Rovesciare la “libertà di aborto” contro se stessa”

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di Paola Zaretti/ Rovesciare la “libertà d’aborto” contro se stessa…

“Come è possibile, mi dissi, che una donna sappia pensare così? Ho faticato tanto sui libri, ma li ho subiti, non li ho mai veramente usati, non li ho mai rovesciati contro se stessi. Ecco come si pensa”. (Elena Ferrante, Storia di chi fugge e di chi resta 2014)

Scriveva così Elena Ferrante a proposito dell’uso che si può fare dei libri e dell’uso che, in particolare, ne aveva fatto Carla Lonzi:

Pensare significa dunque “rovesciare i libri contro se stessi”. E questo, esattamente questo, aveva fatto Lonzi rovesciando “la libertà d’aborto” contro la “libertà d’aborto” 

“Le donne abortiscono perché restano incinte. Ma perché restano incinte?

“E’ perché risponde a una loro specifica necessità sessuale che effettuano i rapporti con il partner in modo tale da sfidare il concepimento?”

 “PER IL PIACERE DI CHI sono rimasta incinta?

“PER IL PIACERE DI CHI sto abortendo?”

Voglio ritornare su queste domande di cui ho già evidenziato la radicalità

Libertà di aborto e Libertà dall’aborto

e di cui, a leggere ciò che periodicamente circola in materia d’aborto, mi pare non si tenga minimamente conto quando, rimuovendo gli interrogativi posti da Lonzi, si continua ad invocare la Legge dello Stato e a ridurre “la libera scelta” della donna a un “intervento assistito e gratuito” che, in forza di tale legge, andrebbe tutelato.

Si tratta di una visione che azzera quegli interrogativi riducendo la complessità della questione posta, a una risoluzione finale – e a cose fatte – demandata a un “intervento assistito”  – a cose fatte –  dato  per necessario e da difendere in nome di una Legge dello Stato.

Così, invece di tutelare dall’aborto e dalla sofferenza psicofisica che ne consegue la donna rimasta incinta “per il piacere dell’uomo”, si finisce per tutelare, di fatto, in nome di una Legge dello Stato – e con la complicità delle donne che la sostengono – l’uomo, l’uomo che l’ha messa incinta per il suo piacere.

Ci si chiede per quali incomprensibili ragioni dovrebbe essere ancora la donna a prestarsi a subire un trauma e a pagare, con il proprio corpo, per il piacere dell’uomo. Ci si chiede se sia così difficile comprendere che una tale visione si colloca ancora e di nuovo e a buon diritto dentro una logica sacrificale e vittimaria da cui, e non solo in questo ambito, pare impossibile uscire.