Fuori dallo specchio

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di Paola Zaretti/FUORI DALLO SPECCHIO

– Esiste la possibilità di una relazione tra donne che non si trasformi in un rapporto madre-figlia?
– E se ciò é possibile, come si configura questa relazione? –
– Come possiamo immaginarla?

Aver amato profondamente mia madre ed essere stata da lei amata in modo sano, autonomo e libero da vincoli di reciproca dipendenza, e di schiavitù, mi ha restituito, nel corso della vita – in particolare, nelle mie relazioni con le donne – risorse e vantaggi: evitare di trascorrere la mia esistenza – alla disperata ricerca di una qualche madre, immaginaria o simbolica, cui affidarmi e da cui dipendere.
L’impulso, il bisogno coatto di collocare qualcuna nel luogo del “materno”, non mi ha mai sfiorata neppure da lontano, esonerandomi così dalla pericolosa tentazione di percepirmi come “figlia” di qualche donna -“madre” che non fosse unicamente quella donna e quella madre che mi ha messa al mondo.
Considero fortuna e privilegio non comuni l’ essermi “salvata”, grazie alla salutare relazione con mia madre, dall’obbligazione-coatta di rapportarmi alle mie simili in generale e alle amiche in particolare, di volta in volta e a seconda delle circostanze, come loro “madre” o come loro “figlia”.
Mi sono sempre proposta, nelle relazioni, come una donna in relazione ad altre donne.
Devo tuttavia aggiungere che questa mia libera e felice condizione di “non figlia” di una qualche “madre” presa in prestito e di “non madre” di una qualche “figlia” “adottata” – uno status personale ed esistenziale disinteressato sia alla ricerca di un potere “materno” cui affidarmi sia di un potere “materno” da esercitare nei riguardi di qualcuna – non è stata sufficiente, né, d’altronde, avrebbe potuto esserlo, a proteggermi dal rischio di essere immaginariamente catapultata, mio malgrado e contro la mia volontà, nel posto del “materno” non senza l’aggravante connessa al rischio di “idealizzazione”. Un luogo decisamente scomodo e dalle conseguenze prevedibili, considerati gli effetti devastanti dei processi di idealizzazione cui ho altrove accennato.
Posso decidere di me, posso rifiutare attivamente, con forza e con fermezza di esercitare un ruolo “materno” nei confronti di una donna che, sia pure inconsapevolmente, me ne fa richiesta, posso decidere di sottrarmi, altresì, al ruolo di “figlia” impostomi da qualche donna animata nei miei confronti – sia pure con le migliori intenzioni – da velleità materne o maternalistiche che dir si voglia.
C’è tuttavia una cosa che nelle comuni relazioni di tutti i giorni, non posso fare: intervenire per modificare l’immaginario altrui fino al punto di impedire a qualcuna/o di collocarmi dove non sono e non desidero essere.
Tali “interventi” – difficilmente realizzabili nelle comuni relazioni quotidiane – possono invece diventare, all’interno di una relazione analitica, dei potenti generatori di cambiamento liberando una donna dall’ingombro della specularità madre-figlia e restituendole, finalmente, una donna “non figlia” e “non madre: una donna capace di rapportarsi alle proprie simili libera da ingombranti zavorre materno-fliliali.

“Né padri, né madri”- scriveva Lonzi – ma “tutta me stessa”.