biglietto d’ingresso. (…) (Muraro)

Ma viene allora da chiedersi: La coppia genitoriale tradizionale che non si avvale della GPA, che impronta avrebbe? Avrebbe forse un’impronta più femminile che maschile? Forse che in questi casi “la prevalenza simbolica della parte maschile” e la cultura che “fa pagare alle donne il biglietto d’ingresso” – addotte nel passo precedente come “causa” esplicativa contro la GPA – si sarebbe miracolosamente dissolta?  Come e quando ciò sarebbe accaduto? E poi..si può parlare genericamente di “coppia genitoriale” che si avvale della GPA, a prescindere dal tipo di accoppiamento che viene dato per scontato (uomo-donna, donna-donna, uomo-uomo)?

In verità, l’articolo di Sofri pubblicato ne Il foglio quotidiano e intitolato Paternità surrogata rispolvera vecchi saperi e antichi miti e cerimoniali piuttosto noti al femminismo di cui io stessa ho fatto spesso uso nei miei scritti e nello Spettacolo Donne in strada. A Scuola di non violenza: l’invidia dell’utero, l’uomo che, per essere risarcito del suo contributo marginale e irrisorio alla procreazione si proclama protagonista della stessa fingendosi incinto e simulando le doglie del parto. Senza nulla togliere a questi miti importanti che fanno parte di un comune patrimonio storico di conoscenze, è però lecito domandarsi se e in quale misura affidarsi unicamente alla rievocazione di questi Saperi, possa essere considerato sufficiente – o addirittura determinante – per formarsi un’opinione e, soprattutto, per pronunciarsi in merito a un’esperienza complessa qual è la Gpa. Mi chiedo, insomma, se procedere in questo modo per avallare una tesi che si intende sostenere, non sia riduttivo e non contribuisca a fomentare ulteriormente quel riduzionismo diffuso che – preoccupato di “un attacco demolitore della relazione materna” e all’”ordine simbolico” della  Mamma, finisce per ridurre la questione  al denaro, al commercio, all’egoismo, allo sfruttamento.