ALCUNE TESTIMONIANZE DIRETTE SUI PERICOLI DELLA LITURGIA MATERNA

5pAPESSA8ALCUNE TESTIMONIANZE DIRETTE SUI PERICOLI DELLA LITURGIA MATERNA: annullamento, paralisi del pensiero, angosce di sparizione.

Tratte da: “Nel Nome della madre, della Figlia…e della Spirita santa”

(…) A volte capita che la donna cui riconosciamo autorità utilizzi le sue capacità e il suo sapere per “averla vinta” e di conseguenza si fatica a sostenere le proprie posizioni. La situazione peggiora quando le altre ammiccano e sono accondiscendenti con quella più forte”. (82) L. Colombo, La passione di esserci in Diotima, L’ombra della madre

“La tentazione del bene (…) quella femminile tentazione (…) se pure può sorgere, come ho riscontrato proprio in donne che nel riferimento alla madre pongono il perno di una politica della differenza che si disloca simbolicamente dall’ordine paterno, proprio di quest’ultimo rischia di perpetuare il fantasma. Forse per questo motivo sono diventata così suscettibile ad alcune manifestazioni di quella che ho chiamato tentazione del bene che ho incontrato nella pratica politica. In una lista di quelle che mi sono via via diventate insopportabili: la tendenza a scivolare nella “liturgia materna”, in una visione edulcorata del mondo delle relazioni femminili, imbellettata e che finisce sempre in gloria: un certo tono salvifico riguardo la politica delle donne come palingenesi delle società; la propensione a espungere il negativo, a non nominare i desideri, le passioni, gli odi, le pochezze, le miserie, i fallimenti, le strumentalità, le paure, gli scacchi, gli angoli scuri o anche solo grigi dei nostri cuori, delle nostre azioni, delle nostre relazioni. Il tutto in onore alla grandezza materna, della libertà femminile, della forza che la nostra politica fa circolare tra noi. Insomma in una parola, quel che mi è diventato insopportabile si chiama ipocrisia femminile”. (83) D. Sartori, La tentazione del bene, in Diotima, La magica forza del negativo.

“La paralisi del pensiero, l’angoscia di sparire o – al contrario – il sentirmi “viva” solo se venivo approvata, ponevano in primo piano le dinamiche oscure della relazione madre-figlia, che agivano nonostante e in barba alle pratiche politiche delle donne. Nonostante le pratiche della disparità e dell’autorità siano chiare nell’esperienza e nella teorizzazione, spesso succede che si verifichi uno scivolamento da un loro buon funzionamento a una situazione di sofferenza in cui ci si irrigidisce nella ripetizione. Nella ripetizione le pratiche sono svuotate e nello stesso tempo cristallizzate, vi si ricorre come dispositivo vuoto e non sono più un’occasione di modificazione di sé. C’è un misto di pigrizia e di paura quando si è di fronte a situazioni di sofferenza. Evitando di interrogarle ci si aggrappa a dispositivi vuoti, nell’ansia di sedare la sofferenza attraverso risposte già date. E’ in queste situazioni che può verificarsi uno scivolamento dall’autorità all’autoritarismo”. (86) L. Colombo, La tentazione del bene, in Diotima, La magica forza del negativo.

“Inconscio”, “sintomo”, “fallo”, “mediazione” funzione del “terzo”, sono tutti termini tratti dal linguaggio psicanalitico che vengono utilizzati nel testo di Muraro “La posizione isterica e la necessità della mediazione” – non senza una spregiudicata disinvoltura – in vista di una nuova “cura” dell’isteria sottratta al dispositivo del setting tradizionale dei Padri e affidata all’”ordine simbolico della Madre”.
A suscitare perplessità su questo progetto, non è tanto il già rilevato tentativo di appropriazione del lavoro di cura dell’isteria, ma il fatto che questo tentativo non viene effettuato, come sarebbe stato auspicabile e come aveva già suggerito Simone de Beauvoir – che considerava “disastrosa” la psicanalisi femminile di Freud e di Lacan – ad opera di persone competenti, appositamente formate alla pratica analitica in grado di “ripensarla e rifondarla teoricamente in una prospettiva tutta femminile”, ma ad opera di persone che senza alcuna competenza mettono arditamente in atto un nuovo progetto di “cura” dell’isteria servendosi del pensiero di Irigaray e di altre letture psicanalitiche che in nessun caso possono essere sostitutive di un’esperienza e di una formazione  personale.
Se l’assunzione di una posizione critica nei riguardi della psicanalisi di stampo paterno è condivisibile, la pretesa di inaugurare una nuova “cura” dell’isteria fondata su questi presupposti, è estremamente pericolosa , come mostra la parola “sofferenza” che ripetutamente compare in una di queste testimonianze che provengono dall’interno. Lonzi lo sapeva e lo scriveva così:

“Il matriarcato è un tradimento per la donna, come il patriarcato lo è per l’uomo (…). Matriarca o patriarca sono ugualmente miei nemici. Niente padri o madri, ma tutti se stessi. Non c’è bisogno di ideologie ugualitarie se non sono istituzionalizzate le gerarchie”. (Taci, anzi parla)